Maltrattamenti e pericolo di reiterazione

Il giudizio sul pericolo di recidivanza è un giudizio di prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondato su elementi concreti idonei a rintracciare continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento dell’adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro verificarsi.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11544/17, depositata il 9 marzo. Il caso. Il Tribunale di Catanzaro, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta dall’indagata in ordine al reato di maltrattamenti aggravati - posti in essere ai danni di degenti della struttura della quale era direttrice –, sostituiva la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. Il Tribunale del Riesame, escludendo l’applicazione della più mite misura dell’obbligo di dimora dell’indagata nel comune di residenza o il divieto di dimora presso i comuni di residenza dei dipendenti della struttura, riteneva infatti sussistente l’esistenza di un quadro indiziario di colpevolezza in ordine ad una condotta di abbandono degli ospiti della struttura, - concretizzatasi in omissioni di assistenza e in disposizioni ai dipendenti affinché fosse fornito ai dipendenti vitto insufficiente - nonché il pericolo di inquinamento probatorio e di recidiva. Ricorreva l’indagata avverso detta ordinanza con tre motivi in annullamento, rilevando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’integrazione del reato di maltrattamenti art. 572 c.p. , carenza di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza ed illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari. Il reato di maltrattamenti. Gli Ermellini hanno ritenuto infondati i primi due motivi. Infatti, il reato di maltrattamenti è integrato dalla produzione di durevoli sofferenze fisiche e morali anche nei confronti di persone affidate all’autorità del soggetto agente o a lui affidate per ragioni di cura, vigilanza e custodia. È da ritenersi inoltre realizzata tale prescrizione anche quando ne siano vittime individui affidati ad una struttura assistenziale. Partendo da tale premessa, dunque, il Supremo Collegio ha statuito come l’imputabilità del reato di cui all’art. 572 c.p. gravi in capo a coloro ai quali siano attribuiti oneri di protezione, nei casi in cui questi ultimi tollerino eventi riconducibili al delitto in esame, pur essendo gravati dell’obbligo giuridico di impedirli. Pertanto è da ritenersi configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di coloro che, responsabili di una struttura preposta alla cura di soggetti anziani ed inabili, omettano di condurre la gestione della struttura nel rispetto dello scopo a cui essa è finalizzata, facendo mancare i mezzi economici necessari alla resa di cure e del necessario servizio. Non rilevando la posizione di formale titolarità di detti soggetti, bensì poteri effettivi di gestione e controllo. Le esigenze cautelari. La Corte ha invece ritenuto fondato il motivo concernente le esigenze cautelari, circa il pericolo di inquinamento probatorio e la reiterazione dei reati. Il Tribunale non avrebbe infatti adeguatamente motivato la permanenza del pericolo di reiterazione del reato, nonostante l’intervenuto sequestro della struttura ed il trasferimento dei degenti. Pertanto, la Cassazione ha sancito che il pericolo di reiterazione della condotta debba necessariamente essere confrontato, nel caso di specie, con il dato oggettivo dell’intervenuta chiusura della struttura, ambito nel quale le condotte contestate all’indagata furono poste in essere. Il giudizio sul pericolo di recidivanza è infatti un giudizio di prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondato su elementi concreti idonei a rintracciare continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento dell’adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro verificarsi. E, in mancanza di altri probabili contesti in cui la condotta esaminata possa essere concretizzata, non è configurabile il pericolo di reiterazione del delitto. La Cassazione ha pertanto annullato l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari, rinviando per nuovo esame delle misure cautelari.