Inabile al lavoro, ma capace di gestire un piccolo spaccio di droga

Necessario un nuovo giudizio in appello per la determinazione della pena. Nessun dubbio, però, sulla colpevolezza dell’uomo. Irrilevante il richiamo alla certificazione della Commissione medica per l’invalidità civile che lo ha esaminato.

Condizione psico-fisica precaria, come certificato dalla ‘Commissione medica per l’invalidità civile’. Ciò nonostante, l’uomo, consumatore di marijuana, è comunque in grado di gestire un piccolo spaccio. Inevitabile la condanna Cassazione, sentenza n. 15241/17, sez. III Penale, depositata il 28 marzo . Traffico. Pena dura, quella decisa in appello due anni di reclusione e 8mila euro di multa per un uomo, ritenuto colpevole di avere allestito e gestito un piccolo traffico di marijuana . A inchiodarlo il rinvenimento, da parte delle forze dell’ordine, di 49 grammi di sostanza stupefacente e 155 euro in contanti. Secondo i Giudici, ci si trova di fronte a un consumatore - piccolo spacciatore , cioè una persona che vende la droga per poterla riacquistare per sé , e quindi inserita in modo marginale ed occasionale nel traffico di stupefacenti . Ciò nonostante, l’uomo è stato ritenuto colpevole di spaccio e non si è salvato richiamando l’ipotesi dell’ uso meramente personale della droga. Condizioni. E in Cassazione il quadro non muta, nonostante le obiezioni mosse dal legale. Non contestabile, quindi, la condanna, anche se è necessario un nuovo giudizio in appello per la misura della pena . Irrilevante, comunque, è stato ritenuto il fatto che l’uomo è stato riconosciuto inabile al lavoro nella misura dell’80 per cento dalla ‘Commissione medica per l’invalidità civile’. Per i giudici, difatti, il piccolo spaccio gestito è assolutamente compatibile col grado di sviluppo mentale e con le capacità dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 febbraio – 28 marzo 2017, n. 15241 Presidente Savani – Relatore Macri Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di Catania con sentenza in data 28.11.2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catania in data 4.2.2013, ha condannato ad anni 2 di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, con beneficio della sospensione condizionale della pena e conferma nel resto dell'impugnata sentenza, V. M. D., per il reato di cui all'art. 73, commi 1 e Ibis, D.P.R. 309/90, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 del medesimo decreto, aveva detenuto complessivi gr. 49 di marijuana che, per quantità ed altre circostanze di fatto possesso di n. 31 banconote da Euro 5,00 ciascuna , appariva destinata ad uso non esclusivamente personale in Catania e Paterno il 18.8.2012. 2. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale, in quanto la Corte d'Appello lo avrebbe dovuto assolvere perché il fatto non sussisteva dall'esame della documentazione acquisita al processo, dal rapporto redatto dalla squadra di polizia giudiziaria della Polstrada, dall'esame delle dichiarazioni rese dai testimoni e dalla relazione medica del Consulente del Giudice non era emersa la piena prova che lo stupefacente sequestrato fosse destinato alla cessione a terzi e non invece, come più plausibile, ad uso esclusivamente personale. Precisa che gli erano stati sequestrati circa 41 grammi di residui vegetali, contenuti in 3 involucri, per i quali l'Agenzia delle Dogane aveva accertato che trattavasi di marijuana con principio attivo di THC delta 8 di tetra idro cannabiolo al 3,5% e quindi di mg 1436 di sostanza pura, da cui si potevano ricavare, secondo la tabella del Ministero della Salute dell'11.4.2006, 57 canne o spinelli. La Corte d'Appello aveva valorizzato il dato della detenzione da parte del V. della somma di Euro 155,00 costituita da banconote da Euro 5, sostenendo che tale importo fosse il frutto dell'attività di spaccio o comunque servisse per il suo espletamento. Non aveva invece tenuto conto degli elementi segnalati a discolpa a non era stato sorpreso nella flagranza dell'attività di spaccio, b non si trovava in un luogo frequentato da tossicodipendenti, ma, nel pomeriggio di ferragosto, in una stazione di rifornimento di carburanti sulla tangenziale, c la marijuana non era frazionata in dosi singole per la commercializzazione ma riposta in tre distinti luoghi o posizioni, d nel corso della perquisizione domiciliare e negli altri luoghi dallo stesso frequentati non erano state rinvenute sostanze da taglio, bilancini di precisione o altre attrezzature atte alla pesatura né contabilità attestante il commercio illecito né somme di denaro. 