Scorta la vittima nella cantina, dopo averla “adescata”: condannato per violenza sessuale di gruppo

Non serve prender parte alla violenza sessuale, basta che il soggetto ponga in essere una frazione del fatto tipico, perché si configuri il reato di violenza sessuale di gruppo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13109/17 depositata il 17 marzo. Il caso. Un soggetto era stato condannato a 4 anni di reclusione per il reato di violenza sessuale di gruppo, ex art. 609- octies c.p., a danni di una ragazza minorenne, in concorso con altri quattro minorenni. Avverso tale pronuncia il condannato ricorreva in Cassazione. Il reato di violenza sessuale di gruppo. Il ricorrente lamenta la propria lontananza fisica dal luogo della violenza nel momento in cui essa si è consumata e l’assenza di qualunque contributo causale alla consumazione del reato. La Corte di Cassazione, però, giunge a conclusione contraria, ripercorrendo il quadro motivazionale dei giudizi di merito il soggetto aveva avvicinato la minorenne, in due occasioni, richiedendo prestazioni sessuali a beneficio proprio e di altri ragazzi del suo gruppo. Poi, ingannando la vittima, che pensava di esser scortata dal ricorrente per rimanere in compagnia di un unico ragazzo di cui non aveva mai fatto mistero di essersi invaghita , veniva condotta e accompagnata fisicamente per le braccia, nella cantina in cui si consumava il reato. Il ricorrente contesta la propria responsabilità, non avendo egli preso parte alla violenza successiva. La partecipazione al reato di violenza sessuale di gruppo, però, non si limita al compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale, ma ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spettatore”, sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva . Il reato in esame è necessariamente plurisoggettivo proprio, per il quale non serve che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale . Basta che il soggetto realizzi soltanto una frazione del fatto tipico . Pertanto il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1 febbraio – 17 marzo 2017, n. 13109 Presidente Di Nicola – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. A.S. , ricorre per l’annullamento della sentenza del 15/04/2015 della Corte di appello di Milano che, rigettando l’impugnazione da lui proposta avverso quella del 05/12/2012 del Tribunale di quello stesso capoluogo, ha confermato la condanna alla pena di quattro anni di reclusione per il reato di cui all’art. 609-octies, cod. pen., a lui ascritto perché, in concorso con altri quattro minorenni, aveva partecipato ad una violenza sessuale di gruppo consumata ai danni della minorenne P.D. il fatto è contestato come commesso in agli inizi del mese di omissis . 1.1. Con il primo motivo, sul rilievo che il verbale di testimonianza resa dalla persona offesa dinanzi al G.u.p. il 02/04/2012 in sede di audizione protetta era stato acquisito al fascicolo del dibattimento con riserva di valutare l’opportunità di una sua nuova audizione solo all’esito delle altre prove testimoniali, deducendo che il Tribunale aveva respinto la relativa richiesta, formulata ai sensi dell’art. 507, cod. proc. pen., eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. d , cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva, assolutamente necessaria al fine di vagliare l’attendibilità e la credibilità della persona offesa, unica prova di accusa. 1.2. Con il secondo motivo, sulla premessa che la propria condanna si fonda esclusivamente sul racconto della persona offesa, racconto definito dalla Corte di appello dettagliato, costante, coerente e privo di contraddizioni, con riferimento alle fasi e ai momenti fondamentali della vicenda , e sul rilievo incontestato che egli non prese materialmente parte all’azione altrui del cui proposito criminoso si predica il solo rafforzamento da parte sua, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e , cod. proc. pen., vizio di mancanza, contraddittorietà o comunque manifesta illogicità della motivazione. Deduce, al riguardo, che, diversamente da quanto contestato nella rubrica, egli non spinse affatto la vittima nello scantinato, avendo la persona offesa sempre dichiarato di esservi entrata spontaneamente, e che, più in generale, la Corte di appello gli attribuisce un contributo causale fondamentale nella vicenda escluso, invece, dalle prove assunte nel corso del processo che non solo non legittimano l’interpretazione in senso unidirezionalmente accusatorio che ne è stata data ma non consentivano di escludere il ragionevole dubbio del contrario. Infatti, la sussistenza di possibili spiegazioni alternative della propria condotta e della sua ignoranza di quel che sarebbe effettivamente accaduto nello scantinato è stata scartata dalla Corte di appello con una strenua difesa della credibilità della vittima, escludendo, in modo immotivato e comunque non convincente, l’incidenza, sul dolo, dell’abitudine, pure emersa nel corso del processo, di utilizzare lo scantinato per assumere stupefacenti lasciando che uno dei convenuti ne presidiasse l’ingresso. In altre parole, il dichiarato e non contestato interesse della persona offesa verso uno dei ragazzi che avevano commesso il fatto, le modalità dell’ingresso nello scantinato spontaneo e non violento , l’uso del locale per attività che ne comportavano comunque la necessità del presidio esterno assunzione di gruppo di droghe leggere , rendevano ragionevolmente possibile escludere ogni forma di consapevolezza da parte propria di quel che sarebbe accaduto all’interno del locale stesso, men che meno il suo contribuito causale e consapevole, e certamente imponevano quell’approfondimento istruttorio il cui diniego è oggetto di censura con il primo motivo. 