Responsabile di un incidente stradale e della morte di una donna, la sua difesa non può basarsi sull’errore dei sanitari

L'eventuale errore dei sanitari, nel prestare cure a seguito di un sinistro, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di chi ha causato l'incidente e la morte del ferito.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19033/17 depositata il 20 aprile. Il grande raccordo anulare. Dei lavori in corso. Il limite di velocità a 50 km/h. Ma a chi conduceva quella Mercedes proprio non andava giù di guidare a meno di 112 km/h. E così il ‘pilota di formula uno’ tenta anche un sorpasso senza osservare la debita distanza di sicurezza e finisce per urtare violentemente con la parte anteriore del veicolo la parte posteriore di una Fiat che lo precedeva e sulla quale viaggiava come trasportata una donna. L'impatto, oltre a deformare gravemente il veicolo, lo sospingeva avanti sino ad urtare violentemente contro i new jersey in cemento, posti ai lati della carreggiata, quello di destra prima e quello di sinistra poi. Cagionava così la morte della citata donna. Decesso che interveniva, qualche giorno dopo in ospedale, dove la stessa era stata ricoverata in prognosi riservata. Il percorso motivazionale della Corte d’appello nella condanna del responsabile del sinistro. La Corte territoriale, rilevata la incontrovertibile ricostruzione della dinamica del sinistro addebitabile alla esclusiva responsabilità dell'imputato, non condivideva la tesi difensiva secondo cui dalla stessa relazione di consulenza tecnica del PM sarebbero emersi elementi per ritenere che il decesso della sfortunata sarebbe stato conseguenze della condotta commissiva dei sanitari che la sottoposero ad intervento chirurgico. Questo era il motivo principale sul quale l'imputato proponeva ricorso a mezzo del proprio difensore dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. La Corte d’appello, nell'esaminare la relativa doglianza e la richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale finalizzata proprio alla verifica della responsabilità colposa dei medici, riteneva quest'ultima non solo superflua ma anche non decisiva, rilevando come il consulente tecnico, nel corso delle dichiarazioni rese in udienza, avesse chiarito che, nonostante la lesione vertebrale non presentasse, all'esame obiettivo effettuato presso il pronto soccorso, segni evidenti di lesione del midollo osseo, successivamente, a seguito degli accertamenti strumentali, era stata correttamente diagnosticata la lesione e ritenuto necessario procedere in via di urgenza all'intervento chirurgico. Era pacifico che la riscontrata lesione era derivata dal sinistro stradale occorso alla donna. Inoltre, la malcapitata risultava deceduta - proprio dagli accertamenti tecnici e scientifici, anche con l'esame autoptico - a causa di un arresto cardiocircolatorio da tromboembolia polmonare in un soggetto con lesioni contusive multiple e polidistrettuali precedentemente sottoposto ad intervento di osteosintesi posteriore in urgenza. La condanna dell'imputato derivava dal fatto che la Corte territoriale non aveva ravvisato alcuna contraddizione nella ctu considerato che, a prescindere dall' elevato rischio di tromboembolia connesso alla sottoposizione a interventi chirurgici, e dunque comune ad altre categorie di soggetti a rischio, nel caso in esame la donna aveva riportato a causa del sinistro lesioni contusive multiple che, per come aveva chiarito il consulente, potevano aver determinato esse stesse la tromboembolia polmonare. Pertanto, il giudice d'appello nel rilevare come l'intervento risultasse, a causa delle condizioni della donna a seguito dell'incidente, del tutto urgente, escludeva che esso avesse interrotto la serie causale tra la condotta di guida e l'evento morte, trattandosi di un fatto tipico e prevedibile che si inserisce perfettamente nella sequenza causale originata dalla azione offensiva dell’agente, rispetto alla quale aveva costituito niente più che un momento di normale evoluzione. La posizione della Corte di Cassazione. La Suprema Corte evidenzia come, in realtà, la decisione impugnata sia del tutto coerente con l'orientamento giurisprudenziale dei Giudici di Piazza Cavour. In linea generale, infatti, viene ribadito che, in tema di rapporto di causalità, non può ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento il comportamento negligente di un soggetto che trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui, la quale abbia posto in essere le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente. Inoltre precisa che le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità, oltre a quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, possono essere costituite anche da fatti sopravvenuti, purché realizzino una linea di sviluppo del tutto anomala ed imprevedibile della condotta antecedente. In sintesi, la Suprema Corte rammenta che deve trattarsi di