Parziale o totale difformità dell’opera? La fiscalizzazione non è sempre permessa

Qualora l’intervento edilizio sia realizzato in parziale difformità rispetto al permesso di costruire, le parti non conformi devono essere rimosse o demolite dal responsabile dell’abuso edilizio. Tuttavia, se la rimozione del manufatto pregiudica la restante parte conforme, il dirigente o il responsabile dell’ufficio comunale competente può procedere alla fiscalizzazione dell’illecito edilizio. Tale disciplina è applicabile, però, ai soli casi di abusi minori e non anche quando si sia in presenza della totale assenza o difformità del permesso a costruire.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n. 16548/17 depositata il 3 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Salerno accoglieva il ricorso dell’imputato revocando l’ingiunzione opposta con cui la Procura generale disponeva la demolizione di un manufatto edilizio costruito in assenza del permesso a costruire e disponeva l’avvio della procedura di individuazione della somma di denaro da pagare perché si realizzasse la fiscalizzazione dell’illecito edilizio. La Procura generale propone ricorso per cassazione. Demolizione o fiscalizzazione? La Cassazione rileva la disciplina dell’art. 34 d.P.R. n. 380/2001 relativa alla fiscalizzazione dell’abuso edilizio il quale prevede che, laddove l’intervento edilizio sia realizzato in parziale difformità rispetto al permesso di costruire , le parti non congrue devono essere rimosse o demolite a cura e spese del responsabile dell’abuso edilizio entro il termine fissato dall’Autorità amministrativa . Qualora il termine sia trascorso, la stessa Autorità deve provvedere all’adeguamento di dette opere ma sempre in danno del responsabile . Tuttavia è previsto anche che, ove la rimozione del manufatto rechi pregiudizio alla parte restante conforme, il dirigente o il responsabile dell’ufficio comunale competente può procedere alla determinazione di una sanzione pecuniaria , sostitutiva dell’eliminazione delle parti abusive. Nella fattispecie, le opere edilizie realizzate dall’imputato non sono state eseguite in parziale difformità del permesso a costruire ma addirittura in totale assenza del consenso amministrativo. Pertanto, deve considerarsi legittimo l’ordine di demolizione precedentemente emesso in virtù della sentenza di condanna per abusivismo edilizio proprio per l’assenza totale di permesso a costruire o comunque, lo sarebbe anche nel caso in cui vi sia una totale difformità dell’opera rispetto ad esso. La fiscalizzazione, al contrario, concerne solo i casi di abuso minore ed è quindi incompatibile con l’ordine di demolizione intervenuto nel caso di specie. La Suprema Corte accoglie il ricorso del Procuratore e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 giugno 2016 – 3 aprile 2017, n. 16548 Presidente Andreazza – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Salerno, adita in sede di opposizione alla ingiunzione a demolire emessa dalla locale Procura generale a carico di P.G. in esecuzione di una pregressa sentenza di condanna per l’avvenuta edificazione di un manufatto edilizio in assenza del prescritto permesso a costruire, ha accolto il ricorso, revocando, pertanto l’ingiunzione opposta e disponendo la trasmissione degli atti al Comune di sul mare affinché questo proceda, ai sensi dell’art. 34 del dPR n. 380 del 2001, alla individuazione della somma di danaro che il P. dovrà pagare onde procedere alla cosiddetta fiscalizzazione dell’illecito edilizio. Ha, infatti, ritenuto il giudice dell’esecuzione, sulla scorta della interpretazione data alla relazione tecnica redatta dal consulente della Procura generale in merito alla fattibilità della demolizione, che la stessa potrebbe comportare il rischio del pregiudizio delle preesistenti opere, sottostanti a quelle abusive, legittimante realizzate e che, comunque, essa, quand’anche fosse tecnicamente realizzabile, comporterebbe un elevato dispendio di risorse, dovendo essere eseguita a mano e previo sgombero dei locali sottostanti il giudice della esecuzione ha altresì rilevato che, sebbene l’opera realizzata non sia caratterizzata dalla parziale difformità rispetto al permesso a costruire ma ne sia radicalmente sprovvista, tuttavia sarebbe possibile, in relazione alla predetta impossibilità tecnica, l’attivazione della procedura per la cosiddetta fiscalizzazione dell’illecito, di cui all’art. 34 del dPR n. 380 del 2001. Ha, pertanto, deliberato nei termini dianzi riportati, dando termine di 90 giorni alla Amministrazione comunale per provvedere alla determinazione della somma necessaria per la fiscalizzazione. Avverso detta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte di appello di Salerno, osservando che, per un verso, la Corte aveva travisato le conclusioni del consulente avendo questi evidenziato non la impossibilità di eseguire la demolizione ma la opportunità di procedere ad essa attuando determinate cautele e che, per altro verso, la possibilità di procedere alla fiscalizzazione dell’illecito era impossibile, essendo siffatto strumento riservato alle ipotesi di parziale difformità della costruzione eseguita rispetto a quella assentita e non al caso di totale assenza del permesso a costruire. In data 20 maggio 2016 il P. , assistito dal proprio difensore di fiducia, ha depositato una documentata memoria, opponendosi all’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso proposto dalla Procura generale è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto. Deve, prioritariamente, rilevarsi la completa ultroneità, rispetto alla concreta vicenda in esame, del riferimento contenuto nella parte finale della ordinanza impugnata all’istituto della cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio di cui all’art. 34 del dPR n. 380 del 2001. Prevede, infatti, detta norma che, laddove l’intervento edilizio sia stato realizzato in parziale difformità rispetto al permesso a costruire, le parti non congrue rispetto quest’ultimo siano rimosse o demolite a cura e spese del responsabile dell’abuso entro un termine all’uopo