Contraddittoria motivazione e travisamento della prova: vizi oggettivi sottoposti a valutazione soggettiva

Non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo. Il reato di minaccia è reato di pericolo che non presuppone infatti la concreta intimidazione della persona offesa, ma solo la comprovata idoneità della condotta ad intimidirla.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22710/17 depositata il 10 maggio che ha ribadito i seguenti principi - Il reato di minaccia richiede il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne destinatario. - Il vizio della mancanza, della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l'agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti. - Il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale probatorio. Siffatto vizio ricorre quando ricorra la cosiddetta contraddittorietà processuale , si tratti di travisamento di una prova decisiva acquisita al processo che è integrato dall'esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e di quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, abbia un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare in modo palese e non controverso la tangibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta è quello che il giudice abbia inopinatamente tratto, con esclusone peraltro di detto vizio, laddove si faccia questione di un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima. Il reato di minaccia. La Corte, nella pronuncia in commento, richiama la consolidata natura che la giurisprudenza attribuisce al reato di minaccia ricordandone la qualifica di reato di pericolo per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale. La valutazione circa detta idoneità è valutazione in fatto, ovvero di merito, riservata dunque al Giudice del merito, e da svolgersi avendo riguardo ad un criterio di medialità” che rispecchi le reazioni dell'uomo comune. Per quanto concerne il reato previsto è punito dall'art. 612 c.p. il discorso degli Ermellini può dirsi completo. La contraddittorietà della motivazione. La Corte si intrattiene poi su uno dei temi maggiormente cari, anche se non molto noti, ai frequentatori del Palazzaccio ovvero la contraddittorietà della motivazione. Quando è contraddittoria la motivazione ? La motivazione è contraddittoria, o illogica, quando è solo quando, essa risulti inadeguata, ovvero, incapace di consentire l'agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di i,predire, per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni ed alle prospettazioni formulate dalle parti. La lettura della sentenza, e della massima che in punto può ricavarsi, da atto di come gli Ermellini abbiano inteso limitare il ricorso al vizio indicato, tracciandone un perimetro assai ridotto. Dunque, ancora una volta, la Corte su è impegnata nel disegnare ridisegnare? ambiti, termini e portata dei vizi deducibili proseguendo lungo l'ormai ben noto percorso finalizzato a ridurre il carico giudiziale dei ricorsi attraverso l'elaborazione di una giurisprudenza estremamente restrittiva. Il travisamento della prova. Come per il vizio di contraddittorietà anche in relazione all'esistenza di travisamento della prova gli Ermellini paiono preoccupati di definirne i limiti in ambiti assai ristretti. I tre casi indicati, espressamente individuati nel corpo della motivazione del provvedimento in commento, paiono essere ed assumere la veste di vere e proprie ipotesi tipizzate da cui pare impossibile potersi distaccare. Il diritto vivente ha tracciato il solco entro cui sarà possibile denunciare il vizio, enucleando,mail pari del Legislatore, ipotesi tipiche, stringenti, ben delineate ed impossibili ad essere aggirate. Con il che si dà ulteriore prova del potere sostanziale e formale della Giurisprudenza, che costruisce la norma anche processuale ben oltre i confini dell'interpretazione di quella positiva, nonché della cortocircuitaria reazione che si rischia di innestare, ovvero che la valutazione circa l'esistenza di errate valutazione, palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e di quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, ancorate ai solidi e certi presupposti rappresentati da non opinabilità senso intrinseco della singola dichiarazione , modo palese e non controverso , sia demandato ad altra ed altrettanto opinabile valutazione di differente soggetto. Non assoggettato a nessun altra possibile valutazione . Difficile pensare od individuare rimedi e soluzioni in tema di valutazioni che sono e restano, soggettive.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 marzo – 10 maggio 2017, n. 22710 Presidente Bruno – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Trani, nella funzione di giudice d’appello, ha confermato integralmente la sentenza di condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 612 cod. pen., condanna emessa dal Giudice di Pace di Trani in data 16.07.2014. Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a sei motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b, cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 612 cod. pen. per la ritenuta sussistenza e configurabilità del reato di cui al predetto articolo in relazioni alle locuzioni asseritamente proferite devi stare attento professionalmente, anzi incontriamoci personalmente, da soli , nonché, ai sensi della lett. e del predetto art. 606, cod. proc. pen., vizio argomentativo della motivazione. Osserva la difesa della parte ricorrente l’erroneità giuridica della motivazione impugnata laddove aveva ritenuto integrato l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 612 cod. pen. nelle frasi sopra citate, attese che le stesse, anche per le circostanze concrete in cui erano state proferite, non potevano considerarsi, come ritenuto anche dal giudice di appello, potenzialmente idonee ad incidere sulla libertà morale della persona offesa. Osserva, peraltro, la difesa che non era neanche emersa la circostanza dalla escussione dibattimentale della persona offesa che il ricorrente avesse pronunziato la frasi di incontrarsi da soli , giacché la stessa era stata riportata in querela ed utilizzata impropriamente dal giudice di prime cure come prova della sua esistenza, mentre la querela era stata acquisita al fascicolo del dibattimento al solo fine di accertare la condizione di procedibilità del reato osserva, inoltre, che l’altra frase pronunciata, e cioè quella di stare attento professionalmente , era stata proferita non già con toni e finalità minacciose, ma soltanto al fine di richiamare la persona offesa ad una maggiore attenzione professionale nello svolgimento della sua professione di giornalista, dal momento che aveva riportato sulla omissis una notizia che riguardava una compravendita immobiliare in termini inesatti, in modo da coinvolgere ingiustamente nella vicenda il ricorrente e la moglie di quest’ultimo, di professione avvocato, e che, poi, era stata assolta da ogni addebito penale nella vicenda giudiziaria così malamente riportata, a detta del ricorrente rileva, ancora, che, nonostante l’esplicito motivo di gravame avanzato sul punto in esame, il giudice di appello non aveva spiegato quale fosse il profilo di concretezza del male ingiusto minacciato e che il richiamo contenuto nella motivazione impugnata al profilo di potenziale idoneità della condotta ad incidere sulla libertà morale della persona offesa, come richiesto dalla giurisprudenza teorica in subiecta materia , doveva ritenersi una motivazione tautologica e priva di un substrato probatorio. 1.2 Con il secondo motivo si denunzia, sempre ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b. cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 612 e comunque vizio argomentativo in ordine alla affermata idoneità soggettiva della asserita minaccia. Osserva la difesa che la presunta minaccia proveniva da soggetto incensurato che, peraltro, avrebbe pronunciato la frase incriminata sopra riportata in una sola occasione e nel corso di una unica conversazione telefonica osserva, ancora, che sul punto aveva avanzato un esplicito motivo di gravame e che il giudice di appello non aveva risposto in alcun modo a tale censura e dunque deduce sul punto anche l’omessa motivazione. 1.3 Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, vizio di carenza ed illogicità della motivazione e, comunque, anche parziale travisamento della prova su un elemento di prova su cui aveva già avanzato motivo di doglianza in appello e per il quale il giudice di secondo grado non si era, comunque, pronunciato e deduce, pertanto, vizio argomentativo sulla mancata valutazione dell’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni dibattimentali rese dalla parte civile e dalla D.C.M. , moglie della parte civile stessa. Deduce la difesa che, sul punto qui da ultimo indicato, aveva proposto specifico motivo di gravame e che il giudice di appello non aveva fornito risposta motivazionale al profilo della mancanza di prova in ordine alla pronunzia da parte dell’imputato della ulteriore frase indicata nell’editto accusatorio e secondo la quale il ricorrente avrebbe invitato la persona offesa ad incontrasi da soli. Osserva ancora la difesa che la motivazione fornita dal giudice di appello in ordine alla credibilità della persone offese e della moglie di quest’ultimo - secondo cui tale credibilità riposerebbe sulla assenza di precedenti dissapori e contrasti, dal ché si evinceva l’assenza di un intento calunnatorio nelle dichiarazioni della persona offesa - mal si conciliava con la discrasia tra quanto affermato dalla persona offesa nella querela e quanto, invece, affermato in sede di escussione dibattimentale sulla pronunzia da parte dell’imputato della frase sopra riportata da ultimo. Osserva inoltre che la valutazione sulla credibilità intrinseca ed estrinseca della moglie della persona offesa non teneva in debita considerazione la circostanza del rapporto di coniugio esistente tra le parti, su cui anche qui il giudice di appello non aveva argomentato. 