un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente eccezionale ed anomalo, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili, di un rischio del tutto nuovo oppure del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta. In termini diversi l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito. E ciò anche nel caso di colpa grave dei medici poiché, anche in questo caso, non può ritenersi l'interruzione del nesso causale rispetto al comportamento dell’agente perché questi, provocando l'evento, ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico ma, anzi, una ipotesi che inserisce nello sviluppo della serie causale. E tanto anche nel caso di situazioni di colpa commissiva in cui, tuttavia, contrariamente a quanto assume parte ricorrente, è necessario che l'intervento dei sanitari sia valutato alla luce dei principi di diritto testè esposti, cosicché, nel caso in esame, tenuto conto di tutti gli elementi fattuali sui quali si è pronunciato il consulente tecnico e delle valutazioni che la Corte territoriale ha condotto sulla scorta della diagnosticata urgenza dell'intervento, le censure difensive vengono ritenute manifestamente prive di qualsivoglia fondamento.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 marzo – 20 aprile 2017, n. 19033 Presidente Bianchi – Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Roma, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale capitolino del 29/04/2010, appellata da C.A. , con la quale costui era stato condannato per il delitto di cui all’art. 589 co. 1 e 2, cod. pen., rideterminando la pena e la sanzione amministrativa accessoria e confermando nel resto. 2. In particolare, si è contestato al C. di avere - mentre percorreva la carreggiata interna del , alla guida dell’autovettura Mercedes SLK, direzione omissis , all’altezza del progressivo chilometrico circa, in un tratto interessato da segnalati lavori per la realizzazione/ampliamento della terza corsia di marcia, con conseguente restringimento della carreggiata, cagionato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme del C.d.S. e, in particolare, degli artt. 141, 142 e 149 C.d.S., procedendo ad una velocità eccessiva non inferiore a 112 Km/h in luogo dei 50 Km/h prescritti in quel tratto e, comunque, non commisurata alle caratteristiche ed alle condizioni della strada e del traffico, tentando un sorpasso senza osservare la debita distanza di sicurezza - urtato violentemente con la parte anteriore destra del proprio veicolo la parte posteriore sinistra della FIAT Punto che lo precedeva, vettura condotta da D.B.L. e sulla quale viaggiava come trasportata D.V.G. . L’impatto, oltre a deformare gravemente il veicolo, lo sospingeva in avanti ad urtare violentemente contro i new jersey in cemento posti ai lati della carreggiata, quello di destra prima e quello di sinistra poi, per fermarsi infine a circa m. 84 dal punto d’urto, così cagionando la morte della citata D.V. , che interveniva qualche giorno dopo in ospedale, ove la stessa era stata ricoverata in prognosi riservata in omissis , sinistro stradale del omissis . La Corte territoriale, rilevata la incontrovertibile ricostruzione della dinamica del sinistro addebitabile alla esclusiva responsabilità dell’imputato, non ha condiviso la tesi difensiva secondo cui dalla stessa relazione di consulenza tecnica del P.M. sarebbero emersi elementi per ritenere che il decesso della D.V. sarebbe stato conseguenza della condotta commissiva dei sanitari che sottoposero la predetta ad intervento chirurgico. 3. L’imputato C. ha proposto ricorso a mezzo di proprio difensore, formulando cinque motivi. Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione, assumendo che la Corte non avrebbe affrontato il tema sottopostole, specificamente inerente la decisività dell’accertamento della causa della tromboembolia che determinò il decesso della D.V. e la verifica della circostanza che essa si sarebbe verificata ugualmente in assenza dell’intervento chirurgico cui la donna fu sottoposta. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al rilievo difensivo che la condotta dei sanitari, essendo di tipo commissivo intervento chirurgico ben poteva interrompere il nesso causale tra l’incidente e il decesso, altresì rilevando che le conclusioni rassegnate dal giudice d’appello prescinderebbero in modo assoluto da evidenze scientifiche. Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge in relazione all’art. 41 co. 2, cod. pen., con riferimento alla causa sopravvenuta intervento chirurgico riconducibile alla condotta commissiva dei sanitari che, pur inserita nel percorso causale scaturito dall’incidente, avrebbe innescato un percorso completamente anomalo, avendo i medici operato una scelta terapeutica errata e tragicamente determinante l’evento morte. Con il quarto motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale. Con il quinto motivo, infine, ha dedotto analogo vizio della motivazione, evidenziando la contraddittorietà della scelta di negare le circostanze attenuanti generiche e, al contempo, determinare la pena base nel minimo edittale. