L’inadempienza fiscale del predecessore non “salva” il nuovo amministratore

Colui che assume la carica di amministratore si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze, anche di natura fiscale. Per questo motivo, risponde del reato di omesso versamento IVA il nuovo rappresentante legale, subentrato a quello che aveva materialmente redatto la dichiarazione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18834/17 depositata il 19 aprile. Il caso. Il Tribunale di Milano condannava il legale rappresentante di una società ad un anno di reclusione per l’omesso versamento dell’IVA dovuta per un ammontare pari a più di un milione di euro reato ex art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000 . La Corte d’appello, poi, concedeva al condannato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Avverso tale pronuncia quest’ultimo proponeva ricorso in Cassazione. L’assunzione della carica sociale. Il ricorrente lamenta la violazione di legge relativamente al d.lgs. summenzionato, nonché manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale. Il giudice di merito, infatti, non avrebbe considerato che egli aveva assunto la carica sociale in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione IVA, la quale era stata redatta da un altro soggetto e non indicava il debito IVA. La Corte di Cassazione prende atto della mancata contestazione dell’omissione del versamento di imposta dovuta e analizza le censure del ricorrente, incentrate sull’attribuibilità dell’omissione. La responsabilità per l’omesso versamento. Contrariamente alla tesi difensiva, la sentenza oggetto d’impugnazione ha dato conto del fatto che egli era il legale rappresentante della società al momento della scadenza del termine per compiere il versamento . Ciò lo metteva nella condizione di avere contezza, dalla semplice lettura della dichiarazione annuale IVA , del debito tributario della società, il quale imponeva il versamento di una somma entro una certa data, che corrispondeva a quella in cui egli rivestiva il ruolo di legale rappresentante e, quindi, di soggetto sui cui grava l’obbligazione tributaria . A nulla rileva il fatto che il soggetto che aveva materialmente redatto la dichiarazione IVA fosse un terzo infatti, per i reati previsti dal d.lgs. n. 74/2000, la responsabilità è attribuita all’amministratore, che viene individuato secondo le norme civilistiche e in ossequio al principio per cui colui che assume la carica di amministratore si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze . La responsabilità dell’amministratore, secondo la Suprema Corte, può essere configurata quantomeno a titolo di dolo eventuale, tanto più considerando che il debito fiscale non era remoto e/o occulto infatti, bastava soltanto che, prima di assumere la carica di amministratore, il ricorrente chiedesse la visione della dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario dell’IVA a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell’obbligazione tributaria . Per tutti questi motivi, il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 gennaio – 19 aprile 2017, n. 18834 Presidente Cavallo – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17 dicembre 2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, in data 8 gennaio 2015 appellata da G.A. , concedeva al predetto il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermava nel resto la sentenza. Il Tribunale di Milano aveva dichiarato responsabile G.A. del reato di cui all’art. 10- ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, perché quale legale rappresentante dal 06/10/2009 al 30/12/2009, della società Vox2Web spa, non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta, in base alla dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 2008, nel termine previsto per il pagamento dell’acconto Iva, per l’ammontare di Euro 1.486.076,00, fatto commesso in omissis , e lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione, pene accessorie. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione, G.A. , a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. attu. cod.proc.pen 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e cod.proc.pen. in relazione all’inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 603 cod.proc.pen., nonché mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento. Premette il corrente di aver chiesto, con i motivi aggiunti all’atto di appello, ex art. 585 comma 4 cod.proc.pen., l’acquisizione della relazione della società di revisione sul bilancio consolidato semestrale al 30 giugno 2009 , e che la Corte d’appello aveva negato l’acquisizione della predetta documentazione sulla scorta dell’erroneo convincimento che la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale fosse stata tardivamente proposta. La corte territoriale sarebbe incorsa in una erronea applicazione della legge processuale essendo stata la richiesta tempestivamente avanzata ai sensi e nei termini di cui all’articolo 603 cod.proc.pen. I giudici dell’appello avrebbero omesso di prendere in considerazione l’istanza difensiva ed avrebbero così omesso di assumere una prova decisiva sulla base di una motivazione erronea. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale del giudizio d’appello sarebbe stata preclusa sull’erroneo presupposto di una asserita tardività dell’istanza difensiva, senza, peraltro, alcuna motivazione in ordine al tema della rilevanza dell’acquisizione documentale. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’articolo 10- ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nonché il vizio di motivazione in relazione alla manifeste illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la violazione contestata non considerando che il G. aveva assunto la carica sociale in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione Iva, redatta da altro soggetto, e la dichiarazione non indicava il debito Iva, il cui omesso versamento sarebbe poi stato imputato al ricorrente. In altri termini, la corte avrebbe erroneamente imputato al ricorrente di aver omesso di versare un tributo di cui non vi era evidenza alcuna nella dichiarazione, sottoscritta da altro soggetto prima dell’assunzione della carica. Sotto altro profilo, la corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di motivazione di travisamento della prova, nella parte in cui avrebbe ritenuto, e ciò travisando la prova costituita dalla deposizione testimoniale del curatore del fallimento Dott. R. , che il dissesto della società fosse imputabile a scelte imprenditoriali che avevano condotto ad una lievitazione dei costi, situazione questa da riferire alla società capogruppo Omnia Network e non alla società Vox2Web spa. Dunque, la Corte d’appello avrebbe travisato la deposizione del curatore sul punto ed imputato la causa del dissesto della capogruppo alla società Vox2Web spa, motivazione contraddittoria nella parte in cui imputata al ricorrente la causa del dissesto ritenuta frutto di una strategia noncurante degli obblighi tributari che incombono sull’imprenditore. Ed ancora la Corte d’appello avrebbe omesso di prendere in considerazione la dedotta situazione di crisi economica finanziaria in cui versava la società, e più in generale il gruppo Omnia Network, ampiamente illustrata dalla difesa del ricorrente che aveva depositato perizia sulla scorta della quale aveva documentato di aver intrapreso precise attività di rilancio e di ricapitalizzazione del gruppo, produzioni che avrebbero dovuto condurre i giudici dell’appello ad escludere il dolo in capo al ricorrente. 2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 133 cod.pen., nonché il vizio di motivazione sotto il profilo della assenza di motivazione sulla determinazione della pena non contenuta nei minimi edittali. Argomenta il ricorrente che la Corte d’appello si sarebbe discostata dal minimo edittale senza una congrua e adeguata motivazione, ai sensi dell’articolo 133 c.p 2.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche fondate sull’assenza di elementi di segno favorevole e sul riferimento ai precedenti penali. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 5. Quanto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’acquisizione della documentazione allegata all’atto di appello, deve convenirsi con il ricorrente che la Corte ha erroneamente ritenuto la tardività della produzione, e ciò in quanto il chiaro disposto dell’art. 603 comma 1 cod.proc.pen. consente di chiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello con richiesta nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’art. 585 comma 4 cod.proc.pen., sicché non vi paiono esservi dubbi sulla erroneità della pronuncia di rigetto. Ciò non di meno, deve ricordarsi che è affermazione consolidata quella secondo cui l’acquisizione di una prova documentale nel giudizio di appello, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti ex multis Sez. 3, n. 37879 del 23/06/2015, Pisaniello, Rv. 265022 . L’integrazione istruttoria in grado di appello ha carattere eccezionale e può essere disposta soltanto quando il giudice non possa decidere allo stato degli atti il che si traduce nella necessità che la prova offerta sia decisiva, cioè idonea ad eliminare ogni incertezza o ad inficiare il valore probatorio di ogni altra risultanza di segno contrario Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv 237410 Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Modi, Rv 228920 . Nel caso di cui ci si occupa, il ricorrente, nel denunciare la mancata acquisizione della prova documentale non argomenta la decisività sull’esito del processo nel senso che, se valutata con il restante compendio probatorio, avrebbe avuto la capacità dimostrativa dell’infondatezza della accusa. Il ricorrente avrebbe dovuto argomentare quali elementi/circostanze obiettive rilevate dalla società di revisione nella relazione al bilancio consolidato, avrebbero dimostrato, e sotto quale profilo, l’infondatezza dell’accusa si da essere decisivi per sovvertire l’esito processuale. Erra il ricorrente nel sostenere in sé decisiva l’acquisizione della relazione al bilancio consolidato della società di revisione, dovendo essere dimostrata invece la decisività con riferimento ad accertamenti ivi contenuti aventi capacità dimostrativa nel senso di sovvertire l’epilogo della condanna. Il ricorso sul punto finisce per essere, anche, di carattere generico, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso. In ogni caso, nella stessa struttura argomentativa posta a base delle pronunce di merito, emerge la completezza probatoria per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento. 5. Il secondo motivo di ricorso con cui si censura l’affermazione della responsabilità penale e si deduce la violazione della legge penale in relazione all’art. 10 - ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è, parimenti, infondato. Deve premettersi che la materiale omissione del versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2008, sulla base dell’ultima dichiarazione, entro il termine per il versamento dell’acconto dell’anno successivo 27/12/2009 da parte del G. , non è oggetto di contestazione, essendo le censure incentrate sull’attribuibilità dell’omissione al G. , amministratore unico e legale rappresentate della Vox2Web spa, sul rilievo dell’assunzione della carica sociale in un momento successivo alla sottoscrizione della dichiarazione Iva, redatta da altro soggetto, e dell’assenza di esposizione del debito Iva nella medesima. 