3. Con il secondo motivo d'impugnazione, in via subordinata, lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche di cui all'art. 62bis c.p., giacché il Giudice di primo grado aveva liquidato la questione affermando che la gravità del fatto e l'assoluta mancanza di resipiscenza dell'imputato ostano alla concessione delle attenuanti generiche e successivamente che può essere concessa all'imputato la circostanza attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entità, esaminati tutti gli elementi indicati nella norma, sia quelli concernenti l'azione sia quelli che si riferiscono all'oggetto materiale del reato ed alla luce di una valutazione complessiva del fatto, essendo verosimile che il V. sia un ed. consumatore - piccolo spacciatore che vende la droga per poterla riacquistare per sé e sia quindi inserito in modo marginale ed occasionale nel traffico di sostanze stupefacenti . Tale decisione, insensata ed illogica, non era stata censurata dalla Corte d'Appello che aveva concluso che, ai sensi dell'art. 62bis c.p., oltre all'assenza di precedenti condanne, non erano ravvisabili ulteriori indici favorevoli. Considerato in diritto 4. Il primo motivo ricorso è infondato. La Corte d'Appello ha confermato la sentenza di primo grado in ordine all'accertamento dei fatti, con motivazione logica e coerente, immune da censure, valorizzando globalmente i parametri attinenti alla quantità e qualità della sostanza ed alle circostanze dell'azione peso lordo complessivo, superamento dei limiti-soglia, qualità della sostanza soggetta a rapido deterioramento e poco adatta alla precostituzione di scorte, ripartizione dello stupefacente ed occultamento delle diverse partite in luoghi distinti, detenzione di banconote di piccolo taglio, pienamente compatibili con l'attività di spaccio. In particolare, ha disatteso la tesi secondo cui il V., riconosciuto inabile al lavoro nella misura dell'80%, ad opera della commissione medica per l'invalidità civile non poteva ragionevolmente credersi che fosse capace di organizzare un'attività di spaccio tema peraltro non ripreso nel ricorso per cassazione , perché tale attività era stata correttamente descritta dal primo Giudice come di piccolo spaccio , posto in essere occasionalmente dall'imputato, sempre ai margini del traffico di stupefacenti e dunque con connotati pienamente compatibili con il suo grado di sviluppo mentale e con le sue capacità. Ha ritenuto, poi, che la circostanza che le banconote di piccolo taglio fossero detenute unitamente allo stupefacente assumeva logico significato nel quadro dell'attività di spaccio, laddove le spiegazioni alternative - possesso di banconote di taglio da Euro 5,00 per assecondare una spinta compulsiva di accumulo di danaro di quel taglio stante l'insufficienza mentale, per essere in grado di dare il resto ai clienti del supermercato dove lavorava, ovvero per crearsi una scorta di fumo per i periodi di magra - erano rimaste delle semplici illazioni. In definitiva, la Corte d'Appello ha ritenuto che non erano emersi elementi per ritenere incoerente o manifestamente illogica la decisione impugnata e che la valutazione unitaria ed esauriente delle cospicue emergenze istruttorie, compiuta dal Giudice di primo grado, rendeva condivisibile la conclusione raggiunta. Quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata va annullata, siccome pronunciata il 28.11.2013, in data anteriore alla modifica della cornice edittale dell'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, a seguito della L. 10/14 di conversione del D.L. 146/13 e della L. 79/14 di conversione del D.L. 36/14, che hanno ricostruito la suddetta ipotesi come fattispecie autonoma di reato e stabilito una diversa pena, ulteriormente mitigata dall'ultimo intervento normativo, mediante la fissazione come pena edittale, ai fini della reclusione, da un minimo di mesi sei ad un massimo di anni quattro, ed ai fini della pena pecuniaria, da un minimo di Euro 1.032,00 ad un massimo di Euro 10.329,00. Di tali sopravvenienze normative più favorevoli all'imputato, la Corte del rinvio dovrà tener conto ai fini del rivalutazione globale della pena. Rimane ferma l'irrevocabilità della sentenza, ai sensi dell'art. 624 c.p.p., quanto all'accertamento della responsabilità del prevenuto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso.