Rigidi i limiti per la riforma in appello della pronuncia assolutoria di primo grado

La radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado. Ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all’assoluzione deve pervenirsi in tutti quei casi in cui via sia la semplice non certezza” e dunque anche il ragionevole dubbio sulla colpevolezza”.

Sulla base di tali principi di diritto la Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello che aveva riformato la sentenza assolutoria di primo grado Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, sentenza n. 10268/17, depositata il 02 marzo 2017 . La vicenda sottostante. Alle origini della sentenza in commento vi è un episodio di gravi lesioni personali subite da un operaio a seguito di incendio di un gruppo elettrogeno installato non correttamente nei pressi di un’osteria. Un lavoratore del locale, terminato il lavoro da tempo e allontanatosi dal luogo, era transitato nei pressi molto più tardi e, visto il gruppo elettrogeno in fiamme, era intervenuto per tentare di spegnere l’incendio. Aprendo uno sportello del medesimo era stato colpito da una vampata che gli aveva procurato gravi lesioni al corpo ed al volto. In sede di rito abbreviato erano assolti sia il titolare della ditta produttrice l’impianto, che quello della ditta installatrice, nonché il socio della medesima che materialmente aveva proceduto al montaggio. A seguito di impugnazione proposta, ai soli fini civili, dalla parte civile costituita, la Corte d’appello aveva riformato la pronuncia assolutoria ritenendo provata la penale responsabilità per lesioni colpose dei tre imputati, sulla base del comprovato non corretto posizionamento del gruppo elettrogeno. Avverso la sentenza di condanna propone articolato ricorso per cassazione uno degli imputati. La legge Pecorella”. Come noto, la l. n. 46/06, conosciuta come legge Pecorella”, entrata in vigore il 09 marzo 2006, aveva introdotto nel sistema processuale italiano la regola della inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Detto principio è proprio del sistema anglosassone e, dunque, del rito accusatorio, dove la presunzione di innocenza diventa, laddove non vinta nel corso del giudizio di primo grado, di carattere assoluto. Come noto, la legge non ha retto al vaglio della Corte Costituzionale, che, con la pronuncia n. 26/06, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale per contrasto con il principio della parità delle parti processuali dettato dall’art. 111 Cost A seguito di tale pronuncia è dunque stato nuovamente riconosciuto il potere del pubblico ministero di proporre impugnazione avverso le sentenze di assoluzione. Giova, tuttavia, ricordare che sotto la vigenza della legge Pecorella” la Cassazione aveva affermato che, pur dopo la novella del codice di rito ad opera della l. 20 febbraio 2006, n. 46, che aveva limitato l'appellabilità delle sentenze di proscioglimento, la parte civile conservava comunque il potere di appello, ai soli effetti della responsabilità civile, avverso le sentenze di proscioglimento, secondo quanto previsto dall'art. 576 c.p.p. Cassazione penale, sez. III, 11/05/2006, n. 22924 . L’introduzione, seppur per breve durata, della legge Pecorella, vero è che non avrebbe inciso sul caso di specie trattasi infatti di appello della parte civile ai soli fini civili , ma appare comunque significativa in quanto emblematica del favore per la pronuncia assolutoria che impronta il nostro sistema processuale in conseguenza della presunzione costituzionale d’innocenza. I limiti alla riforma della pronuncia assolutoria. Secondo un orientamento giurisprudenziale che si è via via consolidato nel corso degli ultimi anni, la Corte di appello che intenda riformare una pronuncia assolutoria di primo grado non può limitarsi ad una rivalutazione del materiale probatorio di primo grado che conduca ad una conclusione altrettanto verosimile. Come infatti viene espressamente ribadito con la pronuncia in esame, la dichiarazione di colpevolezza si fonda sulla certezza della penale responsabilità, con la conseguenza che la pronuncia assolutoria è sempre dovuta laddove sia presente anche il mero ragionevole dubbio, principio peraltro di