Avvocato o indagato? L’espresso divieto dell’autodifesa tecnica personale

L’atto di impugnazione sottoscritto personalmente dalla parte e spedito per posta o per telegramma necessita, per la sua ammissibilità, dell’autenticazione della relativa sottoscrizione da parte del notaio, di altra persona autorizzata o del difensore. Il difensore non può coincidere con la stessa persona dell’imputato.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 17078/17 depositata il 5 aprile. Il caso. La sezione specializzata per il riesame del Tribunale di Cagliari, in parziale riforma del decreto emesso dal GIP nei confronti dell’indagata, riduceva la somma sottoposta a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato di peculato. L’indagata ricorre per cassazione. Il divieto di autodifesa tecnica personale. Gli Ermellini ritengono che il ricorso sia inammissibile poiché , in tema di impugnazioni, l’atto sottoscritto personalmente dalla parte e spedito per posta o per telegramma necessita, per la sua ammissibilità, dell’autenticazione della relativa sottoscrizione da parte del notaio, di altra persona autorizzata o del difensore . In tal senso, però, il difensore di cui parla la Corte non può coincidere con la stessa persona dell’imputato, seppur munito dell’abilitazione professionale, proprio in virtù del divieto di autodifesa tecnica personale della parte che vige nel sistema processuale italiano. Nella fattispecie, l’indagata ha presentato ricorso personalmente, inoltrandolo via posta senza firma autenticata, pertanto la Corte deve dichiarare inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 marzo – 5 aprile 2017, n. 17078 Presidente Ippolito – Relatore Bassi Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Cagliari, sezione specializzata per il riesame, in parziale riforma del decreto emesso il primo giugno 2016 dal Gip del Tribunale di Cagliari nei confronti di C.O. , ha ridotto la somma sottoposta a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato di cui all’art. 314 cod. pen 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso personalmente C.O. , che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi 2.1. violazione di legge processuale in relazione agli artt. 111, comma sesto, Cost., 321 e 125 cod. proc. pen. per avere il Giudice che ha disposto il provvedimento di sequestro riprodotto pedissequamente quanto riportato nella richiesta del pubblico ministero senza svolgere un’autonoma motivazione 2.2. violazione di legge penale per avere il Gip disposto il sequestro preventivo di una somma di gran lunga eccedente l’ammontare del profitto, commisurato dal P.M. in 281.461,76 Euro, mentre il provvedimento è già stato eseguito nei confronti dei concorrenti per l’ammontare di 349,300,00 Euro 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1. Ed invero, in tema di impugnazioni, secondo quanto stabilito dal combinato disposto degli artt. 583, comma 3, e 591, comma 1 lett. c , cod. proc. pen., l’atto di impugnazione sottoscritto personalmente dalla parte e spedito per posta ovvero per telegramma necessita, per la sua ammissibilità, dell’autenticazione della relativa sottoscrizione da parte del notaio, di altra persona autorizzata o del difensore Sez. 2, n. 29162 del 09/04/2013, Gorgoni, Rv. 256061 Sez. 1, n. 3344 del 15/01/1995, Natalini, Rv. 200691 . Siffatto difensore non può coincidere con la stessa persona dell’imputato seppure munito dell’abilitazione professionale, giusta il divieto di autodifesa tecnica personale dell’interessato vigente nel nostro sistema processuale Sez. 2, n. 2724 del 19/12/2012 - dep. 2013, Cappa e altro, Rv. 255083 . 3.2. Nel caso di specie, l’indagata ha presentato il ricorso personalmente inoltrandolo via posta senza autentica della firma, dunque in chiara violazione dell’art. 583 cod. proc. pen., a nulla rilevando a tale ultimo fine la circostanza che ella sia avvocato. 4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 1.500,00 Euro. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.