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 gennaio – 9 marzo 2017, n. 11544 Presidente Conti – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. R.A. è indagata, in concorso con il marito, legale rappresentante dell’Associazione Opus denominata omissis , quale direttrice di una casa famiglia per assistenza ai disabili, sita in omissis , del reato di maltrattamenti aggravati posti in essere ai danni di degenti della struttura, affidati alla prima per ragioni di cura artt. 110, 572, 61 nn. 4, 5, 9, 11 cod. pen. . 2. Il Tribunale di Catanzaro con il provvedimento in epigrafe indicato, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da R.A. avverso il provvedimento del giudice delle indagini preliminari che le aveva applicato la custodia in carcere, ha sostituito la più grave misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari. 3. Il Tribunale del Riesame ha ritenuto, secondo imputazione provvisoria, l’esistenza a carico dell’indagata di un quadro indiziario di colpevolezza di una condotta di abbandono degli ospiti disabili della struttura, tradottasi in omissioni nell’assistenza medica ed infermieristica nonché nelle attività di approvvigionamento e conservazione dei farmaci e di predisposizione della presenza di personale idoneo alla loro somministrazione e, ancora, in disposizioni ai dipendenti perché fosse somministrato ai degenti un vitto qualitativamente e quantitativamente assolutamente insufficiente. 3. Ricorre per cassazione l’indagata, a mezzo di difensore di fiducia, con tre motivi in annullamento. 3.1. Con il primo motivo, si fa valere violazione di legge e vizio di motivazione art. 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 42, 110 e 572 cod. pen. ed agli artt. 273, comma 1, 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen. per avere il Tribunale di Catanzaro ritenuto integrato il reato di maltrattamenti facendo cattivo governo delle norme sulla prova integrativa dei gravi indizi di colpevolezza, anche con riguardo alle valutazioni delle dichiarazioni rese da persone informate sui fatti, ed in ragione di una errata valutazione dell’elemento soggettivo. Si contesta al Tribunale di non avere fornito adeguata motivazione quanto alla individuazione delle condotte imputabili all’indagata, quasi mai presente presso la struttura ricettiva e quindi non a conoscenza della reale situazione ed alla definizione della effettiva posizione di garanzia dalla R. rivestita. I giudici del riesame non avevano infatti valutato la non sovrapponibilità temporale tra l’epoca in cui avevano trovato svolgimento i fatti contestati - realizzati dal maggio 2016 alla data dell’arresto dell’indagata, intervenuto il 17 luglio 2016 - e quella, da individuarsi al gennaio del 2015, in cui R.A. era cessata dalla carica di legale rappresentante della società che gestiva la struttura, come risultante anche dagli esiti della visura presso la Camera di commercio di Crotone, allegati al ricorso. Fermi i rapporti di parentela in essere tra l’indagata e le persone che lavoravano presso il centro e che avevano reso dichiarazioni, le evidenze probatorie non avrebbero infatti consentito di sostenere, ragionevolmente, che,per il periodo indicato, l’indagata fosse la responsabile. 2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata carenza di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen. , per avere i giudici del riesame omesso di vagliare criticamente le dichiarazioni rese dai sommari informatori che, nella loro apprezzata attendibilità, non erano stati scrutinati alla luce dei contrasti e risentimenti maturati con l’indagata, in relazione alle sofferte sfavorevoli vicende di lavoro e, ancora, di un possibile inquinamento probatorio, per circolarità delle informazioni rese tra il personale della struttura. 2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato, per violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari art. 606, comma 1, lett. b , c ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274, comma 1, lett. a e c , 275 cod. proc. pen. . Il provvedimento impugnato non avrebbe adeguatamente e concretamente vagliato l’intervenuto sequestro della struttura e quindi la chiusura della stessa ed il trasferimento altrove dei degenti, evidenza che avrebbe escluso la ragione giustificativa della misura e quindi, all’attualità, il pericolo di reiterazione della condotta in difetto di occasione prossima e favorevole. Insufficiente a definire la personalità dell’indagata il richiamo a precedenti