La derubricazione del reato, se non incide sulla ricostruzione storica del fatto, esclude l’interesse ad agire della parte civile

La sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica può essere impugnata dalla parte civile solo quando ad essa corrisponda una diversa ricostruzione del fatto storico.

I Giudici di legittimità con la sentenza n. 14812/2017, depositata il 27 marzo 2017, hanno avuto occasione di pronunciarsi circa la legittimazione attiva della parte civile a proporre ricorso per Cassazione in caso di condanna dell’imputato, vagliando la questione sotto la lente di ingrandimento dell’interesse ad agire. La quaestio. Il Tribunale di Genova assolveva il titolare di una ditta individuale, accusato dei reati di cui agli artt. 517 e 517- ter c.p., per aver importato, nell’anno 2009, migliaia di borse recanti il marchio Gucci” contraffatto, col fine di farne commercio o metterle altrimenti in circolazione. Secondo il Giudice di prima istanza gli elementi grafici, spuri e dozzinali, impressi o applicati su queste borse renderebbero evidente al pubblico, anche con un’occhiata superficiale, la non provenienza di siffatti accessori dalla casa di moda Gucci. La Corte d’Appello di Genova ribalta il giudizio assolutorio, condannando l’imputato per il reato di cui all’art. 517- ter c.p., fatto originariamente contestato nelle forme del delitto di cui all’art. 474 c.p., alla pena di anni uno di reclusione ed euro 10.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese legali e del risarcimento da liquidarsi in separata sede alla costituita parte civile. Avverso siffatto provvedimento ricorrono per Cassazione tanto l’imputato quanto la costituita parte civile. Il primo lamenta, molto genericamente, il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, mentre, la parte civile si duole dell’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 474 c.p., erroneamente riqualificata dalla Corte d’Appello di Genova nella fattispecie di cui all’art. 517- ter c.p Entrambi i ricorsi sono inammissibili. La Terza Sezione della Corte di Piazza Cavour dichiara inammissibili gli atti di gravame, concentrando la pronuncia di principi di diritto proprio sulle richieste avanzate dalla costituita parte lesa. In realtà, per la Corte di Cassazione, preliminare a qualunque disamina, nel caso di specie, si impone l’individuazione della sussistenza dell’interesse ad impugnare in capo alla parte civile, giacché la sentenza impugnata reca la condanna al risarcimento del danno seppur soltanto in via generica e con quantificazione rinviata in separata sede . A parere della ricorrente, l’interesse ad impugnare discenderebbe dal differente valore del danno derivante da una diversa e più grave qualificazione giuridica dei fatti, contrariamente a quanto ritenuto dai sostenitori di tesi contraria, secondo cui, in caso di condanna dell’imputato, anche in ipotesi di derubricazione delittuosa, la parte civile non sarebbe legittimata ad impugnare, ma, al più, potrebbe sollecitare il P.M. a tal fine. In effetti, i Giudici della Terza Sezione, con la pronuncia in commento, dichiarano inammissibile il ricorso della persona offesa costituitasi in giudizio nel caso in disamina vi è stata una condanna generica al risarcimento del danno che, per sua natura, non esige alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, risultando sufficiente l’accertamento della potenzialità lesiva del fatto dannoso. Da ciò consegue che, qualora i fatti, sebbene qualificati diversamente, non vengono valutati secondo una diversa ricostruzione storica, la parte civile non può vedersi riconosciuto alcun interesse ad impugnare. Per tali motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibili entrambi i ricorsi, ma condanna solo l’imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende non potendosene escludere la colpa Corte Cost. sent.7-13 giugno 2000, n. 186 .