L’intralcio alla giustizia può sussistere anche prima dell’inizio del processo

Le pressioni e le minacce esercitate su colui che abbia reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari sono punibili ai sensi dell’art. 377 c.p

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18371/17 depositata l’11 aprile. Il caso. Un imputato per lesioni personali aggravate e intralcio alla giustizia veniva condannato dalla Corte d’appello di Trieste, a conferma della pronuncia di primo grado. Il difensore ricorre per la cassazione della pronuncia dolendosi per il fatto che i giudici avessero valorizzato le dichiarazioni della persona offesa nonostante la confusa deposizione, gli incerti riconoscimenti fotografici e la contraddittoria ricostruzione del fatto, oltre che per la violazione dell’art. 377 c.p Intralcio. Il primo motivo viene scartato come inammissibile posto che sollecita una diversa lettura del materiale probatorio, preclusa al giudizio di legittimità. Manifestamente infondata è invece la seconda doglianza in merito alla quale la Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il delitto di intralcio alla giustizia è configurabile anche con riferimento a pressioni e minacce esercitate su colui che abbia reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari – come avvenuto nel caso di specie – al fine di indurlo a ritrattare la dichiarazione in vista dell’acquisizione della posizione di testimone nel dibattimento. Sulla base di tale argomentazione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 marzo – 11 aprile 2017, n. 18371 Presidente Paoloni – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 28/9/2015 la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Udine in data 27/4/2014 nei confronti di C.T. per i reati di cui agli artt. 377, comma terzo e quarto, cod. pen. e 582, 585, 576, comma 1, n. 2, 61, comma 1, nn. 1 e 2, 577, comma 1, n. 3 cod. pen., commessi in danno di P.P. . 2. Ha proposto ricorso il C. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b e c , cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen Con valutazione apodittica e inadeguata la Corte di appello aveva valorizzato le dichiarazioni del P. nonostante i plurimi profili di inattendibilità del predetto, palesati dalla confusa deposizione di lui, dagli incerti riconoscimenti fotografici e dalla contraddittoria ricostruzione della partecipazione del ricorrente all’aggressione, come primo o come secondo aggressore, ciò che si era riverberato sul trattamento sanzionatorio. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. in relazione all’art 377 cod. pen Segnala che il reato può essere integrato quando la condotta si rivolge contro chi abbia assunto la veste formale di testimone, mentre nel caso di specie il P. aveva già reso in fase di indagini dichiarazioni nei confronti di L. e non era ipotizzabile neppure una sua successiva escussione, attesa la probabilità, registratasi in concreto, che il processo a carico dell’imputato minorenne fosse definito con riti alternativi. 3. Il primo motivo è inammissibile, in quanto in primo luogo non si confronta in alcun modo con gli argomenti alla cui stregua la Corte ha ritenuto attendibile il P. e comunque provata la diretta partecipazione del ricorrente all’aggressione, e in secondo luogo è rivolto a sollecitare una diversa lettura del materiale probatorio, ritenuta più adeguata, ciò che travalica i limiti dello scrutinio di legittimità. Ed invero la Corte ha posto in luce come il ricorrente si fosse confessato autore dell’aggressione nel corso dell’interrogatorio reso in sede di convalida. Inoltre ha rilevato che il P. lo aveva immediatamente indicato, risultando irrilevanti le imprecisioni inerenti al fatto che il C. fosse stato il primo o il secondo aggressore e al fatto che il ricorrente fosse stato indicato come To. invece che come T. , dovendosi invece considerare che il P. , presentatosi ai Carabinieri, recava segni evidenti di lesioni, che immediatamente era emersa la causale dell’aggressione, in relazione alla ordinanza cautelare notificata quel giorno al L. , e che l’esistenza del tafferuglio era stata confermata anche da altri testi. Si tratta di un complesso argomentativo che non ha formato oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, il quale si è soffermato su elementi diversi e destinati, secondo gli auspici, a propiziare una diversa valutazione, ignorando il dato di partenza rappresentato dalla confessione. Né, alla luce dei principi che regolano la materia del concorso di persone, è stato spiegato in che misura una diversa ricostruzione, incentrata sul ruolo del ricorrente quale primo o secondo aggressore, avrebbe potuto concretamente influire sul trattamento sanzionatorio, risultando dunque anche tale deduzione meramente assertiva. 4. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Costituisce infatti principio consolidato che è configurabile il delitto di intralcio alla giustizia anche con riferimento alle pressioni e alle minacce esercitate su colui che abbia reso dichiarazioni accusatorie nella fase delle indagini preliminari al fine di indurlo alla ritrattazione in vista dell’acquisizione, da parte sua, della qualità di testimone nel celebrando dibattimento Cass. Sez. 6, n. 50008 del 20/10/2015, Ciarla, rv. 266040 . D’altro canto non rileva la circostanza che nell’ambito del procedimento a carico di A. e L. non si fosse fatto luogo a dibattimento nelle forme ordinarie, circostanza che non può affatto reputarsi alla stregua un’indefettibile regola nel processo a carico di minori. 5. All’inammissibilità, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell’inammissibilità, a quello della somma di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.