risalenti nel tempo e non allarmanti. Viene ancora dedotta la nullità dell’ordinanza quanto al pericolo di inquinamento probatorio lett. a dell’art. 274 cod. proc. pen. in difetto di situazioni di concreto ed attuale pericolo, tali non essendo la possibilità dell’indagata, altamente improbabile, di influenzare le dichiarazioni dei dipendenti, in difetto di condizionamenti degli stessi e per un accesso ai degenti, trasferiti presso altre strutture, non consentito a tutti. Quanto all’adeguatezza della misura, insufficiente sarebbe poi stata la motivazione che aveva escluso l’applicazione di misura più mite, quale quella dell’obbligo di dimora dell’indagata nel comune di residenza o il divieto di dimora presso i comuni di residenza dei tre dipendenti. Considerato in diritto 1. Non sono fondati il primo ed il secondo motivo di ricorso è fondato il terzo. Le ragioni sono quelle di seguito indicate. 2. Quanto ai primi due motivi. 2.1. Il delitto di maltrattamenti è integrato dalla produzione di durevoli sofferenze fisiche e morali nei confronti anche di persona sottoposta alla autorità dell’agente o che sia stata a lui affidata per ragione di cura, vigilanza o custodia, ipotesi che, rientrando tra le fattispecie descritte dalla norma art. 572 cod. pen. , può ritenersi realizzata anche quando ne siano vittime persone affidate ad una struttura di assistenza. Su siffatta premessa la giurisprudenza di questa Corte fa discendere l’imputabilità del delitto di cui all’art. 572 cod. pen. in capo a coloro ai quali sono attribuiti oneri di protezione, là dove costoro tollerino l’indicato evento che deve trovarsi, pertanto, in un rapporto di necessaria derivazione causale con la mancata attivazione dell’agente o con l’adozione di condotte del tutto prive della forza di impedire l’evento, pur essendo i primi capaci di adottarne di efficaci. Alle indicate condizioni il contegno omissivo, traducendosi nel non impedire l’evento che i soggetti onerati avrebbero l’obbligo giuridico di impedire, viene equiparato dalla legge, sotto il profilo eziologico art. 40 cod. pen. , a causa della sua realizzazione Sez. 6, n. 3965 del 17/10/1994, P.M. in proc. Fiorillo, Rv. 199476 . È pertanto configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di coloro che, responsabili di una struttura preposta alla cura di soggetti anziani ed inabili, omettano di condurre la gestione della struttura nel rispetto dello scopo della prima, facendo mancare i mezzi economici necessari alla resa di cure nei confronti degli ospiti per acquisto dei necessari beni e per apprestamento del necessario servizio. 2.2. Sulle indicate premesse, il tema, introdotto in ricorso, dell’inadeguatezza ed erroneità della motivazione del provvedimento impugnato per non avere lo stesso debitamente scrutinato la responsabilità dell’indagata in ragione della posizione di garanzia da costei rivestita rispetto alla struttura di accoglienza dei soggetti disabili, non perviene a critica concludente. Si contestano all’indagata una serie di condotte omissive e commissive per le quali ella, mancando al ruolo di direzione e gestione della struttura di assistenza ai disabili, ha procurato ai degenti sofferenze fisiche e morali. È chiaro dai contenuti dell’ordinanza impugnata che i comportamenti ascritti all’indagata non muovono dalla formale titolarità di una posizione di garanzia, quale quella di legale rappresentante della società titolare della struttura di accoglienza, ma da un riscontrato effettivo esercizio di poteri di gestione o di direzione della casa famiglia, sita in territorio di omissis . Ove il reato di maltrattamenti maturi in contesti organizzati preposti alla cura di disabili, riveste posizione di garanzia rispetto ai soggetti affidati, ai sensi dell’art. 572 cod. pen., colui che abbia poteri effettivi di gestione e controllo sulla prima, risultando irrilevante che agli stessi si accompagni, o meno, una posizione di formale titolarità. Pertanto le vicende relative alla carica sociale di rappresentante legale, attestate dalla visura camerale allegata al ricorso, sono evidenze del tutto irrilevanti e come tali correttamente ignorate nell’ordinanza impugnata. Piuttosto, in applicazione degli indicati principi, gli argomenti sviluppati dal Tribunale del Riesame ricompongono, per i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza, gli esiti di prova su di un potere di gestione di fatto in capo alla indagata, per un periodo che, secondo contestazione e valutazione indiziaria compiuta dai giudici della cautela, non può peraltro intendersi come limitato al periodo compreso tra il maggio ed il luglio del 2016, come inteso dalla difesa. Nella provvisoria imputazione infatti il riferimento al mese di maggio è per il solo momento dell’accertamento. 