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 novembre 2016 - 27 marzo 2017, n. 14812 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del 15/04/1015 la Corte di appello di Genova, in riforma della pronuncia assolutoria del 11/07/2012 del Tribunale di quello stesso capoluogo, impugnata dal Procuratore Generale e dalla parte civile Guccio Gucci S.p.a. , ha dichiarato il sig. S.L. responsabile del delitto di cui all’art. 517-ter, cod. pen., così diversamente qualificato il fatto originariamente contestato ai sensi dell’art. 474, cod. pen., e lo ha condannato alla pena di un anno di reclusione e 10.000,00 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede. 1.1.Si imputa allo S. , titolare dell’impresa individuale all’insegna omissis , di aver importato, tra il 30/11/2009 ed il 17/12/2009, per farne commercio o metterle altrimenti in circolazione, 38.200 borse recanti il marchio contraffatto. 1.2. Il Tribunale di Genova, ritenuta la diversità del marchio impresso sulle borse rispetto a quello sia per diversità grafica, sia per la presenza di elementi spuri e dozzinali, come per esempio una grossa fibbia in metallo, con il logo delle due O scritto in brillantini e ciuffi di frange di plastica, posta sulle borse in tessuto , tale da renderla evidente anche ad un sommario e superficiale esame, aveva assolto l’imputato sul rilievo dell’impossibilità che il pubblico avrebbe potuto esser tratto in inganno sulla provenienza del bene, escludendo così la sussistenza anche dei reati di cui agli artt. 517 e 517-ter, cod. pen. quest’ultimo anche per la mancanza della condizione di procedibilità . 1.3.La Corte di appello è giunta a opposte conclusioni. 1.4.Quanto ai profili di fatto i Giudici distrettuali affermano che dalle stesse fotografie in atti appare evidente tra i due diversi prodotti il richiamo e la somiglianza, seppure vaghi ed imprecisi. La struttura cui è ispirato il disegno, i segni tondeggianti affiancati tra loro, il colore usato, denotano tutti una stessa impressione di insieme. Risulta in realtà evidente il richiamo ai segni di cui al marchio riprodotto negli oggetti sequestrati, così come dai colori utilizzati per il fondo e per le linee d’insieme, nonché per i fregi poco importa che in un caso le G affiancate, di cui una rovesciata, non completino la traccia dei due ovali ravvicinati, come invece accade nel disegno riprodotto, rimanendo identica, pur nella palese diversità, l’impressione d’insieme. Nei prodotti sequestrati, di cui le fotografie agli atti ben raffigurano le caratteristiche, risultano riprodotti alcuni elementi essenziali del disegno oggetto di registrazione, con l’aggiunta di linee estranee al marchio, ma capziosamente inserite al fine di dare parvenza di diversità. L’impatto visivo derivatone, però, risulta quello dei prodotti originali, essendone stati riprodotti in modo parassitarlo i connotati essenziali. Alcune delle caratteristiche tipiche dell’idea originale sono riproposte, due forme ovali affiancate con linee incrociate che le intersecano, il che già dimostra lo sfruttamento degli elementi essenziali del marchio . 1.5.In diritto, la Corte di appello ha escluso la ipotizzata contraffazione del marchio sul rilievo che quello apposto ai prodotti sequestrati è stato registrato presso l’ufficio italiano Brevetti e Cambi il 23/12/2009 e che, pertanto, anche se idoneo a creare confusione con quello anteriormente registrato, potrebbe al più ravvisarsi un’ipotesi di concorrenza sleale civilisticamente sanzionata, non già il reato di cui all’art. 474, cod. pen 1.6.Piuttosto, sul rilievo che la criminalizzazione delle condotte ipotizzate con il reato di cui all’art. 517-ter, cod. pen., intende prevenire l’usurpazione non confusoria di un marchio , che - affermano - consiste nell’indebito sfruttamento di un segno distintivo altrui del quale non è necessaria la pedissequa imitazione, bensì il semplice richiamo ad alcuni tratti originali, anche se inidonei a creare confusione, i Giudici distrettuali hanno ritenuto la sussistenza della diversa ipotesi di reato di cui all’art. 517-ter, cod. pen., facendo notare che ai fini della sua integrazione è sufficiente la mera somiglianza, un richiamo parziale, perché quel che si sfrutta non è il marchio in sé, ma la bontà originale dell’idea. Agganciarsi, insomma, al mero effetto evocativo, senza alcuna imitazione o inganno questa tipologia di prodotti trae la sua forza commerciale dal semplice richiamo all’idea sottesa al marchio noto. Sono appetibili in quanto richiamo l’originale, pur senza una vera e propria imitazione . 