1.4 Con il quarto motivo si denunzia vizio argomentativo sempre in relazione all’art. 612 cod. pen., e più precisamente carenza di motivazione in punto di elemento psicologico del delitto di cui all’art. 612 cod. pen Denunzia la difesa la totale carenza di motivazione in ordine alla esplicazione degli elementi giustificativi della valutazione della sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. 1.5 Con il quinto motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., violazione di legge e vizio argomentativo per non aver applicato il giudice di appello la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. per la tenuità del fatto, giacché introdotta medio tempore nel corso di celebrazione del giudizio di secondo grado. 1.6 Con il sesto motivo di deduce sempre violazione di legge in relazione all’erronea condanna al risarcimento del danno per i danni subiti. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1 La prima questione devoluta all’attenzione di questa Corte involge il problema della qualificazione giuridica delle condotte ascritte all’imputato, giacché, secondo gli assunti difensivi, le frasi pronunciate dall’imputato alla persona offesa, e cioè devi stare attento professionalmente, anzi incontriamoci personalmente, da soli , non integrerebbero il presupposto oggettivo del reato di cui all’art. 612, cod. pen., non essendo, peraltro, idonee ad intimorire, anche in ragione delle circostanze di luogo, di tempo e di modalità di propalazione, la persona offesa dal reato. 2.2 n Collegio è invece di contrario avviso, ritenendo che le condotte contestate nell’editto accusatorio integrino il reato di minaccia. 2.2.1 Ed invero, secondo il consolidato orientamento esegetico di questa Corte - ai fini dell’integrazione del reato di minaccia - non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016 - dep. 18/10/2016, Nino, Rv. 26828901 cfr., anche ex plurimis, Sez. 5, n. 46528 del 02/12/2008 - dep. 17/12/2008, Parlato e altri, Rv. 24260401 fattispecie in cui in applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione del giudice di merito - che aveva escluso il contenuto intimidatorio delle seguenti espressioni rivolte ad alcuni giocatori di una squadra di calcio e contenute in una lettera anonima, pubblicata su un quotidiano sportivo ci hanno sempre dipinto come un gruppo violento che negli ultimi anni è maturato. Per l’amore della maglia . siamo disposti a tornare indietro. Non metteteci alla prova. Fiduciosi nella vostra intelligenza, per l’ultima volta vi salutiamo - ritenendo che fossero volte non tanto ad intimidire i calciatori, quanto ad esternare il malcontento della tifoseria nei confronti di alcuni di essi, adoperando il linguaggio colorito che sarebbe prassi costante nel mondo calcistico . In realtà, il delitto di minaccia è reato di pericolo che non presuppone la concreta intimidazione della persona offesa, ma solo la comprovata idoneità della condotta ad intimidirla. Sez. 1, n. 47739 del 06/11/2008 - dep. 23/12/2008, Giuliani, Rv. 24248401 . Detto altrimenti, la norma che incrimina la minaccia delinea un reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l’incussione di timore nella vittima. È sufficiente, invece, che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale Sez. 6, n. 14628 del 18/10/1999 - dep. 23/12/1999, Cafagna G, Rv. 21632101 . Dunque, ritiene la Corte che il reato di minaccia richiede il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne il destinatario così, peraltro, anche Sez. 5, n. 51246 del 30/09/2014 - dep. 10/12/2014, Marotta, Rv. 26135701 . 2.2.2 Ciò premesso, osserva la Corte come, nel caso di specie, le due frasi pronunziate dall’imputato, peraltro del tutto scollegate, per quanto emerge dalla lettura degli atti da una possibile rivendicazione - questa sì legittima - di tutela dei propri diritti in relazione alla pubblicazione del predetto articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria si legga, in tal senso, la possibile presentazione di una querela per diffamazione a mezzo stampa al giornalista ritenuto incauto della propalazione della notizia - rivestano effettiva valenza minacciosa proprio per il modo in cui sono state pronunciate ed anche per l’ulteriore avvertimento di risolvere la questione in separata sede da soli, e dunque senza la presenza di testimoni. Peraltro, anche la frase dall’inequivoco contenuto intimidatorio di stare attento professionalmente , per come pronunciata unitamente all’altra da ultimo ricordata , non può essere letta, come vorrebbe la parte ricorrente, come un semplice monito al giornalista di tenere un comportamento più corretto nell’espletamento della professione svolta da quest’ultimo, quanto piuttosto come la minaccia di possibili ritorsioni nel campo lavoristico in danno della persona offesa. Ciò, secondo la giurisprudenza sopra richiamata cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa e tenendo a mente il principio secondo cui, per la integrazione del reato di cui qui in discussione, è sufficiente che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale, non può che far concludere questa Corte nel ritenere che sia stata corretta la qualificazione giuridica fornita dai giudici di merito e che si sia, pertanto, integrato il delitto di minacce. Del resto, deve essere, anche in questo contesto decisorio, ribadito ancora una volta il principio secondo cui, verbatim, Il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992 - dep. 23/07/1992, Mascia, Rv. 19143301 . 