2.3. Tra i dati di prova debitamente apprezzati dal Tribunale di Catanzaro figurano le captazioni audio-video di conversazioni intercorse nel maggio del 2016 tra la sorella dell’indagata ed il personale della struttura, di cui l’ordinanza segnala contenuti che predicano, con efficace valenza indiziaria, della riconducibilità della gestione del centro, per i rilevanti momenti dello svolgimento di colloqui finalizzati all’assunzione di personale e del pagamento dello stesso e degli insufficienti approvvigionamenti delle cucine, alla R. . Sullo stato di fatiscenza del centro e su quello di abbandono degli ospiti convergono poi univocamente quelle parti della motivazione impugnata che riportano i contenuti della denuncia presentata nell’agosto del 2015 da una ex dipendente, sentita anche a s.i.t., nonché gli esiti di accessi curati nel febbraio e marzo del 2015 e nel luglio del 2016 dalla Polizia, chiamata da terzi ad intervenire in occasione dell’abbandono incontrollato della casa di accoglienza da parte di degenti, ritrovati in stato confusionale. I denunciati pericoli alla genuinità delle dichiarazioni rese dai sommari informatori, ex dipendenti della struttura, per ragioni di personale risentimento connesse alle vicende sofferte dal proprio rapporto di lavoro, nel composito quadro di prova disperdono, per gli articolati contenuti del provvedimento cautelare, la dedotta capacità di indebolimento dei gravi indizi, il tutto a fronte di deduzioni difensive dirette a contestare la mancata individuazione di un formale ed effettivo ruolo di responsabilità, segnato dalla mancanza di cariche sociali rivestite dalla indagata in un ristretto arco temporale dal maggio al luglio 2016 , impropriamente ritenuto oggetto di contestazione. Resta conclusivamente ferma la motivazione impugnata quanto ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza del contestato reato. 3. È fondato invece il motivo sulle esigenze cautelari, per i profili che attengono al pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione di reati. 3.1. Il Tribunale afferma l’esistenza di un pericolo di inquinamento probatorio individuato nella possibilità dell’indagata di influenzare il personale dipendente della struttura chiamato a rendere dichiarazioni non solo nel corso delle indagini, ma anche nel prosieguo del procedimento penale onde confermare in sede dibattimentale quanto riferito in sede di indagine. L’argomento sviluppato sul punto risulta circolare ed assertivo e non capace, come tale, di sostenere l’esistenza del pericolo per richiamo a più puntuali atti probatori. 3.2. In nessun modo sciolta per la resa motivazione risulta poi l’inconcludenza logica, già segnalata dalla difesa dell’indagata in quella fase, in critica al provvedimento genetico, di un giudizio di pericolosità che si afferma dal Tribunale di Catanzaro come destinato a permanere nonostante l’intervenuto sequestro della struttura ed il collocamento presso altri presidi dei degenti. Il giudizio sul pericolo di recidivanza è giudizio di prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondato su elementi concreti, rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi. Il pericolo di reiterazione della condotta deve confrontarsi, nella specie, con il dato obiettivo dell’intervenuta chiusura della struttura, peculiare ambito in cui le contestate condotte hanno trovato esecuzione non segnalandosi neppure dai giudici della impugnata misura altri probabili contesti di riferimento. 4. L’ordinanza impugnata va quindi annullata limitatamente alle esigenze cautelari, assorbito ogni ulteriore profilo. Il Tribunale di Catanzaro è chiamato ad esprimere nuovo giudizio sul punto attenendosi, nell’esercizio dei poteri discrezionali allo stesso attribuiti nel vaglio del merito cautelare, agli indicati principi di diritto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro, sezione per il riesame delle misure coercitive.