L’imputato cardiopatico deve provare la propria impossibilità a comparire in udienza

Il certificato medico che attesti il ricovero dell’imputato non sempre è sufficiente per l’accoglimento, da parte del giudice di merito, della richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato a comparire.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13850/17 depositata il 21 marzo. La vicenda. La Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del GIP con cui l’imputato veniva dichiarato colpevole per corruzione aggravata. L’avvocato di fiducia ricorre per la cassazione della pronuncia dolendosi per la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo al rigetto della richiesta di rinvio del giudizio d’appello per impossibilità fisica dell’imputato a parteciparvi, ricoverato in ospedali per gravi patologie cardiache, nonché per la mancata concessione delle attenuanti previste dagli artt. 8 d.l. n. 152/1991 323- bis , comma 2, c.p. e 606, comma 1, lett. b ed e , c.p.p L’impedimento dell’imputato. Il primo motivo di doglianza risulta infondato alla luce del costante orientamento giurisprudenziale richiamato dal Collegio con la sentenza in oggetto. Risulta infatti legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta l’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire fondato su un certificato medico che, seppur attesti il ricovero in ospedale, non fornisca le indicazioni in ordine all’ effettiva, assoluta impossibilità di comparire o comunque di partecipare lucidamente ed attivamente al processo . La mera circostanza del ricovero in ospedale non è dunque idonea ad integrare un impedimento assoluto laddove tale necessità non sia dovuta ad un’impossibilità fisica o all’evitare un rischio grave ed ineluttabile. Il giudice di merito non ha inoltre nessun obbligo di disporre accertamenti per completare l’insufficiente documentazione prodotta in giudizio dalla difesa, posto che solo su quest’ultima grava l’onere della prova del legittimo impedimento dell’imputato, fermo restando che, ai sensi dell’art. 420-ter, comma 2, c.p.p. la probabilità dell’assoluta impossibilità a comparire è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione . Avendo fatto corretta applicazione dei principi summenzionati, la sentenza impugnata risulta dunque immune da vizi. Circostanze attenuanti. Anche il secondo profilo di doglianza risulta infondato. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l’attenuante della collaborazione con la giustizia invocata dal ricorrente non è configurabile laddove il contributo dell’imputato intervenga in un momento in cui il quadro probatorio risulta già ricostruito con la conseguente individuazione dei concorrente del reato, non potendo in ogni caso essere legata alla mera resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanza di secondaria importanza , richiedendo invece una concreta e fattiva collaborazione diretta ad evitare conseguenza ulteriore dell’attività delittuosa e a coadiuvare gli inquirenti nella raccolta di elementi decisivi. Posto che nel caso di specie, l’ammissione dei fatti da parte dell’imputato è avvenuta in sede di udienza del giudizio abbreviato, con un mero riconoscimento della propria responsabilità e in assenza di descrizioni ulteriori dei fatti, correttamente il giudice di merito ha escluso l’attenuante in parola. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 febbraio – 21 marzo 2017, n. 13850 Presidente Carcano – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 8 marzo 2016, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato O.S. colpevole di due reati di corruzione aggravata a norma dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. dalla legge n. 203 del 1991, commessi uno in danno del comune di omissis fino all’ottobre 2007 e l’altro in danno del comune di omissis fino all’ottobre 2006, e gli aveva irrogato la pena di due anni e otto mesi di reclusione ed Euro 1.000 di multa, ritenuta la continuazione tra i reati, con concessione delle circostanze attenuanti generiche ed applicazione della diminuente per il rito. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, nonché le ordinanze dibattimentali pronunciate dai giudici di appello, l’avvocato Giuseppe Gianzi, quale difensore di fiducia dell’O. , formulando due motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 178, lett. c , 420-ter, comma 1, e 125 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c ed e , cod. proc. pen., avendo riguardo al rigetto della richiesta di rinvio del giudizio di appello per impossibilità fisica dell’imputato a parteciparvi personalmente, come da lui espressamente richiesto. Si deduce che l’ordinanza di rigetto dell’istanza di rinvio è assolutamente immotivata, limitandosi a rilevare che già in precedenza l’O. aveva chiesto di essere autorizzato al ricovero per accertamenti ritenuti non urgenti dalla Corte. Tuttavia, in udienza era stata documentata la gravità della situazione sanitaria che aveva determinato il ricovero dell’odierno ricorrente in ospedale due giorni prima né, del resto, la Corte d’appello ha disposto l’acquisizione di chiarimenti dalla struttura sanitaria pubblica interessata dal ricovero. Si precisa che l’imputato, affetto da gravi patologie anche cardiache, è stato ricoverato d’urgenza in ospedale la sera del 6 marzo 2016 per sintomi di precordialgia con angina instabile e, all’atto delle dimissioni, avvenute il 18 marzo 2016, ha ricevuto diagnosi di angina instabile in paziente con severa e diffusa malattia aterosclerotica coronarica. Cardiopatia dilatativa con severa depressione della contrattilità globale del ventricolo sinistro. Diabete mellito tipo 2 e prescrizione di riposo a casa evitando assolutamente stress psicofisici . 