1.3. Con il terzo motivo, deducendo la sua lontananza fisica dal luogo della violenza e al momento della violenza stessa, e ribadita l’assenza di un suo contributo causale escluso dagli stessi ipotizzati autori materiali della condotta , eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b , cod. proc. pen., l’inosservanza o comunque l’erronea applicazione degli artt. 110, 114, 609-bis, cod. pen., norme delle quali aveva inutilmente invocato la applicazione in via subordinata. 1.4. Con il quarto motivo, deducendo che il decreto di citazione a comparire all’udienza del 15/04/2015 è stato notificato al difensore il 27/03/2015, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. c , cod. proc. pen., la mancata osservanza del termine dilatorio di venti giorni di cui all’art. 601, comma 5, cod. proc. pen Considerato in diritto 2. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. 3. Preliminare è l’esame dell’ultimo motivo. 3.1. Dall’esame diretto degli atti risulta che il difensore dell’imputato fu citato a comparire all’udienza del 15/04/2015 mediante notificata a mezzo pec ricevuta il 27/03/2015. All’udienza del 15/04/2015 egli era presente e nulla eccepì. 3.2. Secondo l’indirizzo assolutamente prevalente di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità perché coerente con l’insegnamento di Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539, l’inosservanza del termine minimo di venti giorni, stabilito dall’art. 601, comma quinto, cod. proc. pen., per la notifica dell’avviso al difensore dalla data fissata per il giudizio di appello, non integra una nullità assoluta ed insanabile, ma una nullità relativa, quindi non rilevabile d’ufficio, che deve essere dedotta nel termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen., con la conseguenza che la relativa eccezione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità Sez. 5, n. 30075 del 18/06/2010, Mallia, Rv. 247908 Sez. 5, 17 luglio 2009, n. 35883, Santagata, Rv. 245101 Sez. 5, 18 giugno 2010, n. 30075, Mallia, Rv. 247908 Sez. 5, 18 febbraio 2009, n. 17694, Angelini, Rv. 243614 Sez. 3, 29 marzo 2003, n. 26201, Camonita, Rv. 225766 Sez. 2, 3 aprile 2003, n. 22915, Paoliello, Rv. 225095 . 4. Il primo motivo é manifestamente infondato. 4.1. Il ricorrente eccepisce la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta ai sensi dell’art. 507, cod. proc. pen 4.2. La questione devoluta è del tutto eterogenea rispetto al motivo di ricorso espressamente indicato art. 606, lett. d, cod. proc. pen. , poiché la testimonianza della persona offesa non fu mai richiesta ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., tanto meno fu sollecitata ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., né la sua mancata riassunzione testimoniale costituì specifico motivo di appello. 4.3. La questione, dunque, riguarda esclusivamente la credibilità della persona offesa ormai diciannovenne quando fu sentita in sede protetta , tema devoluto in appello e, come si vedrà, risolto senza sbavature dalla Corte territoriale. 5.Gli ultimi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. 5.1. In tema di sindacato di legittimità della motivazione della sentenza del giudice di merito si deve, ancora una volta, ricordare il costante insegnamento di questa Corte secondo il quale 5.2. l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 5.3. pertanto la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, per cui dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621 , sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903 5.4. la natura manifesta della illogicità della motivazione costituisce, dunque, un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli. 5.5. Occorre perciò rimarcare, ancora una volta, che il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici dell’imputato ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata. L’esame di legittimità non può avere ad oggetto direttamente il fatto o la prova ma solo la logica e i criteri giuridici che presiedono alla valutazione dell’una e alla ricostruzione dell’altro. 5.6. Il Giudice di legittimità può esaminare la prova solo quando se ne denunci il decisivo travisamento, configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia in tal caso il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774 Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 . 5.7. Orbene, l’intero ricorso, pur non eccependo alcun vizio di travisamento della prova, è volto a sollecitare non tanto l’esame critico della logica che sorregge il provvedimento impugnato dal cui contenuto, in realtà, astrae completamente , quanto un inammissibile ri esame, nel merito, delle prove utilizzate dai Giudici di merito per affermare la credibilità della persona offesa e ricostruire l’intera dinamica del fatto. 