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. Nel caso all’esame non si controverte, come ben precisato dalla Corte territoriale, della ricostruzione dell’incidente stradale, né della responsabilità dell’imputato in ordine al suo verificarsi, bensì del difetto del nesso causale tra l’incidente e il decesso della D.V. , per effetto della condotta dei sanitari che sottoposero la donna ad intervento chirurgico ortopedico di osteosintesi posteriore urgente , attese le lesioni riportate emitorace bilaterale, frattura della vertebra 5 dorsale D5 con anterolistei di D5 su D4 alla colonna vertebrale, in conseguenza del sinistro stradale. Scelta terapeutica operata, secondo la difesa, senza valutare gli elevati rischi di tromboembolia polmonare che la paziente correva, stante la sua età avanzata anni 78 e la natura dell’intervento. La Corte d’appello, nell’esaminare la relativa doglianza e la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale finalizzata proprio alla verifica della resposnabilità colposa dei medici, ha ritenuta quest’ultima non soltanto superflua, ma anche non decisiva, rilevando come il consulente tecnico O. , nel corso delle dichiarazioni rese in udienza, avesse chiarito che, nonostante la lesione vertebrale non presentasse, all’esame obiettivo effettuato presso il Pronto Soccorso, segni evidenti di lesione del midollo osseo, successivamente, a seguito degli accertamenti strumentali TC e RX , era stata correttamente diagnosticata la lesione e ritenuto necessario procedere, in via d’urgenza, all’intervento chirurgico, essendo pacifico che la riscontrata lesione era derivata dal sinistro stradale occorso alla donna. La Corte ha pure precisato che il consulente aveva effettuato i propri accertamenti tecnici e scientifici anche con l’esame autoptico , verificando che la donna era deceduta a seguito di un arresto cardiocircolatorio da tromboembolia polmonare in soggetto con lesioni contusive multiple e polidistrettuali precedentemente sottoposta ad intervento di osteosintesi posteriore in urgenza e aveva altresì specificato che le cure approntate erano state tempestive e congrue, sia in termini di scelta terapeutica intervento chirurgico di osteosintesi e artrodesi posteriore correttamente effettuato, come rilevato dalle lastre RX allegate alla cartella clinica , che per quanto concerneva il successivo monitoraggio della paziente presso il reparto di rianimazione. In tale ragionamento la Corte capitolina non ha ravvisato alcuna contraddizione, considerato che, a prescindere dall’elevato rischio di tromboembolia connesso alla sottoposizione a interventi chirurgici, comune ad altre categorie di soggetti a rischio, nel caso in esame, la D.V. aveva riportato, a seguito del sinistro, lesioni contusive multiple e polidistrettuali che, per come aveva chiarito il consulente, potevano determinare la tromboembolia polmonare. Inoltre, l’esame TC aveva rivelato in corrispondenza dell’emitorace di destra la presenza di una cospicua raccolta fluida e densità francamente ematica nella sua posizione declive e mista in sede antideclive in rapporto ad importante quota emorragica , con spandimento emorragico anche in sede mediastinica prevertebrale e minimamente in sede paravertebrale sinistra retroaortica , avene il consulente pure evidenziato che la paziente, al momento dell’intervento chirurgico, effettuato in via d’urgenza, a seguito dell’esame TC, presentava la rottura completa del legamento interspinoso e del legamento giallo D4-D5 che determina una importante instabilità . Il giudice d’appello, nel rilevare come l’intervento avesse richiesto l’applicazione di ben otto viti peduncolari e di due viti a barre in titanio per completare l’ancoraggio del rachide, ha ritenuto del tutto evidente l’urgenza dell’intervento cui la donna fu sottoposta ed escluso che esso avesse interrotto la serir causale tra la condotta di guida e l’evento, trattandosi di fatto tipico e prevedibile che s’inserisce perfettamente nella sequenza causale originata dall’azione offensiva dell’agente, rispetto alla quale aveva costituito, quindi, niente più che un momento di normale evoluzione, escluse nel caso di specie sia la colpa grave o omissioni nella fase post operatoria, che quella lieve. Infine, quanto al regime sanzionatorio, la Corte d’appello ha ritenuto condivisibile il giudizio negativo sulla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, stante la gravità delle conseguenza del reato e l’elevato grado di colpa emerso, al contempo stimando equo, alla luce della personalità dell’imputato, muovere da una pena base attestata al minimo edittale. 