2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli artt. 8 del d.l. n. 152 del 1991 e 323- bis , secondo comma, cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata applicazione delle attenuanti previste dalle disposizioni appena citate. Si deduce che il giudice di appello ha omesso di motivare sulle censure specifiche formulate con l’atto di appello, limitandosi a riproporre gli argomenti esposti nella sentenza di primo grado. In particolare, la Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991 rilevando la brusca ed immotivata interruzione del rapporto di collaborazione, senza considerare gli argomenti addotti in contrario dalla difesa e valorizzando discutibilmente la scelta dell’imputato di rinunciare alla protezione. Non è stato inoltre considerato che l’attenuante di cui all’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen. richiede semplicemente l’idoneità oggettiva del contributo al raggiungimento dello scopo , e che la difesa aveva evidenziato specifici elementi in proposito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni di seguito precisate. 2. Le doglianze esposte nel primo motivo, deducenti l’illegittimità del rigetto della richiesta di rinvio dell’udienza fissata per il giudizio, nonostante la documentata impossibilità fisica dell’imputato a parteciparvi, sono manifestamente infondate alla luce, da un lato, dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia, e, dall’altro, degli elementi rappresentati nell’ordinanza impugnata. 2.1. Secondo un consolidato approdo giurisprudenziale, che il Collegio condivide, è legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito rigetta l’istanza di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire sulla base di un certificato medico attestante il ricovero in ospedale, ma privo di indicazioni in ordine alla effettiva, assoluta impossibilità di comparire o comunque di partecipare lucidamente ed attivamente al processo cfr., in questo senso Sez. 6, n. 36373 del 04/04/2014, Casciello, Rv. 260614 Sez. 2, n. 42595 del 27/10/2009, Errico, Rv. 255119 Sez. 6, n. 9712 del 06/04/1995, Primavera, Rv. 202349 . In particolare, Sez. 6, n. 36373 del 2014, cit., ha precisato che, Se le condizioni di salute dell’interessato non impongono - senza ragionevoli alternative - che lo stesso si trovi in ospedale proprio con la concomitanza con il processo, l’impedimento non può considerarsi assoluto , e che la necessità di permanenza in ospedale deve tendenzialmente dipendere dalla impossibilità fisica di lasciare il nosocomio, oppure dalla creazione di un rischio grave ed ineluttabile che si connetterebbe al rinvio del ricovero, od alla sua eventualmente momentanea interruzione . Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, nessun obbligo ha il giudice di merito di disporre accertamenti al fine di completare l’insufficiente documentazione prodotta, la quale non abbia attestato univocamente la suddetta assoluta impossibilità , in quanto la prova del legittimo impedimento deve essere fornita dall’imputato ai fini della dimostrazione dell’assoluta impossibilità di comparire cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 48284 del 10711/2004, Nicolini, Rv. 230366, e Sez. 2, n. 4300 del 12/12/2003, dep. 2004, Gabrielloni, Rv. 228153 ciò, anche perché, a norma dell’art. 420-ter, comma 2, cod. proc. pen., la probabilità dell’assoluta impossibilità a comparire è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione . Il principio appena esposto, anzi, è stato ribadito anche per lo specifico caso di ricovero ospedaliero, allorché si è puntualizzato che nessun obbligo di accertamenti grava sul giudice procedente, al quale è prodotto un certificato di degenza privo di specifiche indicazioni, spettando all’istante il compito di dare una compiuta rappresentazione del proprio impedimento si è evidenziato in proposito, infatti, che Il contributo di un esperto medico è richiesto non quando si tratti di accertare quale sia la patologia in atto che questo, come si è visto, è onere della parte , quanto piuttosto nei casi in cui si tratti di valutare in concreto, e se necessario mediante cognizioni specialistiche, se la patologia documentata abbia carattere completamente impeditivo così, testualmente, ancora Sez. 6, n. 36373 del 2014, cit. . Il limite all’applicazione della regola appena enunciata ricorre esclusivamente quando risulta l’impossibilità per il difensore di esibire la certificazione necessaria, perché venuto a conoscenza del ricovero solo il giorno