3. Anche il secondo motivo, in ordine alla capacità offensiva delle frasi proferite dalla persona offesa in ragione delle modalità di esternazione della minaccia, è infondato, in ragione delle medesime osservazioni sopra riportate in relazione al primo motivo di censura ritenuto, come detto, non accoglibile. 4. Con il terzo motivo si deduce, da un lato, un travisamento della prova e, dall’altro, una scorretta valutazione probatoria sul profilo di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni della persona offesa. 4.1 Sotto quest’ultimo profilo, ritiene la Corte che la doglianza sia addirittura formulata in modo inammissibile. 4.1.1 Sul punto, non è inutile ricordare che, in relazione al contenuto della censura, la Corte di legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via esclusiva al giudice di merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione, da parte del ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata. Ciò vale, in particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione. Ed infatti, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile se la decisione del giudice di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento . Ciò in quanto l’art. 606 comma 1, lett. e, cod. proc. pen. non consente al giudice di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione, sulla base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Orbene, secondo la giurisprudenza ricorre il vizio della mancanza, della contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire, per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti Sez. IV, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010 . Così delineato il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in punto di vizio argomentativo, osserva la Corte come, nel caso di specie, la parte ricorrente la voglia sollecitare ad una nuova valutazione della prova dichiarativa, già ampiamente scrutinata dai giudici di merito e già valutata probatoriamente ai fini del giudizio di penale responsabilità dell’imputato, proponendo, sotto quest’ultimo profilo, la parte ricorrente una doglianza palesemente inammissibile. Ed invero, il giudice di appello ha fornito una congrua ed adeguata motivazione - a differenza di quanto eccepito dalla parte ricorrente che, sul punto qui da ultimo in esame, ha dedotta addirittura una omessa motivazione - anche in ordine al profilo di credibilità intrinseca della persona offesa, giudizio quest’ultimo collegato all’accertata assenza di pregressi dissapori tra le parti, arricchendo, peraltro, la motivazione anche dell’ulteriore profilo - neanche richiesto, a mente dell’art. 192 cod. proc. pen. - della presenza di ulteriori riscontri esterni alle dichiarazioni della persona offesa, rappresentati, nella specie, dalla conferma delle dichiarazioni minacciose dalla moglie della vittima del reato che aveva ascoltato la conversazione in viva voce e dall’ulteriore elemento di conferma discendente dall’esame dei tabulati telefonici. 4.1.2 Sotto altro profilo, e cioè quello legato al denunziato travisamento della prova , osserva la Corte, in premessa, quanto segue. 4.1.2.1 Per rintracciarsi un travisamento della prova , denunziabile come vizio in sede di legittimità nella nuova versione normativa fuoriuscita dalla novella legislativa di cui alla L. 46/2006, occorre che la prova travisata sia idonea a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e nello stesso tempo riguardi una prova decisiva per il decidere Cass., Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 23720701 . Va dunque ribadito, anche in questa sede decisoria ed in tema di motivi di ricorso per cassazione, il principio secondo cui il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale o probatorio Cass., Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 - dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 25877401 . È noto che, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., lett. e , dalla L. n. 46 del 2006, non è deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto , stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito Cass. pen. sez. 6^, 25255/2012 Rv. 253099 . È invece deducibile ex art. 606 cod. proc. pen., il travisamento della prova , il quale si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tale ipotesi, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano o meno Cass. pen. sez. 5, 39048/2007 Rv. 238215 . Siffatto vizio di travisamento della prova è, comunque. denunciabile con il ricorso per cassazione a quando ricorra la cosiddetta contraddittorietà processuale Cass. pen. sez. 6, 8342/2011 Rv.249583 b quando si tratti di travisamento di una prova decisiva acquisita al processo, che è integrato dall’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto Cass. pen. sez. 3, 39729/2009 Rv. 244623 c quando si prospetti il vizio di travisamento della prova dichiarativa , e questo abbia un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare in modo palese e non controvertibile la tangibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto, con esclusione peraltro del detto vizio, laddove si faccia questione di un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima Cass. pen. sez. 5^, 933872013 Rv. 255087. Massime precedenti Conformi N. 15556 del 2008 Rv. 239533, N. 46451 del 2009 Rv. 245611, N. 14732 del 2011 Rv. 250133 . In questo contesto normativo, assume così pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà del testo della decisione agli atti processuali o probatori, risultando valorizzati, oltre la tenuta logico-argomentativa , anche i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa della motivazione Cass., Sez. Un., 30/10/2003, Andreotti e, nel contempo, rafforzato l’onere di specifica indicazione delle ragioni a sostegno del peculiare motivo di ricorso imperniato sulla contraddittorietà processuale , già gravante sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c . La portata innovativa dello statuto del vizio di travisamento della prova trova conferma nelle coerenti e largamente prevalenti applicazioni giurisprudenziali della riforma v., ex plurimis, Cass., Sez. 6^, 15/3/2006, Casula, rv. 233708 Sez. 2^, 23/3/2006, P.M. in proc. Napoli, rv. 233460 Sez. 2^, 5/5/2006, Capri, rv. 233733-735 Sez. 1^, 2/5/2006, Scognamiglio, rv. 233781 Sez. 1^, 14/7/2006, n. 25117, Stojanovic, in Foro it. 2006, 2^, 531 , nelle quali, peraltro, si riconosce la sussistenza del vizio soltanto quando l’errore disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione. Niente di tutto ciò è stato denunziato dalla parte ricorrente. Ciò posto, osserva la Corte come, sebbene la parte ricorrente voglia ricondurre il vizio denunziato nel paradigma applicativo del travisamento della prova in relazione alla insussistenza fattuale della seconda frase minacciosa, per come riportata nell’editto accusatorio , in realtà la doglianza si incentri diversamente sulla richiesta di rivalutazione contenutistica della prova dichiarativa di cui si denunzia il travisamento, e ciò senza neanche allegare un vizio argomentativo declinabile ai sensi della lettera e dell’art. 606, primo comma, del codice di rito, con ciò ponendo la doglianza al di fuori del perimetro di cognizione del giudizio di legittimità, per quanto già sopra precisato. Peraltro, osserva la Corte come, anche a tutto voler concedere alla tesi difensiva della parte ricorrente sul punto qui da ultimo in discussione, non è comunque dubitabile che la doglianza così sollevata, e ciò relativamente alla frase incontriamoci personalmente , non è in grado, per come formulata nell’atto introduttivo, ad integrare quell’errore percettivo idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale o probatorio allegato, giacché, per quanto sopra riferito, è principio consolidato quello secondo cui il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, deve essere idoneo ad intaccare la tenuta complessiva del ragionamento probatorio su cui si regge la motivazione impugnata. Orbene, per quanto già sopra affermato il pronunciamento già della prima fase sopra ricordata rivestiva, già di per sé, una forte valenza intimidatoria e minacciosa e. dunque, le ulteriori censure qui sollevate dalla parte ricorrente risultano, francamente, non rilevanti. 5. Il quarto motivo è invece inammissibile in ragione della sua genericità. 5.1 Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta anche sul profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. 6. Il quinto motivo è anch’esso inammissibile. Ed invero, giova ricordare che l’istituto di nuovo conio di cui all’art. 131 bis cod. pen. è stato introdotto, nell’ordinamento positivo, con D.Lgs 16.3.2015 e, dunque, la parte ricorrente avrebbe potuto richiedere l’applicazione del predetto per lo meno in sede di discussione della udienza in appello che si è celebrata in data 10.2.2016. In mancanza di ciò, non è più possibile reclamare il beneficio di cui al detto art. 131 bis per la prima volta innanzi alla Corte di Cassazione. 7. Anche il sesto motivo, la cui doglianza si incentra sull’accertamento del risarcimento del danno subito dalla persona offesa, pecca delle medesime carenze di genericità sopra evidenziate e dunque va dichiarato irricevibile. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.