recente codificato nell’art. 533 comma 1, c.p.p. Alla luce di tali principi, che trovano fondamento come già cennato nella presunzione costituzionale di non colpevolezza, la pronuncia di appello che intenda sovvertire la assoluzione di primo grado deve essere sostenuta da argomenti tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della sentenza di primo grado così da non lasciare alcun ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato. Gli Ermellini, nel caso di specie, giungono, pertanto, ad annullare con rinvio la sentenza di condanna, in accoglimento del ricorso proposto. Il precipitato nel caso in esame. Osserva infatti la Cassazione come i giudici di secondo grado avevano fondato il proprio convincimento assumendo come propria e vera una ricostruzione meramente possibile, ipotizzando una perdita di gas GPL dalla tubazione interrata superficialmente sotto il gruppo elettrogeno, generata dalle vibrazioni dello stesso macchinario che avrebbe potuto aver forato la tubazione. Tuttavia, tale ricostruzione, senza dubbio possibile, non aveva trovato alcun riscontro di carattere probatorio o indiziario. Inoltre, osserva la Cassazione, la Corte d’appello ha ritenuto provato che quella notte il gruppo elettrogeno fosse rimasto acceso, sulla base di una mera deduzione logica, quando la stessa parte lesa aveva chiarito, in sede di testimonianza, l’esatto contrario. Infine, anche il riavvio automatico del gruppo elettrogeno che avrebbe causato la fiammata lesiva era una mera ipotesi avanzata dalla Corte d’appello, non suffragata da alcun elemento di prova o ricostruzione tecnica agli atti. Oltre a tali fatti, osservano gli Ermellini, il giudice del rinvio dovrà anche adeguatamente valutare la abnormità della condotta posta in essere dal lavoratore, che terminato il lavoro da molto tempo, e al rientro da una discoteca, attratto dalle fiamme aveva ritenuto di agire personalmente per spegnere l’incendio, senza aver alcuna competenza sul punto, anziché allertare i Vigili del Fuoco. Da tale condotta, senza dubbio abnorme e completamente estranea alla attività lavorativa svolta, era derivato l’evento lesivo che lo aveva purtroppo colpito e gravemente ferito.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 gennaio – 2 marzo 2017, numero 10268 Presidente Ciampi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente R.M. e dei coimputati D.M. e B.M. , con sentenza del 23.11.2015, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Macerata, emessa in data 10.10.2012, appellata dalla parte civile ai soli fini civilistici ai sensi dell’art. 576 cod. proc. penumero , li dichiarava responsabili, ai soli fini civilistici, del reato di cui al capo a dell’originaria imputazione e li condannava, in solido, al risarcimento del danno in favore della costituita pare civile, da liquidarsi in separato giudizio, ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per il doppio grado di giudizio, con condanna al pagamento delle spese del grado. Il GUP del Tribunale di Macerata, all’esito di giudizio abbreviato aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussiste in relazione ai ruoli ed ai reati di seguito indicati. 1. D.M. , quale titolare della ditta LA.G.F. Noleggi S.r.l. , titolare del gruppo elettrogeno collocato all’esterno dell’Osteria sopra indicata, con violazione degli articolo 24 D.L.vo numero 81/08, perché collocava il gruppo elettrogeno non in conformità alle norme di buona tecnica e buona prassi in quanto il mezzo veniva collocato a contatto con una linea del gas non protetta e realizzata per altro in modo difforme dalla regola d’arte. 2. R.M. , quale legale rappresentante della ditta SEI S.numero c. , che collegava il gruppo elettrogeno a seguito di commissione delle ditte sopra indicate con violazione degli articolo 24 D.L.vo numero 81/08, perché collocava il gruppo elettrogeno dell’esercizio pubblico in modo difforme al manuale d’uso e di manutenzione della ditta costruttrice che imponeva il collegamento a terra. 