dell’udienza così Sez. 4, n. 34301 del 04/06/2015, Lorita, Rv. 264411, la quale, significativamente, dichiara in modo espresso, in motivazione, di aderire ai principi affermati da Sez. 6, n. 36373 del 2014, cit. . Non è inutile infine rilevare che anche la risalente giurisprudenza aveva escluso la sussistenza di un impedimento assoluto a comparire in udienza a fronte della sola certificazione del ricovero dell’imputato in ospedale, quando questa non precisi con chiarezza la malattia a base della degenza, ma soltanto il riferimento a sintomatologia affermata dal paziente medesimo, senza alcun riscontro diagnostico e senza alcun accertamento, proprio in relazione a certificazione attestante ricovero in ospedale per dolore precordiale così, in particolare, Sez. 1, n. 561 del 17/03/1982, Cristiani, Rv. 154484 . 2.2. L’ordinanza emessa in dibattimento in data 8 marzo 2016 dalla Corte d’appello di Napoli, in particolare, rileva che l’attestazione di ricovero nulla dice in ordine all’impossibilità a comparire del prevenuto , che detta attestazione è stata rilasciata in data 7/3/2016 , che il ricovero è avvenuto in data 6/3/2016 su sintomatologia dichiarata precordialgia con angina instabile , e che pertanto non emerge lo stato di impossibilità a presenziare all’odierna udienza . Nella documentazione allegata all’istanza di rinvio presentata dalla difesa risultano esservi l’attestato relativo all’avvenuto ricovero dell’O. in data 6 marzo 2016, datato 7 marzo 2016, e la scheda di ingresso al pronto soccorso, indicante la modalità di arrivo in ambulanza, il codice triage giallo e la sintomatologia dichiarata precordialgia con angina instabile . Manca, poi, qualunque attestazione diagnostica in relazione alla data dell’8 marzo 2016 la difesa ha precisato nel ricorso per cassazione soltanto quale fosse la diagnosi all’atto delle dimissioni, avvenute il 18 marzo 2016 angina instabile in paziente con severa e diffusa malattia aterosclerotica coronarica. Cardiopatia dilatativa con severa depressione della contrattilità globale del ventricolo sinistro. Diabete mellito tipo 2 e prescrizione di riposo a casa evitando assolutamente stress psicofisici . 2.3. Facendo applicazione dei principi giuridici richiamati alla fattispecie concreta, come descritta nella sentenza impugnata, deve concludersi che la valutazione dei giudici di appello è immune da vizi. Ed infatti, la certificazione prodotta attestava il ricovero ed una mera sintomatologia dichiarata, ma non l’attualità di una patologia in relazione alla quale l’interruzione del ricovero avrebbe determinato la creazione di un rischio grave ed ineluttabile per il paziente. Non essendo documentata l’assoluta impossibilità per l’imputato di comparire o comunque di partecipare lucidamente ed attivamente al processo, ma solo una sintomatologia dichiarata, ed essendo decorso dal momento del ricovero a quello dell’udienza un periodo prossimo alle trentasei ore quindi ragionevolmente idoneo a consentire la formulazione di una diagnosi o comunque almeno di indicazioni provvisorie sulle condizioni del ricoverato , l’ordinanza impugnata non solo risulta correttamente motivata allorché ha rilevato l’assenza dello stato di impossibilità a presenziare all’odierna udienza , ma non può neanche ritenersi emessa in violazione di legge per non aver disposto accertamenti presso la struttura sanitaria. 3. Anche le doglianze esposte nel secondo motivo, deducenti il mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 8 del d.l. n. 152 del 1991 e di cui all’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen., sono manifestamente infondate, alla luce del dato normativo, dei principi interpretativi consolidati in materia, e degli elementi esposti nella sentenza impugnata. 3.1. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, l’attenuante di cui all’art. 8 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non è configurabile quando il contributo intervenga in presenza di un quadro probatorio che aveva già consentito l’individuazione dei concorrenti nel reato v., tra le altre, Sez. 3, n. 3078 del 12/12/2012, dep. 2013, Romeo, Rv. 254142, e Sez. 5, n. 33373 del 25/06/2008, Russo, Rv. 240994 , e, comunque, non può essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma richiede una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 36570 del 26/06/2012, Russo, Rv. 253393, e Sez. 1, n. 9276 del 13/12/2006, dep. 2007, Cirillo, Rv. 236230, ma anche Sez. 1, n. 7160 del 29/01/2008, Russo, Rv. 239306, secondo cui, specificamente, non è sufficiente il contributo concretizzatosi nel fornire un mero riscontro ad acquisizioni probatorie già compiute . Tale consolidato orientamento, che il Collegio condivide, ed in relazione al quale non sono stati prospettati specifici argomenti in senso contrario, si riferisce ad un testo normativo che intende riconoscere un’attenuante ad effetto speciale di particolare incidenza applicativa nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati . Non molto diverso è il testo dell’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen., come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. i