5.1. Contrariamente all’assunto difensivo pag. 4 , la sentenza impugnata ha dato atto che dalla dichiarazione annuale Iva modello IVA 2009, quadro VL, righi VL7,VL29 e VL39 erano riportati il credito finale, l’ammontare dell’imposta dovuta e non versata , l’ammontare dei versamenti periodici asseritamente compiuti. Dunque, risulta, per tabulas, dalla mera lettura del provvedimento impugnato, che il ricorrente, che al momento della scadenza del termine per compiere il versamento 27/12/2009 era il legale rappresentante, circostanza questa non contestata, ben poteva avere contezza, dalla semplice lettura della dichiarazione annuale IVA del 30 settembre 2009, del debito tributario della società, debito tributario che imponeva, come termine ultimo, il versamento della relativa somma al 27 dicembre 2009, data nella quale egli era il soggetto tenuto, in ragione della carica ricoperta, al versamento. A nulla rileva, infatti, che il soggetto che aveva materialmente redatto la dichiarazione Iva fosse diverso dal soggetto G. che era il legale rappresentante, al momento del termine ultimo per il versamento, soggetto su cui grava l’obbligazione tributaria, in presenza di debito tributario ben esposto nella relativa dichiarazione. Del resto, che il ricorrente non possa fondatamente sostenere di non essere stato a conoscenza del debito, posto in evidenza nella dichiarazione Iva, è ben argomentato nella sentenza impugnata che ha dato atto che il G. , era stato amministratore, con diversi ruoli, nella società Vox2Web spa, sin dal 2004, avendo ricoperto, per quanto qui di rilievo, la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione dal 17/04/2008 fino al marzo 2009, momento nel quale la società era amministrata da un Amministratore Unico, fino al 26/09/2009 momento nel quale l’esercizio della gestione era nuovamente passato in capo ad un consiglio di amministrazione, presieduto dal G. , fino al 30/12/2009, allorché la società era stata posta in liquidazione e il medesimo G. era stato nominato liquidatore. Dunque è totalmente smentita l’affermazione difensiva secondo cui il ricorrente non poteva essere a conoscenza del debito tributario non evincibile dalla dichiarazione sottoscritta da altri non avendo alcuna carica sociale al momento della sua compilazione. La Corte d’appello ha correttamente argomentato che il ricorrente, legale rappresentante al momento della scadenza del termine per il versamento, e dunque soggetto su cui grava l’obbligo tributario di versamento, aveva consapevolmente omesso il versamento dell’Iva, dovuta sulla base della dichiarazione che la esponeva. 5.2. La sentenza impugnata fa, peraltro, buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità per il caso in cui l’omesso versamento del debito Iva riguardi società di capitali. In tema la giurisprudenza della Corte di cassazione ha costantemente affermato che la responsabilità per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli artt. 2380 e ss., artt. 2455 e 2475 c.c. cioè a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente. Costoro, in quanto tali, sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. c ed e , adempiendo agli obblighi conseguenti, e ciò sulla base del principio secondo cui colui che assume la carica di amministratore, si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. 5.3. Per il rilievo concreto che assume nella decisione in scrutinio, questa Corte di legittimità ha già affermato che, nel caso di successione nella carica di amministratore di società/legale rappresentante in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del termine fissato per l’adempimento dell’obbligo tributario di versamento, sussiste la responsabilità, per i reati tributari connessi all’omesso versamento di imposte dovute, di colui che succede nella carica dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima del termine ultimo per il versamento della stessa Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882 Sez. 3, n. 39687 del 4.6.2014, Decataldo, Rv. 260390 , e ciò sul rilievo dell’assenza di compimento del previo controllo di natura prettamente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali che comporta la responsabilità quantomeno a titolo di dolo eventuale. E ciò tanto più in quei casi, come quello in esame, in cui il debito fiscale non era remoto e/o occulto, perché esposto nella dichiarazione presentata al 30 settembre 2009, poiché si trattava dell’Iva dovuta sulla base dell’ultima dichiarazione e, quindi, era sufficiente, prima di assumere la carica di amministratore pochi giorni dopo , di chiedere in visione la dichiarazione e l’attestato di versamento all’erario dell’iva a debito per adempiere nel termine stabilito al pagamento dell’obbligazione tributaria. 