1.7.Di qui la condanna per il reato di cui all’art. 517-ter, cod. pen. e al risarcimento del danno. 2.Per l’annullamento della sentenza ricorrono l’imputato e la parte civile. 3.Lo S.L. articola un unico motivo con il quale eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e , cod. proc. pen., la sostanziale mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Sulla premessa che la sentenza di appello che riformi totalmente quella di primo grado richiede una motivazione rafforzata , lamenta la totale inesistenza, anche sul piano grafico, della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato. 4.La Guccio Gucci S.p.a. propone anch’essa un solo motivo con il quale eccepisce l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione dell’art. 474, cod. pen., e delle norme che regolano le procedure di registrazione dei titoli di proprietà industriale. Deduce al riguardo che 4.1. La linea di demarcazione tra il reato di cui all’art. 474, cod. pen., e quello di cui al successivo art. 517-ter non è costituita - come erroneamente afferma la Corte di appello - dalla circostanza che il segno imitante sia stato registrato come marchio dal contraffattore bensì dal grado di imitazione del marchio originale e dalla idoneità di quello imitante a trarre in inganno la collettività e i consociati 4.2. La registrazione del marchio imitante non ha alcun valore scriminante anche perché non è preceduta da alcun esame di novità del marchio stesso, compito che esula dalle attribuzioni degli uffici competenti quel che rileva, ai fini penali, è solo la riproduzione integrale contraffazione ovvero parziale purché ingannatoria alterazione del marchio registrato. Considerato in diritto 5.Per ragioni di ordine logico deve essere esaminato per primo il ricorso della parte civile che propone il tema relativo alla sussistenza del reato di cui all’art. 474, comma 1, cod. pen., originariamente contestato all’imputato. 5.1.Preliminare all’esame nel merito è però la verifica della sussistenza dell’interesse della parte civile a impugnare la sentenza che comunque ha genericamente condannato l’imputato al risarcimento del danno in suo favore. 5.2.La parte civile cita a sostegno dell’ammissibilità del ricorso l’indirizzo di questa Corte secondo il quale, ferma la legittimazione, sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica allorché da quest’ultima possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire, cui si pervenga tenendo conto anche della gravità del reato e dell’entità del paterna d’animo sofferto dalla vittima Sez. 4, n. 39898 del 03/07/2012, Giacalone, Rv. 254672 Sez. 5, n. 12139 del 14/12/2011 - dep. 2012, Martinez, Rv. 252164 Sez. 5, n. 4303 del 04/12/2002, Gunnella, Rv. 223769 Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, Chieffi, Rv. 218427 . 5.3.In senso contrario, si è invece sostenuto che la parte civile non è legittimata ad impugnare la sentenza con la quale l’imputato è stato condannato, anche nell’ipotesi in cui al fatto sia stata data una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella contenuta nell’imputazione e oggetto della costituzione di parte civile. In ogni caso alla parte civile rimane la possibilità di sollecitare l’impugnazione del Pm, che potrà rigettare l’istanza con decreto motivato Sez. 3, n. 11429 del 02/10/1997, Palmieri, Rv. 209643 Sez. 4, n. 13220 del 27/10/2000, Arancio, Rv. 218687 . 5.4. Si pone in linea con l’indirizzo prevalente, quella giurisprudenza di questa Corte che, pur ritenendo la legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di condanna al risarcimento del danno, onera quest’ultima di precisare le ragioni per cui una diversa qualificazione giuridica incida concretamente sulla pretesa risarcitoria in termini, Sez. 5, n. 32762 del 07/06/2013, Rv. 256952 . 5.5. Ritiene il Collegio che la soluzione della questione non può prescindere dalla verifica, in primo luogo, della legittimazione della parte civile a impugnare la sentenza anche quando condanna l’imputato al risarcimento del danno in suo favore. 5.6. Non v’è dubbio, infatti, che tale possibilità sussiste ai sensi dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., quando alla parte civile il risarcimento sia stato negato o sia stato concesso in misura inferiore a quella richiesta o comunque quando in generale la parte civile sia soccombente in tutto o in parte rispetto alle proprie pretese. 5.7. Nel caso di condanna generica, invece, non si può prescindere dagli effetti che essa produce nel processo civile per le restituzioni e il risarcimento del danno secondo quanto prevede l’art. 651, cod. proc. pen 5.8. La condanna generica al risarcimento del danno di cui all’art. 539, comma 1, cod. proc. pen., non esige, per sua natura, alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, essendo sufficiente, a tal fine, l’accertamento del fatto-reato cd. danno evento potenzialmente produttivo di conseguenze dannose cd. danno conseguenza Sez. 6, n. 12199 del 11/03/2005, Molisso, Rv. 231044 Sez. 6, n. 14377 del 26/02/2009, Giorgio, Rv. 243310 Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013, Di Fatta, Rv. 257551 cfr. altresì Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, Bertini, Rv. 265637 che ha affermato che la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l’accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l’entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l’esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all’evento illecito . 5.9. Ne consegue che tale statuizione, ai sensi dell’art. 651, cod. proc. pen., non ha normalmente efficacia di giudicato in ordine alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato Sez. 4, n. 1045 del 16/12/1998, Selva, Rv. 212284 . 5.10. La condanna generica al risarcimento del danno non esclude la eventualità che il giudice affermi la concreta sussistenza del cd. danno conseguenza l’an del danno risarcibile , demandandone al giudice civile la sola liquidazione il quantum . 5.11. Sul punto la giurisprudenza delle Sezioni civili civile di questa Suprema Corte ha autorevolmente affermato che la sentenza penale di condanna passata in giudicato, la quale fa stato, ai sensi dell’art. 651 cod. proc. pen., in ordine all’accertamento del fatto, alla sua rilevanza penale ed alla sua commissione, può non essere sufficiente ai fini del riconoscimento dell’esistenza del diritto al risarcimento del danno quando il fatto, avente rilevanza penale, non si configuri come reato di danno al contrario, nel caso in cui il giudicato penale di condanna riguardi un reato appartenente a tale categoria nella specie una truffa a danno di un ente regionale , l’esistenza del danno è implicita e, conseguentemente, non può formare oggetto di ulteriore accertamento, negativo o positivo, in sede civile, se non con riferimento al soggetto od ai soggetti che lo abbiano subito o alla misura di esso Sez. Un. Civ., n. 4549 del 25/02/2010, Rv. 611796 . 5.12. È stato inoltre precisato che in caso di condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato, valgono sul punto i principi del giudicato Sez. 3 civ., n. 16113 del 09/07/2009, Rv. 608754 , sicché non sono vincolanti, per il giudice civile, le valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che attengono all’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile Sez. 3, n. 8360 del 08/04/2010, Rv. 612361 sez. 6 -3 civ., n. 14648 del 04/07/2011, Rv. 618452 . 5.13.Ciò deriva dal fatto che, secondo quanto prevede l’art. 185, comma 2, cod. pen., non diversamente da quanto dispone sul punto l’art. 2043, cod. civ. in tema di fatto illecito civile, il reato fatto ingiusto/danno evento obbliga al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale danno conseguenza solo quando lo abbia cagionato . Il danno risarcibile, insomma, non costituisce conseguenza scontata e automatica di ogni reato, dovendo comunque essere oggetto di accertamento nella sua sussistenza e consistenza cfr. sul punto, Sez. Un. civ., n. 26972 del 11/11/2008, secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza Cass. n. 8827 e n. 8828/2003 n. 16004/2003 , che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di danno evento . La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. E del pari da respingere è la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo . 5.14. Il fatto storico, così come ricostruito ed accertato dal giudice penale, determina inevitabili conseguenze sulla sussistenza e consistenza del danno conseguenza. Così, per fare un esempio, non v’è dubbio che la natura volontaria delle lesioni personali è astrattamente suscettibile di provocare una sofferenza morale maggiore rispetto ad una condotta produttiva delle medesime lesioni ma involontaria. Per rimanere in tema, la contraffazione di una griffe è potenzialmente suscettibile di provocare danni maggiori di una semplice imitazione. 5.15. La questione dell’incidenza, a fini risarcitori, della diversa qualificazione giuridica del fatto deve perciò essere correttamente impostata alla luce dei principi e considerazioni che precedono. Se la diversa qualificazione giuridica deriva da una diversa ricostruzione del fatto, quel che vincola il giudice civile in sede risarcitoria non è la qualificazione giuridica data al fatto in sede penale, bensì il fatto stesso nella sua dimensione illecita la cui diversa ricostruzione la parte civile è legittimata a contestare salvo allegarne il concreto interesse se la diversa qualificazione giuridica accede al fatto immutato nella sua sussistenza e consistenza storica, la parte civile non è legittimata a dolersene poiché tale diversa qualificazione non vincola il giudice civile. Al giudice civile, infatti, non interessa tanto il reato, quanto - piuttosto - il fatto illecito tant’è che la sentenza penale non ha efficacia di giudicato quanto alla colpevolezza dell’imputato . 5.16. Orbene, nel caso in esame, il fatto storico attribuito all’imputato è rimasto uguale a se stesso in entrambi i gradi di giudizio il minimo comune denominatore delle decisioni dei Giudici di merito è la concorde e pacifica esclusione della riproduzione fedele contraffazione o alterazione del marchio . Peraltro, mentre il Tribunale aveva addirittura escluso l’ipotesi della mera imitazione del marchio, la Corte di appello è stata, come visto, di diverso avviso avendo affermato chiaramente che i due marchi quello originale e quello asseritamente contraffatto pur non confondibili sono somiglianti sotto questo profilo è sufficiente infatti la mera somiglianza, un richiamo parziale, perché quel che si sfrutta non è il marchio di per sé, ma la bontà ed originalità dell’idea. Agganciarsi insomma di mero effetto evocativo, senza alcuna imitazione o inganno . La parte civile del resto non contesta il fatto così come storicamente accertato, che fornisce le coordinate e la dimensione del danno risarcibile altri sono i suoi argomenti. 5.17.Questa Corte ha sempre sostenuto che ai fini della configurabilità dell’elemento oggettivo del reato di cui agli artt. 473 e 474, cod. pen., non è sufficiente la mera confondibilità tra due marchi regolarmente registrati, ma è necessario un quid pluris rappresentato dalla materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio Sez. 1, n. 30774 del 09/09/2015, Baccalaro, Rv. 267509 . 5.18.La qualificazione giuridica del fatto effettuata dalla Corte di appello non deriva perciò da una deminutio del fatto stesso, bensì dalla errata affermazione che la registrazione del marchio non genuino o comunque che imita quello originale esonera l’autore dalla responsabilità penale per il reato di cui all’art. 474, cod. pen 5.19.È evidente che non è questa la linea di confine tra il reato di cui all’art. 517-ter e quello di cui agli artt. 473 e 474, cod. pen 5.20.Come riconosciuto in dottrina e già affermato da questa Corte, l’art. 517-ter cod. pen. si pone in sostanziale continuità normativa con l’abrogato art. 127, comma 1, d.lgs. n. 30 del 2005, e si riferisce tanto all’ipotesi dei prodotti realizzati ad imitazione di quelli protetti dal titolo di privativa e quindi in violazione del medesimo, quanto a quella della fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti originali da parte di colui che non ne è titolato così, in motivazione, Sez. 3, n. 8653 del 19/11/2015, Ruoso, Rv. 266220 . 5.21.Quel che distingue tale ipotesi delittuosa da quella di cui agli artt. 473 e 474, cod. pen., è dunque la dimensione degli interessi coinvolti pubblici nel primo caso fede pubblica , privati nel secondo patrimonio . 