La sospensione del processo tributario non incide sul sequestro preventivo

In tema di reati tributari, il profitto di reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e, nell’ipotesi di sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato da parte della Commissione Tributaria, ex art. 47 d.lgs. n. 546/1992, i presupposti per il sequestro preventivo funzionale alla confisca non vengono ridimensionati, in considerazione della cognizione sommaria e limitata nel tempo della sospensione solo lo sgravio da parte dell’Agenzia delle Entrate, o la sentenza di merito – anche non definitiva – da parte della Commissione Tributaria fanno venire meno il profitto del reato ai fini del sequestro.

Questo il principio di diritto stabilito dalla Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19994, depositata il 27 aprile 2017. La confisca per equivalente. La pronuncia in esame richiama diffusamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in merito all’istituto della confisca per equivalente, cioè a quella che è stata definita una vera e propria sanzione, disposta su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato. Mediante tale istituto, viene assolta una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo, e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. La confisca per equivalente può essere applicata unicamente con riguardo a somme percepite anteriormente all’entrata in vigore delle norme che la consentono. In altri termini, essa non può essere applicata retroattivamente, in quanto – come detto – ha natura sanzionatoria, e non di misura di sicurezza patrimoniale. Proprio su tali basi è stata ritenuta manifestamente infondata, dalla Corte Costituzionale sentenza n. 97/2009 , la questione di legittimità degli artt. 200, 322- ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007, censurati, in riferimento all'art. 117, comma 1, Costituzione, nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità, con specifico riguardo ai reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore della citata legge del 2007. Il problema si era posto, nella giurisprudenza di legittimità, sulla base della duplice considerazione che il comma 2 dell'art. 25, Costituzione vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto, con i principi sanciti dall'art. 7 CEDU, l'applicazione retroattiva di una confisca di beni, riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Al riguardo, si è confermato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un rapporto di pertinenzialità” tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l'applicabilità, a tale istituto, del principio generale dell'art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Altra caratteristica fondamentale dell’istituto de quo è che la confisca non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, il che sta a significare che la motivazione del provvedimento che la dispone dovrà dare atto della valutazione della equivalenza fra il valore dei beni confiscati e l’entità del profitto riveniente dal reato. La dichiarazione infedele. Nella decisione in commento, i Giudici della terza sezione penale hanno richiamato l’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 in materia di dichiarazione infedele. Tale norma delinea un’ipotesi di dichiarazione non fraudolenta. Nel sistema congegnato dal legislatore della riforma del diritto penale tributario, tale fattispecie costituisce una sorta di delitto di chiusura” rispetto a quelli di dichiarazione fraudolenta, commessi sia per mezzo di utilizzazione di fatture false art. 2 del citato decreto , sia mediante artifici fondati su falsità contenute nelle scritture contabili obbligatorie art. 3 d.lgs. n. 74/2000 . Sebbene la struttura del delitto de quo rispecchi, grosso modo, quella delle fattispecie criminose sub artt. 2 e 3, l’elemento discriminante del reato in esame deve essere ravvisato proprio nell’assenza di uno speciale coefficiente di insidiosità. Prova della natura sussidiaria del delitto de quo , rispetto ai più gravi reati di cui agli artt. 2 e 3 del decreto, è la clausola di riserva con cui il legislatore ha inteso aprire l’art. 4. La condotta punibile consiste nell’indicazione, in una delle dichiarazioni annuali relative all’imposta sul valore aggiunto o sui redditi, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, oppure di elementi passivi fittizi. A differenza delle ipotesi di dichiarazione fraudolenta, la dichiarazione infedele è peraltro un reato a forma libera”, atteso che l’indicazione, in una delle dichiarazioni annuali, relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, o di elementi passivi fittizi, al fine di evadere le stesse imposte, non richiede particolari requisiti o vincoli. La punibilità del reato de quo presuppone che l’evasione fiscale perpetrata sia di particolare entità e gravità in altri termini, conformemente alla ratio sottesa all’intero impianto legislativo del d.lgs. n. 74/2000, occorre che essa sia effettivamente lesiva degli interessi dell’Amministrazione finanziaria, sulla base del superamento di soglie di punibilità predeterminate per legge.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 settembre 2016 – 27 aprile 2017, n. 19994 Presidente Amoroso – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Avellino con ordinanza del 15 marzo 2016 confermava il provvedimento del Giudice delle indagini preliminari di Avellino del 6 febbraio 2016, che aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sino alla concorrenza di Euro 677.590,00 dei beni di proprietà dell’indagata B.R B.R. risultava indagata, per il reato di cui all’art. 4, d. lgs. 74 del 2000, dichiarazione infedele per l’anno di imposta 2010 relativa alla società Property s.r.l. reddito di Euro 7.446.158,00, società con due soli soci, la ricorrente al 49 % e N.M. al 51% . 2. Ricorre in Cassazione B.R. , tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2. 