Presunto stalker: no al divieto di dimora perché la sua presenza crea tensioni

Lo stato di tensione e disagio psicologico venutosi a creare nella relazione di vicinato non basta a far scattare il divieto di dimora per gli atti persecutori del cd. stalker, se la sua condotta non ha determinato un cambiamento di abitudini di vita dei vicini.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12799/17, depositata il 16 marzo, ha affermato che il divieto di dimora per il presunto stalker, perché la sua presenza crea tensione e disagio psicologico, non rappresenta una condizione sufficiente per legittimare il provvedimento. Il caso. Il Tribunale del riesame, in accoglimento del ricorso presentato dal PM avverso l'ordinanza emessa nell’agosto del 2016 con cui il GIP aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese o, in subordine, del divieto di dimora nei confronti di due persone in relazione ad atti persecutori nei confronti di alcuni vicini , applicava ai due ricorrenti la misura del divieto di dimora. Le motivazioni del ricorso in Cassazione. I due imputati ricorrevano in Cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo che la loro condotta non avrebbe causato alcuno stato di ansia o paura né alcun timore nelle persone offese, che non avrebbero neanche modificato le loro abitudini di vita, essendo la vicenda riconducibile solo a dissidi tra vicini, non sussistendo alcuna certificazione medica a riscontro delle dichiarazioni dei denuncianti, che avrebbero sempre tenuto una condotta oppositiva a quella degli indagati, non mostrandosi affatto intimiditi, come dimostrato anche dalla documentazione agli atti, che avrebbero, al contrario, descritto un quadro di reciproci contrasti. Mancherebbero, quindi, gli elementi costitutivi della fattispecie, essendo stati i ricorrenti animati solo dalla volontà di tutelare il loro diritto di proprietà. I due ricorrenti sostenevano, inoltre, che risultavano insussistenti le esigenze cautelari che era sproporzionata la misura indicata nel provvedimento del giudici del merito, atteso che le persone offese non risiedono nelle vicinanze della loro abitazione, con conseguente compromissione del loro diritto di abitazione, entrambi incensurati. L’analisi della Cassazione. Per la Corte di Cassazione il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. Premesso, osservano i Giudici di legittimità, che risulta come entrambi i ricorrenti abbiano personalmente sottoscritto il ricorso per cassazione, il che rende del tutto irrilevante la circostanza che ad essi sia stata, o meno, notificato l'impugnato provvedimento, avendone gli stessi, evidentemente, avuto piena conoscenza, va evidenziata la lacunosità e la contraddittorietà del provvedimento impugnato. Il Tribunale del Riesame, anzitutto, ha riferito che il Giudice per le indagini preliminari aveva qualificato la condotta, escludendo la possibilità di configurare le fattispecie di cui agli artt. 610 e 612- bis c.p. atti persecutori/stalking , ed ha quindi descritto la vicenda riferendo le minacce e le angherie a cui i querelanti avevano riferito di essere sottoposti, con denuncia del maggio 2016. Tuttavia, in ordine alla sussistenza degli elementi di cui all’art. 612- bis c.p., non può non rilevarsi come veramente poche e generiche siano le affermazioni in cui si sostanza la motivazione del provvedimento impugnato. Esso, in particolare, si limita ad un apodittico riferimento ad uno stato di tensione e disagio psicologico non meglio specificato, richiamando la querela del dicembre 2011, il cui contenuto non è neanche sinteticamente illustrato. Inoltre, nel provvedimento impugnato si afferma che le persone offese subissero vessazioni e soprusi tali da determinare verosimilmente” uno stato di costante apprensione oggettivamente sussistente. La Corte di Cassazione evidenzia che a parte la considerazione che non viene neanche individuata la fonte di tale affermazione, va rilevato che appare evidentemente contraddittoria la motivazione in cui si qualifica come verosimile” uno stato di costante apprensione che, ai fini della sussistenza del reato, ancorché a livello indiziario, deve essere ritenuto sussistente sulla scorta di specifici e chiari elementi necessitanti una univoca individuazione e valutazione. Ciò senza considerare che ai fini della possibilità di configurare la fattispecie di cui all'art. 612- bis c.p., deve ricordarsi