5.8. Si apprende, infatti, dalla lettura della motivazione, che fu proprio l’imputato ad avvicinare la persona offesa chiedendole, alla presenza degli altri ragazzi, se fosse disposta a praticare loro un rapporto orale e che, alla risposta negativa della ragazza, egli l’attese, insieme, con gli altri, all’uscita della chiesa reiterando la richiesta, questa volta per conto di uno solo dei ragazzi presenti del quale la ragazza, all’epoca quattordicenne, non aveva mai fatto mistero di essersi invaghita, così che la stessa si decise a seguire costui, convinta, com’era, di ritrovarsi sola con lui magari in un appartamento messo a disposizione da uno dei suoi amici ricorrente compreso . Ed invece, pur allontanatasi con quel solo ragazzo, era stata seguita a dipresso da tutti gli altri, e una volta entrata nel portone dell’immobile nel quale viveva l’A. , convinta di poter restare finalmente da sola con questo ragazzo, si era resa conto della presenza anche degli altri et prima ancora che potesse realizzare il tranello nel quale era caduta, era stata fisicamente accompagnata per le braccia, anche dal ricorrente, nella cantina di cui egli deteneva le chiavi. 5.9. Di tutto ciò, delle modalità con cui poco meno di due anni dopo la vicenda era emersa, dei contrasti tra la versione dell’imputato e quella dei correi oggi invece addirittura addotti a conferma della tesi difensiva e, più in generale, degli argomenti specificamente sviluppati dalla Corte di appello per confutare la tesi difensiva della non credibilità della ragazza, il ricorrente non si cura più, avendo persino abbandonato, in questa sede, i rilievi difensivi sviluppati in sede di appello. V’è dunque un evidente scollamento tra i motivi di appello, le argomentazioni utilizzate dalla Corte e le ragioni dell’odierno ricorso, volte a recuperare, puntellandoli con inammissibili allegazioni fattuali, percorsi nuovi o poco sviluppati nelle sedi di merito. 5.10. E così il tema si riallaccia al primo motivo il ricorrente trascura di riferire che le contraddizioni della parte offesa non sono state rilevate dalla Corte di appello per il semplice motivo che i verbali delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari non sono mai stati acquisiti al fascicolo del dibattimento e che tali dichiarazioni non sono mai state oggetto di contestazione in sede di audizione protetta. 5.11. Anche la configurabilità del reato di cui all’art. 609-octies, cod. pen. che il ricorrente contesta , è supportata da una incompleta ricostruzione della vicenda che oltre a fare a meno del suo decisivo incipit la reiterata richiesta dell’imputato a compiere atti sessuali sul gruppo e poi su uno solo dei suoi componenti , astrae da quanto si legge nella sentenza stessa, da cui risulta che l’imputato poteva ben vedere quel che accadeva in cantina nella quale condusse la ragazza. La possibile spiegazione alternativa di quel che avrebbe potuto rappresentarsi l’imputato il consumo di stupefacenti all’interno della cantina trova addentellati fattuali solo nella scomposizione e ricomposizione delle prove operata nel ricorso, non di certo nella realtà descritta dalla sentenza. 5.12. La sentenza consegna al lettore una realtà chiara, che indiscutibilmente riconduce il fatto all’ipotesi di reato contestata e che, secondo l’insegnamento di questa Corte, sussiste quando la partecipazione al reato di violenza sessuale di gruppo non si limiti al compimento, da parte del singolo, di un’attività tipica di violenza sessuale, ma ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero spettatore , sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva Sez. 3, n. 44408 del 18/10/2011, Rv. 251610 Sez. 3, n. 32928 del 16/04/2013, Rv. 257275 cfr. altresì, Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Rv. 227495, che ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo il quale il delitto di violenza sessuale di gruppo, previsto dall’art. 609-octies cod. pen., costituisce una fattispecie autonoma di reato, a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, e richiede per la sua integrazione, oltre all’accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, in un rapporto causale inequivocabile, senza che, peraltro, ciò comporti anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale, né che realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti nello stesso senso Sez. 3, n. 11541 del 03/06/1999, Rv. 215148, che ha ulteriormente precisato che queste connotazioni distinguono la violenza sessuale di gruppo dall’ordinario concorso di persone nel reato di cui all’art. 609 bis cod. pen., e cioè nel reato di violenza sessuale . 5.13. Nel caso in esame l’imputato ha dapprima rivolto richieste esplicitamente sessuali alla ragazzina, quindi, ottenuto in modo fraudolento il suo consenso ad appartarsi con uno solo dei suoi complici, ha materialmente e fisicamente condotto la persona offesa nel luogo dove sarebbe stato consumato il fatto, un luogo che era nella sua esclusiva disponibilità e che aveva presidiato al fine di consentire agli altri tre di consumare la violenza ai danni della vittima, violenza che era stata perpetrata sotto il suo sguardo. L’apporto consapevole, indispensabile e causale all’azione è evidente. Il che esclude la sussistenza della circostanza attenuante del contributo di minima importanza di cui all’art. 609-octies, quarto comma, cod. pen., che può essere riconosciuta solo quando l’apporto del concorrente, tanto nella fase preparatoria quanto anche in quella esecutiva, sia stato di minima, lievissima e marginale efficacia eziologica, e, quindi, del tutto trascurabile nell’economia generale della condotta criminosa Sez. 3, n. 31842 del 02/04/2014, Rv. 259939 . 5.14. I motivi sono dunque generici nella parte in cui evitano di confrontarsi con le ragioni della decisione totalmente infondati e proposti per casi non consentiti dalla legge nella parte in cui si avvalgono di deduzioni fattuali . 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.