Dipendente comunale in fuga dal lavoro: legittima la sospensione

Sotto accusa il conducente dello ‘scuolabus’. A lui è contestato di essersi ripetutamente allontanato dall’autoparco senza motivo e senza timbrare il cartellino. Confermata la misura adottata nei suoi confronti.

Sotto accusa il conducente dello ‘scuolabus’ di un piccolo Comune siciliano. A lui vengono contestate alcune ‘fughe’ dal luogo di lavoro, non certificate però dal ‘badge’. Legittima, nonostante le contestazioni del lavoratore, la sospensione Cassazione, sentenza n. 17569/2107, Sez. II Penale, depositata il 6 aprile 2017 . Presenza. Linea di pensiero condivisa per Gip e giudici del Tribunale viene ritenuta legittima la misura cautelare interdittiva della sospensione del pubblico servizio adottata nei confronti del dipendente comunale a cui è contestato di essersi allontanato durante l’orario di servizio, senza timbrare il cartellino , né in uscita né in occasione del rientro, e senza chiedere il permesso al dirigente . Il lavoratore prova a difendersi, spiegando di avere svolto i propri compiti, cioè rendere operativi i mezzi ed espletare il servizio di ‘scuolabus’ , e di essersi allontanato dall’ autoparco solo perché privo di luoghi di accoglienza e di servizi igienici . E questo comportamento, sostiene il dipendente, non ha arrecato alcun danno economico apprezzabile al Comune. Questa visione viene però respinta dalla Cassazione. A loro avviso, difatti, le indagini hanno fatto emergere che l’uomo si è recato in ambienti distanti rispetto ai luoghi di lavoro e senza alcuna esigenza di servizio . Questo modo di fare si è ripetuto per ben 19 giorni, annotano i giudici, ingenerando nell’amministrazione la fallace impressione di una sua regolare presenza . Ciò ha comportato un danno al Comune per la mancata prestazione lavorativa , e ha consentito al dipendente di lucrare la remunerazione per i periodi non lavorati . Tutto ciò porta alla conferma della sospensione dell’uomo dal pubblico servizio svolto presso il Comune.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 marzo – 6 aprile 2017, n. 17569 Presidente Diotallevi – Relatore Pazzi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 6 settembre 2016, a seguito di giudizio di appello cautelare ex art. 310 c.p.p., il Tribunale di Catania ha confermato il provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Ragusa del 20 luglio 2016 con cui era stata applicata nei confronti di G.G. la misura cautelare interdittiva della sospensione dal pubblico servizio svolto presso il Comune di Scicli ex art. 289 c.p.p 2. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato lamentando 2.1. la mancanza assoluta di motivazione in ordine al primo motivo dell’atto di appello, che era stato dapprima travisato nell’elencazione dei motivi di gravame e quindi del tutto non considerato nel prosieguo del provvedimento la difesa ha ricordato che con tale doglianza aveva inteso denunciare la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 292, comma 2, lett. c , c.p.p. poiché il G.I.P. non aveva in alcun modo valutato quanto addotto dall’indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia senza dare atto delle ragioni per cui gli elementi difensivi non erano stati ritenuti rilevanti 2.2. l’erronea applicazione della legge penale, in quanto il Tribunale aveva ravvisato i raggiri nello scambio dei badge marcatempo con i colleghi malgrado una simile condotta non risultasse contestata, non aveva adeguatamente considerato che il G. non aveva l’obbligo di permanere nell’autoparco, luogo a ciò del tutto inidoneo, ma di rendere operativi i mezzi ed espletare il servizio di scuolabus e aveva trascurato l’insussistenza di un danno economico apprezzabile per la pubblica amministrazione. Considerato in diritto 1. La difesa, con il primo motivo di ricorso, lamenta in sostanza che il Tribunale dell’appello cautelare abbia tralasciato di considerare le doglianze sollevate in merito al fatto che il G.I.P. non avesse tenuto conto delle spiegazioni fornite dall’indagato, il quale aveva rappresentato di essersi regolarmente occupato del trasporto degli alunni, della manutenzione degli autobus e di ogni altra mansione assegnatagli e di non essere potuto rimanere nell’autoparco, che era del tutto privo di luoghi di accoglienza per i lavoratori e di servizi igienici. In realtà il Tribunale del riesame ha spiegato che le risultanze di indagine davano conto del fatto che il G. si era allontanato dall’autoparco durante l’orario di servizio senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro e senza chiedere il permesso al dirigente. Il collegio dell’appello cautelare ha poi sottolineato che le risultanze di indagine dimostravano che il G. si era recato in luoghi del tutto distanti e ultronei rispetto ai luoghi e alle esigenze lavorative e non corrispondenti alle giustificazioni addotte in sede di interrogatorio , già valutate in modo esaustivo dal G.I.P Il Tribunale del riesame ha così preso in esame la doglianza presentata dalla difesa, constatando che gli addotti allontanamenti dall’autoparco non corrispondevano ad esigenze di servizio, diversamente da quanto sostenuto dall’indagato. In questo modo il collegio ha assolto l’onere che gli era imposto dall’art. 292, comma 2, lett. c-bis , c.p.p. in maniera adeguata, tenuto conto da una parte che tale obbligo motivazionale riguarda non qualsiasi argomento addotto a contestazione delle tesi accusatorie, ma solamente i dati fattuali di carattere probatorio o indiziario aventi natura concludente Cass. 31.10.2011 n. 39305 , dall’altra che la difesa non aveva offerto alcuna documentazione attestante che nei periodi di allontanamento il G. stesse svolgendo mansioni per altri uffici comunali. 2. In merito alla gravità indiziaria il Tribunale del riesame ha rilevato che il G. aveva timbrato il badge in entrata per poi allontanarsi senza autorizzazione e aveva omesso di timbrare il badge in occasione dei corrispondenti rientri, ingenerando nell’amministrazione la fallace impressione di una sua regolare presenza sul luogo di lavoro in questo modo l’indagato aveva cagionato un danno da mancata prestazione lavorativa e lucrato la remunerazione per i periodi non lavorati. Questa constatazione è fondata su risultanze di indagine che dimostrano l’assenza dal servizio del G. , secondo le modalità sopra descritte, per diciannove giorni nel periodo ricompreso fra il 21 gennaio e il 15 febbraio 2016 e per alcune ore ogni giorno è evidente perciò l’implicita valutazione del Tribunale che una simile consistenza del periodo non lavorato abbia avuto un valore economico più che apprezzabile. Tali valutazioni, esenti da manifesti vizi logici e non rivedibili nel merito in questa sede, comprovano che i gravi indizi ravvisati dal collegio dell’appello cautelare sono riconducibili a tutti gli elementi caratterizzanti il delitto ipotizzato all’interno della contestazione provvisoria. Per le considerazioni appena esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ne consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 1.500 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle ammende.