fissato dall’Autorità amministrativa ove detto termine sia inutilmente spirato, le opere di adeguamento dell’esistente vanno eseguite a cura dell’Autorità amministrativa ma in danno del predetto responsabile. È, tuttavia previsto che, ove la rimozione della porzione abusiva del manufatto realizzato non possa avvenire senza pregiudizio per la restante parte, eseguita in conformità, il dirigente ovvero il responsabile dell’ufficio comunale competente possa procedere alla determinazione di una sanzione pecuniaria, sostitutiva della eliminazione delle parti realizzate abusivamente. Siffatto strumento, del quale è evidente la eccezionalità che non ne consente una applicazione oltre i precisi confini entro i quali lo delimita la citata disposizione legislativa, è tuttavia previsto esclusivamente per le ipotesi in cui vi è solamente una parziale difformità, al netto del limite di tolleranza individuato dall’ultimo comma dell’art. 34 del dPR n. 380 del 2001, fra quanto oggetto del permesso a costruire e quanto invece realizzato cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 24 maggio 2010, n. 19538 . Da quanto sopra risulta evidente la inconferenza rispetto al caso di specie dell’istituto richiamato nella ordinanza impugnata, atteso che nel caso in questione le opere edilizie di cui si discute, realizzate dal P. , non sono state eseguite in parziale difformità dal permesso a costruire ma sono del tutto sprovviste del necessario assenso amministrativo. Da tale circostanza deriva, anche sotto altro profilo, la antinomia logica e giuridica fra la fiscalizzazione e l’ordine di demolizione emanato dalla autorità giudiziaria. È, infatti, noto che l’ordine di demolizione del manufatto illegittimamente eseguito susseguente alla condanna per abusivismo edilizio trova sua legittima applicazione, oltre che in ipotesi di lottizzazione abusiva, solo in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto ad esso Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 dicembre 2014, n. 49991 idem Sezione III penale, 14 novembre 2011, n. 41423 , cioè, in altre parole ove sia stata contestata la violazione dell’art. 44, lettere b o c , del dPR n. 380 del 2001. Esso, pertanto, non può essere impartito ove ci si trovi di fronte ad un abuso minore, limitato alla sola parziale difformità fra quanto assentito dall’organo amministrativo e quanto, invece, materialmente eseguito. Posto però che il fenomeno della fiscalizzazione non può concernere altro oggetto che non sia un abuso minore, suscettibile come tale di essere eliminato solo attraverso la via del provvedimento amministrativo, ecco che è dimostrata per tale ragione, con riferimento anche al caso di specie, la incompatibilità fra l’ordine di demolizione impartito, non in sede amministrativa, ma in sede giudiziaria e la sua sospensione o revoca disposta in applicazione della disciplina di cui all’art. 34 del dPR n. 380 del 2001. Va da ultimo precisato che laddove ci si riferisce a parziale o totale difformità fra quanto eseguito e quanto assentito deve essere preso in considerazione esclusivamente il corpus delle opere oggetto di attuale intervento nel senso che non integra certamente una ipotesi di parziale difformità, costituendo, viceversa, un intervento in assenza di permesso, la realizzazione quale parrebbe essere stata operata nel caso che ora interessa di un manufatto del tutto nuovo, ancorché esso sia innestato su di una preesistente struttura di per sé conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche. Sgomberato, quindi, il campo dalle interferenze derivanti dalla prospettata applicabilità di istituti del tutto estranei rispetto alla presente fattispecie, rileva la Corte che la ordinanza del giudice territoriale salernitano è viziata anche sotto altro aspetto. Invero la Corte di appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha ritenuto di dovere revocare l’ordine di demolizione, che era stato emesso dalla locale Procura generale onde dare piena esecuzione alla sentenza di condanna emessa a carico del P. , sulla base di un rilievo intimamente contraddittorio tale da palesare la evidente illogicità della decisione assunta. Rileva, infatti, il giudice dell’esecuzione che la demolizione del manufatto abusivo comporterebbe un elevato rischio a carico delle preesistenti strutture, salvo poi precisare che detta demolizione dovrebbe essere eseguita con particolare accuratezza e procedendo a mano , previo puntellamento e sgombero dei sottostanti locali. Appare evidente che la metodica, correttamente suggerita dal consulente della Procura generale, risulti invece idonea, proprio per la accuratezza suggerita e la precisione dei mezzi esecutivi indicati, a contenere i rischi per le altre strutture edilizia non coinvolti dalla illiceità entro ragionevoli ambiti, atteso che, a cagione di essa, sarà sempre possibile, intervenire nell’esercizio dei poteri conferiti all’autorità giudiziaria in sede di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, onde risolvere le eventuali difficoltà che si potessero palesare durante l’attuazione della disposizione impartita con la sentenza di condanna - prima che si possano determinare danni irreparabili a carico della parti non interessate dal provvedimento di demolizione. La circostanza che un siffatto modo di procedere possa comportare l’impiego di rilevanti risorse economiche, il cui importo dovrà in definitiva comunque gravare sul condannato, non è evidentemente questione che possa bloccare l’attuazione del provvedimento giurisdizionale, essendo questa doverosamente volta alla rimozione degli effetti dannosi derivanti dalla commissione dell’illecito e, pertanto, ove possibile, al ristabilimento della situazione di legittimità precedente alla commissione del reato. La ordinanza impugnata deve, perciò, essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Salerno che, in diversa composizione, riesaminerà, sulla base dei principi dianzi enunciati, la fondatezza o meno della istanza di revoca dell’ordine di demolizione ingiunto al P. . P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Salerno.