5.4. Va dunque, ribadito, il principio secondo cui l’assunzione della carica di amministratore, per comune esperienza, comporta una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove ciò non avvenga, risponde dei reati tributari in materia di mancato versamento di imposte, colui che subentra nella carica sociale/legale rappresentanza in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione di imposta, in quanto con l’assunzione della carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. 5.5. Alcun profilo di vizio di motivazione per travisamento della prova è poi ravvisabile, posto che ciò che è oggetto di contestazione è l’omissione di versamento dell’Iva dovuta sulla base della dichiarazione presentata al 30 settembre 2009, e relativa all’imposta Iva del 2008 dovuto all’erario. La società amministrata dal G. aveva una sua autonomia giuridica rispetto al gruppo di appartenenza e il debito tributario era maturato in seno alla gestione della stessa, sicché alcun rilievo poteva assumere il travisamento delle dichiarazioni rese dal curatore del fallimento dott. R. . Il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per avere concreto rilievo, quale violazione dell’art. 606 lett. e , cod. proc. pen. deve essere idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio rendendo, conseguentemente, illogica la motivazione. E ciò in quanto al giudice di legittimità è consentito non già di accertare eventuali travisamenti del fatto - e dunque di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice merito -, bensì solo di verificare che quest’ultimo non abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta per l’appunto di reinterpretare gli elementi di prova valutati nel merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano e facessero dunque effettivamente parte dell’orizzonte cognitivo di quel giudice Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948 Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 Maggio, Rv. 255087 Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belluccia, Rv 244623 Sez.5. n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola, Rv 238215 Sez. 1, n. 24667, del 15 giugno 2007, Musumeci, Rv 237207 Sez. 4, n. 21602 del 07 aprile 2007, Ventola, Rv 237588 . Tale situazione non è predicabile per il caso in scrutinio nel quale, anche dato per ammesso il travisamento del contenuto delle dichiarazione rese dal curatore del fallimento, rimane il dato obiettivo e neppure contestato dell’omesso versamento del tributo. 5.6. Infine, alcun rilievo può riconnettersi alla crisi finanziaria quale elemento per escludere il dolo del reato. Rileva, in primo luogo, la Corte che in tema di reati di omesso versamento Iva, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, l’imputato ben può invocare la situazione di crisi economica che determina l’impossibilità di adempimento dell’obbligazione, quale causa di esclusione della responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190 . In altri termini l’indagato deve allegare la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055 . Orbene, il ricorrente nulla allega circa il fatto che la crisi finanziaria non sia al medesimo imputabile, rimanendo del tutto sprovvisto di allegazione il primo requisito, al contrario la sentenza impugnata dà conto del fatto che neppure era stato prospettato il mancato pagamento delle fatture cfr. pag. 4. Del pari alcun rilievo può riconnettersi sul piano dell’esclusione del dolo all’allegazione di aver posto in essere azioni volte al rilancio e ricapitalizzazione che prevedevano la ristrutturazione della Vox2Web spa , al pari della affermazione che l’indebitamento, e la conseguente crisi economica, fossero imputabili all’aumento dei costi del lavoro a seguito della modifica giuslavoristica, e ciò in ragione dello stesso meccanismo di imposizione del tributo da versare l’i.v.a. che è costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale, sicché la prova deve essere rigorosa per l’escludere il dolo del reato. 6. Infondati sono, infine, le censure sul trattamento sanzionatorio. La Corte d’appello, in continuità con la motivazione del Tribunale, richiamata sul punto, ha confermato la pena inflitta nella misura di anni uno di reclusione alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. e segnatamente in ragione dell’entità del tributo evaso Euro 1.468.076,00 . Al riguardo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, Waychey e altri, Rv. 258410 . Il provvedimento è, dunque, corretto sul piano del diritto e sorretto da congrua motivazione che non presenta profili di illogicità sindacabili in questa sede. 6.1. Quanto al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62- bis cod.pen., la Corte d’appello ha positivamente esposto gli elementi negativi della personalità desunti dai precedenti penali in materia di tutela della salute dei lavoratori e per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, sicché alcun vizio di violazione di legge e di motivazione è predicabile. Inoltre, deve rammentarsi che ai fini della determinazione della pena, così come per la configurabilità o meno delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può valutare gli stessi elementi la gravità del fatto e la personalità dell’imputato , in vista di diversi fini, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem . Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378 Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, Debbiche Helmi e altri, Rv. 258011 . Infine, di carattere generico è la censura di omessa valutazione degli artt. 132, 133 cod.pen. nella determinazione della pena ritenuta non adeguata al caso concreto. 7. Conclusivamente il ricorso va rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.