che uno degli eventi che, alternativamente, devono ravvisarsi come conseguenza della condotta delittuosa, sono individuati in uno stato di ansia o di paura gravi e perduranti , che certamente dal punto di vista ontologico appaiono non assimilabili ad uno stato di semplice apprensione, per quanto costante, oppure in un fondato timore per la propria incolumità o in quella di familiari, ovvero, infine, in una alterazione delle proprie abitudini di vita, e nessuno dei due ultimi citati eventi risulta delineato. Le conclusioni. Per i Giudici di legittimità ne deriva la necessità di rivalutare e specificare la sussistenza, nel caso, in esame, degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612- bis c.p., ferma restando la possibilità, anch'essa da valutare nello specifico. Il provvedimento annullato va, pertanto, rinviato al Tribunale - sezione Riesame - , per un nuovo esame sul punto, restando assorbite le ulteriori doglianze.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 gennaio – 16 marzo 2017, n. 12799 Presidente Fumo – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame di Potenza, in accoglimento del ricorso ex artt. 310 cod. proc. pen., presentato dal pubblico ministero avverso l’ordinanza in data 08/08/2016 - con cui il Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese o, in subordine, del divieto di dimora nei confronti del M.M. e di C.A.C. in relazione ai delitti di cui agli artt. 81, comma 2, 110, 610, 612 bis, cod. pen. - applicava ai predetti indagati la misura del divieto di dimora nel comune di in riferimento al delitto di cui all’art. 612 bis, cod. pen. 2. Il M.M. e la C.A.C. , a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Gabriella Chieffi, in data 05/12/2016, ricorrono per 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione all’art. 612 bis, cod. pen., in quanto la condotta dei ricorrenti non avrebbe causato alcuno stato di ansia o paura né alcun timore nelle persone offese, che non avrebbero neanche modificato le loro abitudini di vita, essendo la vicenda riconducibile solo a dissidi tra vicini, non sussistendo alcuna certificazione medica a riscontro delle dichiarazioni dei denuncianti, che avrebbero sempre tenuto una condotta oppositiva a quella degli indagati, non mostrandosi affatto intimiditi, come dimostrato anche dalle s.i.t. agli atti, che avrebbero, al contrario, descritto un quadro di reciproci contrasti mancherebbero, quindi, gli elementi costitutivi della fattispecie, essendo stati i ricorrenti animati solo dalla volontà di tutelare il loro diritto di proprietà 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 15 e 393, cod. pen., 274 lett. c , 280 cod. proc. pen., non comprendendosi come il Tribunale, esclusa la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 610 cod. pen., abbia poi ritenuto sussistente quella di cui all’art. 612 bis, cod. pen., dovendo essere i fatti ricondotti alla ipotesi di cui all’art. 393 cod. pen., come già ritenuto dal Giudice per le indagini preliminari e dallo stesso Tribunale del Riesame, con conseguente inapplicabilità della misura in considerazione dei limiti edittali di pena della suddetta fattispecie 2.3. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274, 283, 292 lett. c , cod. proc. pen., risultando insussistenti le esigenze cautelari ex art. 274 lett. c , cod. proc. pen., non risiedendo le persone offese alla via San Lorenzo il tempo prolungato di perduranza dei dissidi tra i due nuclei familiari, inoltre, evidenzierebbe l’assenza di episodi gravi, con particolare riferimento alla C. , coinvolta nella vicenda solo in quanto moglie del M. 2.4. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 275, 277, 283, comma 4, 292, comma 2, lett. c , cod. proc. pen., per la sproporzione della misura, atteso che le persone offese non risiedono nelle vicinanze dell’abitazione degli indagati, con conseguente compromissione del diritto di abitazione degli indagati, entrambi incensurati 2.5. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 292 comma 2 ter, 358 cod. proc. pen., in relazione all’omessa considerazione degli elementi favorevoli agli indagati, con particolare riferimento alle s.i.t. rese dai vicini di casa degli indagati ed all’omesso svolgimento di attività di indagine in relazione a vicende in cui i predetti risulterebbero persone offese 2.6. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 127, 309, 310, 311 cod. proc. pen., non essendo stata mai notificata ai ricorrenti l’ordinanza impugnata. 3. Con motivi aggiunti, ex art. 611 cod. proc. pen., la difesa ha inoltre ravvisato 3.1. vizio di motivazione, ex art. 606, lett. e , cod. proc. pen., in relazione all’art. 612 bis, cod. pen., non essendo stata alla C. contestata alcuna specifica condotta, ed essendo l’ordinanza impugnata del tutto carente anche sotto l’aspetto delle esigenze cautelari per detta indagata 3.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., sia in quanto emergerebbe chiaramente che il M. non si fosse mai spinto al di fuori della sua proprietà, a tutela della quale egli avrebbe sempre agito, con finalità esclusivamente difensive 3.3. vizio di motivazione, ex art. 606, lett. e , cod. proc. pen., in relazione alla sproporzione della misura adottata ed all’assenza di esigenze specialpreventive. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto, nei termini di seguito specificati. Premesso che risulta come entrambi i ricorrenti abbiano personalmente sottoscritto il ricorso per cassazione, il che rende del tutto irrilevante la circostanza che ad essi sia stata o meno notificato l’impugnato provvedimento, avendone gli stessi, evidentemente, avuto piena conoscenza, va evidenziata la lacunosità e la contraddittorietà del provvedimento impugnato gli aspetti in seguito individuati. Il Tribunale del Riesame, anzitutto, ha riferito che il Giudice per le indagini preliminari avesse qualificato la condotta ai sensi dell’art. 393 cod. pen., escludendo la possibilità di configurare le fattispecie di cui agli artt. 610 e 612 bis, cod. pen., ed ha quindi descritto la vicenda riferendo le minacce e le angherie a cui i querelanti avevano riferito di essere sottoposti, con denuncia del 30/05/2016. Tuttavia, in ordine alla sussistenza degli elementi di cui all’art. 612 bis, cod. pen., non può non rilevarsi come veramente poche e generiche siano le affermazioni in cui si sostanza la motivazione del provvedimento impugnato. Esso, in particolare, si limita ad un apodittico riferimento ad uno stato di tensione e disagio psicologico non meglio specificato, richiamando la querela del 09/12/2011, il cui contenuto non è neanche sinteticamente illustrato. Inoltre, alla pag. 7 del provvedimento si afferma che le persone offese subissero vessazioni e soprusi tali da determinare verosimilmente uno stato di costante apprensione oggettivamente sussistente. A parte la considerazione che non viene neanche individuata la fonte di tale affermazione, va rilevato che appare evidentemente contraddittoria la motivazione in cui si qualifica come verosimile uno stato di costante apprensione che, ai fini della sussistenza del reato, ancorché a livello indiziario, deve essere ritenuto sussistente sulla scorta di specifici e chiari elementi necessitanti una univoca individuazione e valutazione. Ciò senza considerare che ai fini della possibilità di configurare la fattispecie di cui all’art. 612 bis, cod. pen., deve ricordarsi che uno degli eventi che, alternativamente, devono ravvisarsi come conseguenza della condotta delittuosa, sono individuati in uno stato di ansia o di paura gravi e perduranti che certamente dal punto di vista ontologico appaiono non assimilabili ad uno stato di semplice apprensione, per quanto costante - oppure in un fondato timore per la propria incolumità o in quella di familiari, ovvero, infine, in una alterazione delle proprie abitudini di vita, e nessuno dei due ultimi citati eventi risulta delineato. Ne discende, pertanto, la necessità di rivalutare e specificare la sussistenza, nel caso, in esame, degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 612 bis, cod. pen., ferma restando la possibilità, anch’essa da valutare nello specifico, che la condotta di cui all’art. 393 cod. pen. concorra con quella di cui all’art. 612 bis, cod. pen., stante la diversità dell’oggettività giuridica tutelata dalle due norme Sez. 5, sentenza n. 54923 del 08/06/2016, Rv. 268408 Sez. 5, sentenza n. 20696 del 29/01/2016, Rv. 267148 . Il provvedimento annullato va, pertanto, rinviato al Tribunale di Potenza sezione Riesame, per nuovo esame sul punto, restando assorbite le ulteriori doglianze. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Potenza - sezione Riesame. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/2003, in quanto imposto dalla legge.