5.22. Il bene giuridico protetto dagli artt. 473 e 474, cod. pen. è la fede pubblica, che si intende tutelare contro specifici attacchi insiti nella contraffazione od alterazione del marchio o di altri segni distintivi o del brevetto, disegni o modelli industriali. Bene messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato o la alterazione riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento. L’interesse pubblico, in tale situazione, è preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo fede pubblica e tutela del mercato . Di contro, ove sia ravvisabile solo uno specifico interesse patrimoniale di un privato, leso dall’abusiva utilizzazione di un prodotto da lui brevettato, ricorre altra fattispecie di reato, ratione temporis ravvisabile nella fattispecie di cui al D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 127 in precedenza come frode brevettuale di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88 , che tutela esclusivamente il patrimonio e dunque una sfera di interessi esclusivamente privati circostanza questa chiaramente segnalata dalla procedibilità a querela di parte ed ha, dunque, carattere sussidiario rispetto alle ipotesi di reato previste dal codice penale, tra cui appunto quella di cui all’art. 473 c.p. cfr. Cass. sez. 5, 26.4.2006, n. 19512, rv. 234405, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 127 non rileva la mera somiglianza del prodotto contraffatto con quello originale, idonea a generare confusione, ma è necessario ravvisare un carattere del prodotto industriale, relativo a progetto o a struttura, componenti, assemblaggio, confezione od altro che, al di là del marchio, ne rende esclusiva la fabbricazione ed il commercio così, in motivazione, Sez. 5, n. 37553 del 15/07/2008, Pedrollo, Rv. 241642 nello stesso senso, Sez. 5, n. 22503 del 07/01/2016, Sbaraini, Rv. 266856 . 5.23.In sintesi a la condanna al risarcimento del danno è stata comminata dalla Corte di appello in assenza di accertamenti positivi sulla sussistenza del danno b il fatto, così come storicamente accertato, è sempre stato uguale a se stesso c la sua diversa qualificazione giuridica, per quanto errata, non è il frutto di una diversa ricostruzione del fatto, incontestato nella sua dimensione storica. 5.24.Ne consegue che a la condanna generica e la diversa qualificazione giuridica data al fatto dal giudice penale non vincolano il giudice civile nell’accertamento della sussistenza e consistenza del cd. danno-conseguenza, liquidabile in base ai criteri stabiliti dall’art. 125, d.lgs. n. 30 del 2005 b la parte civile non è legittimata ad impugnare. 5.25.Si possono perciò affermare i seguenti principi di diritto la parte civile non è legittimata ad impugnare la condanna generica al risarcimento del danno quando non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile circa l’entità del danno risarcibile la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica può essere impugnata dalla parte civile solo quando ad essa corrisponda una diversa ricostruzione del fatto storico . 5.26. Il ricorso della parte civile è perciò inammissibile. 5.27. In considerazione della fondatezza, nel merito, dell’assunto difensivo, non ritiene la Corte di dover condannare la parte civile al pagamento delle spese e della somma in favore della Cassa delle Ammende. 6. È totalmente infondato oltre che generico il ricorso dell’imputato. 6.1. Questi non prende posizione sulla ricostruzione del fatto così come effettuata nella sentenza, né sulle conclusioni, non manifestamente illogiche, che la Corte di appello ne trae per dimostrare la consapevolezza della natura usurpativa del marchio apposto sulla merce importata e l’intenzione di sfruttarne in modo parassitario la forza commerciale. 6.2. Del tutto infondata è pertanto la censura sollevata dall’imputato che è priva di consistenza posto che il Tribunale non aveva affrontato affatto il tema del dolo del reato essendosi arrestato sulla soglia della insussistenza oggettiva del reato sicché è improprio il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in tema di cd. motivazione rafforzata . 6.3. Anche il ricorso dell’imputato è perciò inammissibile. 6.4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di S.L. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dichiara inammissibile per carenza di interesse il ricorso della parte civile GUCCIO GUCCI S.p.a. .