1. Violazione di legge, art. 125 cod. proc. pen., 28 d.lgs. 175/2004 e art. 2495, comma 2, cod. civ La Commissione Tributaria Provinciale di Avellino sospendeva l’esecutività degli atti impugnati avvisi di accertamento n. TFK01040187 e n. TFK01040188 con provvedimento del 17 dicembre 2015. Gli avvisi di accertamento erano stati emessi in violazione dell’art. 28, d.lgs. 175/2014 e dell’art. 2495, comma 2, cod. civ. Infatti la società si era cancellata dal registro delle imprese con decorrenza dal 26 settembre 2014 con la cancellazione tutti gli accertamenti sia nei confronti della società e sia nei confronti dei soci erano da ritenersi invalidi. L’unico presupposto genetico del sequestro preventivo l’atto di accertamento verso la ricorrente, sospeso era venuto meno e quindi il sequestro andava revocato, come richiesto dalla ricorrente. L’ordinanza impugnata confonde l’eccezione di nullità assoluta ed insanabile degli avvisi di accertamento con la irregolarità amministrativa irregolarità amministrativa del resto mai eccepita . Sia la notizia criminis e sia il relativo sequestro si fondavano solo ed esclusivamente sugli atti di accertamenti da ritenersi nulli, e sospesi dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino. Anche con l’entrata in vigore dell’art. 28, d.lgs. 175 del 2014, che prevede la vigenza delle società cancellate per 5 anni dalla cancellazione, ai fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi, gli atti di accertamento sono da considerare nulli, non potendo tale disposizione applicarsi retroattivamente infatti la società è stata cancellata dal registro delle imprese, in data anteriore al 13 dicembre 2014 . Risulta poi evidente che il profitto del reato, per disporre un sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve sussistere sia al momento genetico del sequestro, e sia per il suo mantenimento. La sospensione della pretesa tributaria effettuata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino rende inesistente il profitto del reato. Appare innegabile sostenere che se quell’accertamento fiscale oggetto dell’avviso già impugnato nella sede tributaria non poteva essere emesso come prescrive la norma dell’art. 2495 cod. civ. oggi alla ricorrente non si sarebbe mai potuto sequestrare per equivalente - in sede penale - la somma di C 667.590,00, per una asserita infedele dichiarazione frutto di una serie indeterminata di presunzioni. Non risulta infatti dimostrata anche la distribuzione degli utili in capo alla ricorrente. Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. 3. La Procura generale della Corte di Cassazione, sostituto procuratore generale Gabriele Mazzotta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi. Deve premettersi che con precedente decisione di questa Corte sentenza del 14 giugno 2016, n. 38142 il precedente ricorso della B.R. avverso l’ordinanza del 9 dicembre 2015 del Tribunale del riesame di Avellino, che aveva rigettato il riesame proposto verso il decreto di sequestro preventivo per equivalente nei confronti della ricorrente per la somma di Euro 667.590,00, è stato dichiarato inammissibile. L’unico elemento non valutato dalla precedente decisione risulta la sospensione degli atti di accertamento da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino quindi solo su tale aspetto deve ritenersi proposto il presente ricorso, restando assorbiti tutti i rilievi diversi, già decisi con la precedente sentenza della Cassazione. Sulla questione è necessaria una breve premessa sull’istituto della sospensione nel processo tributario. La sospensione è prevista dall’art. 47 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n 546 Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso . Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile . I requisisti per la sospensione sono il danno grave ed irreparabile e la valutazione della probabile fondatezza del ricorso delibato il merito . Nel nostro caso l’ordinanza prodotta non contiene motivazioni, si limita a sospendere l’atto La Commissione, ritenuto che sussistono le condizioni ed i presupposti di legge, sospende l’esecutività dell’atto impugnato . Conseguentemente non può certamente ritenersi che da questa sospensione è venuta meno la pretesa tributaria e la stessa azione penale, ed in particolare il requisito per un sequestro preventivo fumus Ai fini dell’emissione del sequestro preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del fumus commissi delicti attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato , Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015 - dep. 15/12/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 26543301 . La sospensione dell’atto del processo tributario per sua natura ha una limitata efficacia - fino alla decisione nel merito - e la cognizione della Commissione tributaria è sommaria. Conseguentemente la sospensione dell’atto non incide sulla sussistenza dei requisiti per il sequestro preventivo In tema di reati tributari, il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, che rimane inalterato anche nella ipotesi di sospensione della esecutività della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria Sez. 3, n. 9578 del 17/01/2013 - dep. 28/02/2013, Tanghetti, Rv. 25474801 . Solo lo sgravio da parte dell’Agenzia delle entrate o l’annullamento della pretesa fiscale con decisione della Commissione Tributaria - anche se non definitiva - potrebbe incidere sul profitto e quindi sui presupposti del sequestro In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di sgravio da parte dell’Amministrazione finanziaria Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015 - dep. 28/09/2015, Lombardi Stronati, Rv. 26478901 . Può conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto In tema di reati tributari, il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e nell’ipotesi di sospensione della esecutività dell’atto impugnato da parte della Commissione Tributaria, ex art. 47 d. Igs. 546 del 1992, i presupposti per il sequestro preventivo funzionale alla confisca non vengono ridimensionati, in considerazione della cognizione sommaria e limitata nel tempo della sospensione solo lo sgravio da parte dell’Agenzia delle entrate o la sentenza di merito anche non definitiva - della Commissione Tributaria fanno venire meno il profitto del reato ai fini del sequestro . Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.