“Il mio scopo è farti piangere”: condannato per minaccia

Sanzionato un uomo per la frase rivolta nei confronti dell’ex compagna. Contesto dell’episodio è la complicata chiusura del loro rapporto. Le parole utilizzate sono state considerate intimidatorie.

Chiusura complicata del rapporto di coppia. Altissima la tensione, testimoniata dall’obiettivo fissato dall’uomo rivolgendosi all’ex compagna il mio scopo nella vita è farti piangere . Quelle parole, però gli costano una condanna per il reato di minaccia Cassazione, sentenza n. 12756, sezione V Penale, depositata il 16 marzo 2017 . Pericolo. Anche per i magistrati della Cassazione è evidente l’ efficacia intimidatoria della frase pronunciata dall’uomo. Le parole utilizzate, difatti, erano tali da intimorire l’ex compagna. Per comprendere meglio la vicenda i giudici ricordano che elemento essenziale del reato di minaccia è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima . Irrilevante è, invece, l’indeterminatezza del male minacciato , purché esso sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente , e in questa ottica è ritenuto decisivo dai giudici il contesto non sereno in cui era vissuta la fine del rapporto di coppia .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 ottobre 2016 – 16 marzo 2017, n. 12756 Presidente Vessichelli– Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/10/2015 il Tribunale di Genova ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato F. V. alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni, in favore della parte civile G. P., avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 612 c.p. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che Tribunale neppure aveva considerato le dichiarazioni dell'imputato, il quale aveva negato l'addebito e, in particolare, di avere pronunciato le minacce - peraltro neppure oggettivamente rilevabili nell'espressione contestata -, ponendo a fondamento della decisione le affermazioni della persona offesa, la quale aveva riferito vagamente in ordine all'episodio, senza indicare il contesto nel quale si sarebbe verificato. Aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata non aveva preso in esame il significato delle fotografie e il tenore dei messaggi acquisiti, dai quali emergeva il clima sereno e aveva trascurato di valutare il clima di esasperata e persistente conflittualità, che aveva condotto alla archiviazione di altro procedimento scaturito da una delle querele proposte dall'imputato nei confronti della P 2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione al mancato rilievo della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000. 3. E' stata depositata memoria nell'interesse della parte civile. Considerato in diritto 1. Va preliminarmente rilevato che la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza per la trattazione del ricorso in esame è stata effettuata nei confronti di uno soltanto dei due difensori del ricorrente. Tuttavia, il vizio procedurale de quo deve ritenersi sanato, a seguito della mancata comparizione in udienza dei difensori stessi. A questa conclusione - di recente ribadita, sia pure con riferimento all'udienza camerale, da Sez. 2, n. 21631 del 04/02/2015, E., Rv. 26377801 -, si addiviene rilevando, innanzitutto, che l'omissione della comunicazione anzidetta, in ossequio ad una consolidata giurisprudenza di legittimità, non dà luogo ad una nullità assoluta, ai sensi dell'art. 179 c.p.p., ma ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 180 del codice di rito Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, S., Rv. 249651 . Da tale osservazione discende che alla nullità in discorso è applicabile la sanatoria prevista dall'art. 184, comma 1, c.p.p., dovendosi cogliere nella mancata comparizione del difensore regolarmente avvisato e del difensore al quale l'avviso non è stato comunicato una rinuncia per facta concludentia la cui configurabilità emerge dal raffronto dell'art. 184 c.p.p. con la diversa formulazione l'art. 183, lett. a del codice di rito della parte da questi ultimi rappresentata a comparire all'udienza camerale. 2. Il primo motivo è inammissibile. Con riferimento all'accertamento dei fatti, si osserva che le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'A., Rv. 253214 . In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si deve tradurre nell'individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle prime. In tale contesto, le argomentazioni sviluppate dalla sentenza impugnata e dalla decisione di primo grado è appena il caso di rilevare che, essendosi in presenza di una doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilità dell'imputato, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, B., Rv. 251550 , non sono incrinate, nella loro logicità, dalle considerazioni che, in altra vicenda, connotata dalla presenza anche di dichiarazioni ulteriori rispetto a quelle del V. e della P., hanno condotto alla archiviazione del procedimento scaturito da una querela del primo. Peraltro, anche la generica critica rispetto all'efficacia intimidatoria della frase pronunciata il mio scopo nella vita è farti piangere a da un lato, non considera, in punto di diritto, che elemento essenziale del reato in esame è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, S., Rv. 26167801 b dall'altro, in punto di fatto, trascura di considerare che soprattutto la sentenza di primo grado ha dato ben conto del contesto tutt'altro che sereno nel quale vivevano la fine del loro rapporto il V. e la P., come, peraltro, a dispetto dei documenti invocati, finisce per riconoscere lo stesso ricorrente, quando richiama il contenuto del sopra menzionato provvedimento di archiviazione. 3. Il secondo motivo è infondato, dal momento che, ai sensi dell'art. 34, comma 3, d.lgs. n. 274 del 2000, dopo l'esercizio dell'azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata solo quando, oltre all'imputato, anche la persona offesa non si oppone. Tuttavia, come chiarito da Sez. U. n. 43264 del 16/07/2015, tale volontà di opposizione è da ritenersi sussistente nel momento in cui la persona offesa, come nel caso di specie, una volta costituitasi parte civile, formuli richieste risarcitorie v., in particolare, il par. 9 della motivazione . 4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che, in relazione all'attività svolta, vengono liquidate in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.