3. I primi quattro motivi sono infondati e possono essere congiuntamente trattati, poiché attengono alla medesima doglianza che ha costituito oggetto dell’atto di appello, anche per quanto riguarda la correlata questione del rigetto della richiesta ex art. 603 del cod. proc. pen La parte, per l’appunto, ha riproposto in questa sede di legittimità il tema della presunta colpa medica che ravvisa nella scelta terapeutica di sottoporre la paziente ad intervento chirurgico letale e preteso di trarne il fondamento fattuale dalla stessa relazione di consulenza, valorizzata per fondare il giudizio di penale responsabilità, assumendo il mancato vaglio di tale profilo interferente con la serie causale da parte dei giudici di merito, rispetto al quale si duole del mancato conferimento di apposito incarico peritale, nonché l’apoditticità delle conclusioni del consulente O. . Un comune denominatore contraddistingue i quattro motivi in esame. La difesa omette un confronto con le ragioni che sorreggono le rassegnate conclusioni di merito, e manca quindi di evidenziarne aspetti sindacabili, attraverso l’effettiva critica di esse. Lo sforzo difensivo, invece, si è incentrato sulla contestazione della decisione di rigetto del gravame di - merito, senza valutarne però i passaggi, invero numerosi, argomentati, logici e immuni da contraddizioni, attravero i quali la Corte capitolina ha ritenuto che l’intervento chirurgico cui la D.V. fu sottoposta non era assolutamente procrastinabile e si poneva quale sviluppo normale e prevedibile della condotta colposa ascritta al C. . La decisione impugnata, peraltro, è del tutto coerente con l’orientamento di questa Corte. In linea generale deve, infatti, ribadirsi anche in questa sede che, in tema di rapporto di causalità, non può ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento il comportamento negligente di un soggetto che trovi la sua origine e spiegazione nella condotta colposa altrui, la quale abbia posto in essere le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente cfr. sez. 4 n. 26020 del 29/04/2009, Rv. 243933 e che le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità, oltre a quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, possono essere costituite anche da fatti sopravvenuti, purché realizzino una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente cfr. sez. 4 n. 42502 del 25/09/2009, Rv. 245460 . In altri termini, deve trattarsi di un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta cfr. sez. 2 n. 17804 del 18/03/2015, Rv. 265381 , di un rischio del tutto nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta cfr. sez. 4 n. 15493 del 10/03/2016, Rv. 266786 . In altri termini, l’eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’incidente e la successiva morte del ferito cfr. sez. 4 n. 41293 del 04/10/2007, Rv. 237838 in fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interruzione del nesso di causalità rilevando che l’errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione nel caso in cui l’aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dall’incidente stradale e ciò anche in caso di colpa grave dei medici, poiché, anche in tal caso, non può ritenersi l’interruzione del nesso causale ex art. 41 co. 2, cod. pen., rispetto al comportamento dell’agente, perché questi, provocando l’evento, ha reso necessario l’intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un’ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale cfr. sez. 4 n. 41943 del 04/10/2006, Rv. 235537, in cui la Corte ha introdotto il distinguo tra situazioni di colpa commissiva addebitabili ai sanitari, suscettibili di essere valutate in termini di fatti interruttivi, dalle omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze, per le quali l’errore del medico non può prescindere dall’evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria, per cui la catena causale resta integra . Anche nel caso di situazioni di colpa commissiva, tuttavia, contrariamente a quanto assume parte ricorrente, è necessario che l’intervento dei sanitari sia valutato alla luce dei principi di diritto sopra ampiamente richiamati, cosicché, nel caso in esame, tenuto conto dei numerosi elementi fattuali sui quali si è pronunciato il consulente tecnico e delle valutazioni che la Corte di merito ha condotto sulla scorta della diagnosticata urgenza dell’intervento, le censure difensive devono ritenersi manifestamente prive di qualsivoglia fondamento. 4. Anche l’ultimo motivo è infondato, non ravvisandosi alcuna contraddittorietà nella decisione del giudice di merito di negare le circostanze attenuanti generiche e al contempo attestare la pena al minimo edittale, trattandosi di giudizi del tutto diversi ed avendo la Corte territoriale, per l’appunto, distinto le ragioni delle due determinazioni, ancorando il primo giudizio alla particolare gravità delle conseguenze della condotta di reato e all’elevato grado di colpa emerso dalla compiuta istruzione dibattimentale il secondo, alla personalità dell’imputato che annovera un solo precedente penale non specifico. 5. Al rigetto segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.