3. B. M., quale socio della ditta SEI S.numero c. , che materialmente metteva in opera il collegamento del gruppo elettrogeno a seguito di commissione delle ditte sopra indicate con violazione degli articolo 24 D.L.vo numero 81/08, in quanto collocava il gruppo elettrogeno dell’esercizio pubblico in modo difforme al manuale d’uso e di manutenzione della ditta costruttrice che impone il collegamento a terra. A del reato previsto e punito dagli articolo 113 e 590 COD.PEN., perché, nelle qualità sopra indicate, per colpa consistente in imprudenza, negligenza ed imperizia nonché nella violazione delle sotto indicate norme di legge, cagionavano lesioni personali al dipendente P.M. , il quale investito da una fiammata proveniente dal gruppo elettrogeno, si procurava ustioni gravi al volto ed al corpo, con durata della malattia superiore a quaranta giorni e con effetti invalidanti al volto B del reato previsto e punito dagli articolo 113, 423 e 449 cod. penumero perché, nelle qualità e con le azioni sopra descritte, cagionavano per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché nella violazione delle sopra descritte norme, l’incendio del gruppo elettrogeno che serviva l’Osteria omissis . In omissis . La Corte di Appello di Ancona, come detto, ribaltava ai fini civilistici il giudizio assolutorio di primo grado per il solo reato di lesioni personali colpose cui al capo A . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, R.M. , deducendo, dopo una ricostruzione dei fatti per cui è processo, i motivi di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero a. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione agli articolo 40 e 590 cod. penumero . Il ricorrente ritiene la ricostruzione dei fatti operata dalla corte di appello erronea, soggettiva e disancorata dalla realtà e da qualsiasi riscontro. La sentenza impugnata partirebbe dal presupposto che il gruppo elettrogeno fosse rimasto acceso, provocando, al primo riavvio automatico l’accensione del gas fuoriuscito dalla condotta danneggiata, mentre sarebbe emerso esattamente il contrario ossia che il generatore fosse spento come dichiarato dalla stessa persona offesa. Pertanto sarebbe erronea anche la possibile causa di innesto, ritenuta sulla base di un presupposto falso. Gli stessi Vigili del Fuoco intervenuti avrebbero dichiarato che la causa del sinistro non si era potuta accertare, determinando la condivisibile argomentazione del giudice di primo grado che la perdita di gas sarebbe una mera possibilità della causa dell’incidente e, pertanto non è possibile stabilire la causa delle fiamme e la sussistenza tra la condotta colposa addebitata agli imputati e l’evento. b. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all’art. 113 cod. penumero Il ricorrente eccepisce l’insussistenza del reato ex art. 113 cod. penumero , stante l’inconsapevolezza degli imputati di contribuire all’azione o omissione altrui cagionando l’evento non voluto. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto invece l’ininfluenza della diversa contestazione mossa agli imputati, in quanto l’imputazione si completava ex art. 113 cod. penumero con il richiamo alla collocazione del gruppo elettrogeno in maniera difforme dal manuale d’uso. Il ricorrente evidenziando che dalle risultanze processuali, il generatore risultava essere stato posizionato dall’autotrasportatore, persona estranea al presente giudizio, rileva che l’eventuale cooperazione colposa, tra l’altro insussistente nel presente caso, non farebbe venire meno il dovere del giudice di verificare la condotta del singolo imputato ed il rapporto di causalità con l’evento. Nel caso di specie potrebbe eventualmente parlarsi di concorso di cause indipendenti, ma non di cooperazione colposa, in quanto il proprietario del generatore, D. , nulla sapeva della sua collocazione, il legale rappresentante della SEI snc, R. , mai presente in loco, nulla sapeva delle operazioni di posizionamento e allaccio da parte del socio B. . L’addebito contestato agli imputati nel capo di imputazione consisteva nel aver effettuato il collegamento del gruppo elettrogeno privo della messa a terra difformemente da quanto previsto dal manuale d’uso e non nella collocazione dello stesso gruppo elettrogeno in modo difforme dal manuale d’uso come sostenuto nella sentenza impugnata. La differenza sarebbe significativa in quanto l’omissione del collegamento a terra non è collegabile all’evento in quanto non è stato accertato che il mancato collegamento a terra abbia cagionato l’innesco del rogo. c. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all’art. 41, comma 2 cod. penumero . Il ricorrente deduce la sussistenza dell’interruzione del nesso causale, in quanto, come affermato dalla sentenza di appello, il lavoratore privo di formazione nel comportamento da tenere in caso di incendio, apriva lo sportello e veniva investita da una grande fiammata. La persona offesa avrebbe tenuto, quindi, al di fuori dell’orario di lavoro, allorquando il locale era chiuso, un comportamento avventato ed esorbitante dalle proprie mansioni, mentre avrebbe dovuto chiamare i Vigli del Fuoco. d. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero in relazione all’art. 192 cod. proc. penumero La corte di appello ha ritenuto l’addebitabilità del reato sul presupposto che il gruppo elettrogeno fosse rimasto acceso, provocando, al rimo riavvio automatico, l’accensione del gas, fuoriuscito dalla condotta. Tale presupposto però è fondato su un evidente travisamento di prove. Il datore di lavoro e la stessa persona offesa, nel verbale delle SIT, hanno affermato che il generatore era stato spento. Il vizio di motivazione sul punto sarebbe decisivo, tenuto conto dell’idoneità dell’elemento probatoria a determinare una soluzione diversa da quella adottata, in quanto la decisione impugnata si fonda sulla conoscenza certa della causa dell’innesco e sull’asserita riconducibilità a tutti gli imputati ex art. 113 cod. penumero Nel momento in cui viene meno la prova della dinamica dell’evento, infatti, il fatto non sussiste. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio per i primi in accoglimento dei primi due motivi di ricorso e subordinatamente con rinvio in accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso. Considerato in diritto 1. Il proposto ricorso appare fondato, per i motivi che appresso meglio saranno specificati, e pertanto la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame. 2. Va ricordato che è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità quello secondo cui, per la riforma di una decisione assolutoria, non è sufficiente una diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, ma occorre che la sentenza di appello abbia una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. Com’è stato analiticamente ribadito in un recente, condivisibile, arresto di questa Corte Sez. 2, numero 677 del 10/10/2014 dep. il 12/1/2015, Di Vincenzo, Rv. 261556 la radicale riforma, in appello, di una sentenza di assoluzione non può essere basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio, qualificate da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quelle sviluppate dalla sentenza di primo grado, ma deve fondarsi su elementi dotati di effettiva e scardinante efficacia persuasiva, in grado di vanificare ogni ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione conflitto valutativo delle prove. E, ancora di recente, si è ribadito che la decisione del giudice di appello, che comporti la totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da corretta, completa, convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha dunque l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, -ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato e la insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti sez. 3 numero 19322 del 20/1/2015, Ruggeri, Rv. 263513 . Ciò in quanto il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all’assoluzione deve pervenirsi in tutti quei casi in cui vi sia la semplice non certezza e, dunque, anche il ragionevole dubbio sulla colpevolezza così sez. 6, numero 20656 del 22.11.2011, dep. il 28.5.2012, De Gennaro ed altro, rv. 252627 . Nello specifico, il principio in ragione del quale la sentenza di condanna deve essere pronunciata soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio , formalmente introdotto nell’art. 533 cod. proc. penumero , comma 1, dalla L. numero 46 del 2006, presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull’affermazione di colpevolezza sez. 6, numero 40159 del 3.11.2011, Galante, rv. 251066, e numero 4996 del 26.10.2011, dep. il 9.2.2012, Abbate ed altro, rv 251782 . 3. Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, la Corte territoriale non pare fare buon governo degli stessi. Il giudice di primo grado aveva rilevato in sentenza come le indagini svolte non avessero chiarito con sufficiente certezza quella che è stata l’effettiva causa dell’insorgere delle fiamme. Veniva ricordato che nella relazione redatta dai Vigili del Fuoco di Macerata su delega della ASUR, infatti, si legge che l’incendio potrebbe essere avvenuto a causa di una perdita di gas GPL dalla tubazione interrata superficialmente, e posta al di sotto di un piede di appoggio del gruppo elettrogeno le vibrazioni di quest’ultimo potrebbero aver forato la tubazione e provocato la fuoriuscita di gas . Il primo giudicante aveva rilevato, logicamente, come da tale conclusione, formulata in termini di mera possibilità, e comunque nella completa assenza di qualsivoglia elemento di riscontro, non fosse dato di chiarire quella che era stata l’esatta dinamica dell’evento. Dalla stessa, infatti, non è dato evincere quali siano state le reali e specifiche modalità dell’innesco, nonché le successive condizioni che hanno consentito il propagarsi del rogo, soprattutto tenuto conto del fatto che il generatore era stato spento prima che il fuoco si accendesse, e che invece la solo assenta foratura del tubo di gas è stata ricondotta peraltro in via del tutto ipotetica alle vibrazioni della macchina durante il suo funzionamento. La sentenza assolutoria di primo grado fondandosi tra l’altro sulle stesse dichiarazioni della persona offesa, oltre che del Bo.Sa. , proprietario del locale, il quale aveva dichiarato di averlo spento circa alle ore 3,30 dopo avere chiuso il locale dava per acclarata la circostanza di fatto che il generatore fosse stato spento. La sentenza di secondo grado, invece, introduce, a supporto dell’affermazione di responsabilità civile del R. , un elemento che pare assolutamente congetturale -e contrastato come detto dalla testimonianza della stessa parte lesa affermando essere certo che quella notte il gruppo elettrogeno quella notte fosse rimasto acceso provocando al primo riavvio automatico l’accensione del gas frattanto fuoriuscito dalla condotta a terra danneggiata anche per effetto della sovrapposizione del pesante gruppo e delle continue solleci-tazioni/vibrazioni conseguenti al suo funzionamento . Come aveva rilevato il giudice di prime cure, tuttavia, di tale riavvio automatico nessuna relazione tecnica aveva parlato. Né si possono ritenere smentite le testimonianze di due soggetti, tra cui lo stesso infortunato, su un presupposto indimostrato compendiato nell’affermazione dei giudici del gravame del merito secondo che vogliono essere impossibile che, alla fine di ogni giornata ovvero di mezza giornata, essendo il locale aperto, prima, a pranzo e poi, a cena venisse interrotta la erogazione della energia elettrica che solo il gruppo elettrogeno poteva garantire correndo il serio rischio di danneggiare, per effetto dello spegnimento dei frigoriferi tutte le scorte di cui, ovviamente, per la sua attività continuata di ristorazione ilo locale doveva necessariamente disporre . Su tale punto dovrà, dunque, tornare il giudice civile del rinvio, così come andrà valutata la circostanza del concorso causale, se non dell’eventuale abnormità del comportamento del lavoratore che per sua stessa ammissione aveva lasciato il locale dopo avere terminato il lavoro e solo più tardi, mentre stava ritornando da una discoteca ubicata nella zona costiera, era stato attratto dalle fiamme nel locale, si era fermato con l’intenzione di spegnerle, ma non appena aveva aperto lo sportello del vano motore del generatore, era stato investito da una fiammata sul viso e su altre parti del corpo. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un’attività lavorativa ormai da tempo terminata, con il lavoratore che aveva lasciato il posto di lavoro, e ad un’evenienza lo spegnimento del fuoco certamente non rientrante nei compiti del lavoratore e a cui lo stesso avrebbe potuto ovviare sollecitando l’intervento dei vigili del fuoco. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.