della legge 27 maggio 2015, n. 69, in forza del quale, Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322- bis , per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi . Né sembra corretto pervenire a diversi risultati ermeneutici valorizzando le modeste differenze lessicali, in particolare attribuendo un significato precettivo autonomo ed estremamente lato all’enunciato per assicurare le prove dei reati , di cui all’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen In primo luogo, come già evidenziato dai giudici di merito, il dato letterale della disposizione induce a ritenere che il contributo collaborativo deve essere simultaneamente funzionale ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ad assicurare le prove dei reati e all’individuazione degli altri responsabili, posto che queste tre finalità sono collegate dalla congiunzione e , a differenza di quella relativa al recupero di beni, coordinata con la congiunzione ovvero . In secondo luogo, poi, da un punto di vista sistematico, è significativo che tutte le diverse fattispecie normative prevedenti l’attenuante ad effetto speciale della collaborazione sono state interpretate nel senso della insufficienza di un mero atteggiamento di resipiscenza dell’imputato, di una sua confessione di responsabilità o di informazioni relative a circostanze di secondaria importanza, e della necessità, invece, di una effettiva volontà di collaborazione e di un comportamento in tal senso univoco. In questo senso, infatti, si è espressa la giurisprudenza in relazione alle circostanze attenuanti di cui all’art. 12, comma 3-quinquies in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina cfr. Sez. 1, n. 6296 del 01/12/2009, dep. 2010, Lin, Rv. 246104 , di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 in materia di associazione finalizzata al narcotraffico v., ad esempio, Sez. 4, n. 32520 del 14/04/2016, Failla, Rv. 267876, e Sez. 6, n. 7995 del 17/06/2014, dep. 2015. Demiri, Rv. 262624 , di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per i reati di produzione, traffico o detenzione di sostanze stupefacenti così Sez. 6, n. 15977 del 24/03/2016, Ben. Rv. 266998, e Sez. 6, n. 35995 del 23/07/2015, Jayasekara, Rv. 264672 , di cui all’art. 630, quinto comma, in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione v. Sez. 6, n. 37102 del 19/07/2012, Checcucci, Rv. 253470 , e di cui all’art. 4 d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modifiche dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15 per i delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico cfr. Sez. 6, n. 38260 del 14/06/2007, Banelli, Rv. 237182, e Sez. 1, n. 11159 del 10/06/1982, Valpreda, Rv. 156306 . 3.2. La sentenza impugnata, al fine di escludere l’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 8 del d.l. n. 152 del 1991, ha evidenziato, in linea con quanto già rilevato dal giudice di primo grado, che la reale ammissione dei fatti è avvenuta solo nell’udienza del giudizio abbreviato, che, in linea generale, l’O. ha reso dichiarazioni volte a ridurre l’ambito delle proprie responsabilità senza mai descrivere i termini dell’accordo corruttivo imputato fino alla data dell’udienza, che le ammissioni sono avvenute solo a fronte di un corposo materiale investigativo, acquisito anche a mezzo di rogatoria internazionale, e dopo l’adozione di provvedimenti cautelari e richieste di rinvio a giudizio basati su altri elementi di prova, quali dichiarazioni di collaboratori di giustizia e conversazioni telefoniche intercettate, e che, inoltre, manca una reale dissociazione, per la brusca ed immotivata interruzione della collaborazione. La medesima sentenza, poi, ha escluso la configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen., osservando che le dichiarazioni ammissive delle proprie e altrui responsabilità sono avvenute solo in sede di giudizio e non hanno offerto elementi nuovi ed ulteriori per la ricostruzione dei fatti delle responsabilità dei correi. 3.3. Anche in relazione al profilo in esame, l’applicazione dei principi giuridici sopra evidenziati alla fattispecie concreta, come descritta nella sentenza impugnata, consente di concludere che la valutazione dei giudici di appello è immune da vizi. Invero, se le attenuanti della collaborazione, sia a norma dell’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, sia a norma dell’art. 323- bis , secondo comma, cod. pen., richiedono l’accertamento di una effettiva volontà di collaborazione e di un utile contributo alla ricostruzione dei fatti, correttamente la Corte di appello ha escluso la sussistenza delle stesse nel caso sottoposto al suo giudizio, evidenziando che la collaborazione era maturata solo in udienza nel processo a suo carico, a fronte di elementi di prova estremamente significativi e dopo che erano stati già adottati, sulla base di altri dati conoscitivi, provvedimenti cautelari e richieste di rinvio a giudizio. 4. Alla proposizione di censure manifestamente infondate segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro millecinquecento, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.