Figlio maltrattato, genitori inadeguati culturalmente: pena più lieve

Solo sei mesi di reclusione a testa per madre e padre. Essi hanno ragionato con l’ottica del Paese d’origine, e non erano in grado di rendersi conto della patologia che affliggeva il figlio.

Punizioni corporali per il figlio. Condannabili i due genitori, entrambi originari della Tunisia. Per loro, però, la pena è mite solo 6 mesi di reclusione a testa. A rendere meno grave il comportamento tenuto sono difatti le loro inadeguate origini etno-culturali. Questa la motivazione della Corte di appello che la Cassazione sentenza n. 10906/17, sez. VI Penale, depositata il 6 marzo 2017 ha sottolineato nel rigetto del ricorso del Procuratore Generale che, al contrario, sosteneva la mancata motivazione da parte dei Giudici di merito. Punizioni. Ricostruita nei dettagli la vicenda, sono emersi i maltrattamenti subiti dal ragazzo, già maggiorenne. I due genitori, entrambi tunisini, lo hanno sottoposto a punizioni corporali come reazione alle condotte da lui tenute in casa, e poi risultate essere frutto di una patologia, cioè iperattività e disturbo dell’attenzione . Inevitabile, quindi, la condanna. La pena per madre e padre è non severa solo sei mesi di reclusione ciascuno. Ciò alla luce, secondo quanto stabilito dai Giudici d’appello, della inadeguatezza etno-culturale manifestata dai due genitori. E questa valutazione, nonostante le contestazioni da parte del Procuratore Generale della Repubblica, viene messa in evidenza dai magistrati della Cassazione. Centrale è ritenuta l’analisi della personalità dei coniugi. Essi ritenevano consentite punizioni corporali che nel Paese d’origine non costituiscono illecito . Allo stesso tempo, è emersa la loro clamorosa incapacità culturale di rendersi conto della patologia che affliggeva il figlio, e, quindi, di gestirne comportamenti oppositivi e provocatori che erroneamente venivano ricondotti ad aspetti caratteriali . Legittimo, di conseguenza, limitare, come fatto in appello, la pena per i due genitori.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 febbraio – 6 marzo 2017, n. 10906 Presidente Ippolito – Relatore Giordano Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. H.K.B.H. e T.F. sono stati dichiarati responsabili del reato di cui agli artt. 110, 572 cod. pen. commesso in danno del figlio minore, commesso in . fino al mese di omissis e condannati, con le concesse circostanze attenuanti generiche e la diminuente del rito abbreviato, alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno. 2. Propone ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia e denuncia vizio di violazione di legge per mancanza di motivazione in relazione alle riconosciute circostanze attenuanti generiche. Deduce, in particolare, che nella sentenza impugnata non sono stati indicati gli elementi giustificativi della decisione poiché l’applicazione delle circostanze attenuanti, in presenza di elementi negativi, non può costituire oggetto di benevola concessione né un diritto dell’imputato, dovendo derivare dalla esistenza di elementi suscettibili di concreto e positivo apprezzamento. 3. Il ricorso è infondato, non riscontrandosi nella sentenza impugnata i vizi di omissione e/o contraddittorietà della motivazione, che integrano il dedotto vizio di violazione di legge Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, dep. 21/02/2012, Chiesi, Rv. 25243001 . 4. Il giudice dell’udienza preliminare, senza fare ricorso a formula stereotipe, ha esplicitato gli elementi di valutazione che, ricondotti al giudizio di gravità del reato e alla personalità degli imputati, li rendevano meritevoli dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche al fine di mitigare il trattamento sanzionatorio loro inflitto, pure contenuto in misura prossima al minimo edittale. A tal fine la sentenza impugnata ha evidenziato la inadeguatezza etno-culturale degli imputati - che li induceva a ritenere consentite punizioni corporali che nel paese di origine non costituiscono illecito - ma, soprattutto, la incapacità culturale degli imputati di rendersi conto della patologia iperattività e disturbo dell’attenzione poi diagnosticata al minore in occasione del suo affidamento ad una struttura protetta, in seguito alla emersione dei fatti del presente procedimento e la loro conseguente incapacità di gestirne comportamenti oppositivi e provocatori che venivano erroneamente ricondotti ad aspetti caratteriali che si proponevano di contenere con metodi, certamente non consentiti ed erroneamente ritenuti educativi. Ai fini del giudizio di gravità del fatto ha altresì rilevato che le lesioni, in più occasioni riscontrate dagli insegnanti sul bambino, potevano essere ricondotte a comportamenti eccitati e imprudenti del piccolo e non univocamente, come pure accertato per altri episodi, a condotte violente dei genitori. È, dunque, agevole rilevare che il giudice ha compiuto un apprezzamento delle condizioni che legittimano l’applicazione delle circostanze attenuanti, valorizzando sia elementi obiettivi, incidenti sul giudizio di gravità del reato, sia elementi soggettivi che hanno determinato un giudizio di minore disvalore del fatto Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 , giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, e sottratto, se adeguatamente motivato, al controllo in sede di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso.