Argomentazioni identiche in primo e secondo grado: la motivazione è unica

Nel caso in cui le ragioni – in punto di apprezzamento degli elementi di prova - che hanno sorretto la decisione dei giudici di primo e secondo grado sono fra loro concordanti, ne discende che esse si saldano in un unico corpo motivazionale.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 10271 depositata il 2 marzo 2017. Il dentista che incubo! Quasi ognuno di noi sa, per averlo provato sulla propria pelle, quel sottile senso di terrore che ci pervade quando siamo costretti a ricorrere alle cure del dentista. Trapano, pinze, aghi che si conficcano nel palato, la luce accecante di quella maledetta lampada a braccio mentre si è costretti a stare con la bocca spalancata in balìa del nostro carnefice-benefattore” almeno ci sollevi, dopo indicibili sofferenze, dal martellamento del mal di denti! E’ dunque un odontoiatra il protagonista della sentenza che oggi commentiamo, giudicato responsabile di lesioni colpose per un errore nell’esecuzione di un impianto” su un paziente. Il consenso informato postumo” non esclude la responsabilità. Un paziente in condizioni di salute non proprio ottimali subisce due interventi di implantologia, il primo dei quali non va a buon fine. Stessa sorte – complice anche un’infezione frattanto sviluppatasi – anche per il secondo intervento. Il nesso di causa tra l’azione del medico e la lesione è giudicato sussistente in entrambi i gradi di giudizio, che si concentrano anche sulla mancanza del previo consenso informato in occasione di entrambi gli interventi l’unico modulo rinvenuto, infatti, recava una data successiva al secondo impianto”. Insomma, sul piano della dinamica non sembrano esserci profili di dubbio una difettosa informazione sui rischi di insuccesso delle operazioni, unita ad una scorretta gestione del paziente – scrivono i Supremi Giudici richiamandosi alle precedenti decisioni di merito – completano inesorabilmente il quadro della responsabilità per lesioni colpose. A nulla vale, per scagionare il sanitario, quel consenso informato sottoscritto dopo il termine delle cure infruttuose la procedura, infatti, esige che i rischi da insuccesso debbano essere prospettati prima di qualsiasi intervento. Il ricorso per cassazione, a questo punto, riguarda alcuni aspetti della motivazione della sentenza d’appello, ritenuta viziata. La saldatura tra le sentenze di primo e di secondo grado. L’occasione offerta ai giudici di Piazza Cavour dai motivi di ricorso è propizia per un veloce ripasso sui canoni che guidano il giudizio di legittimità sul vizio di motivazione. Il punto di partenza è quello del significato da attribuire all’espressione motivazione illogica o contraddittoria”. Questo vizio, spesso invano denunciato dalle difese, ricorre soltanto se risulta impossibile confrontare le argomentazioni del giudice con ciò che è stato provato nel corso del processo ovvero se le predette ragioni poste a fondamento della decisione sono così oscure o incongrue da risultare impossibile effettuare quel confronto motivazione-acquisizioni processuali . Ciò che più importa, però, è tenere presente la complementarietà tra le ragioni contenute nella sentenza di primo grado e quella d’appello, nel caso in cui esse siano concordanti rispetto alla valutazione di una specifica emergenza probatoria. Le stesse motivazioni si saldano in un unico complessivo corpo motivazionale , dicono gli Ermellini. Questo principio consolidato deve far guardare – nell’ottica di chi volesse ricorrere per cassazione – ad entrambe le decisioni di merito e non soltanto a quella formalmente impugnata. Il lavoro della parte impugnante, quindi, diventa più gravoso perché la eventuale censura dovrà intanto tenere conto di ciò che si trova scritto nella decisione d’appello, ma non potrà ignorare l’eventuale presenza – nella sentenza di primo grado – di argomentazioni che possono saldarsi” con quelle censurate, colmandone eventuali lacune logico-valutative.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 gennaio – 2 marzo 2017, n. 10271 Presidente Ciampi – Relatore Gianniti Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Milano con la impugnata sentenza ha integralmente confermato in punto di affermazione di penale responsabilità la sentenza 28/10/2015 con la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato L.R. colpevole del reato di lesioni personali colpose commesso in omissis per avere, quale medico chirurgo odontoiatra, nell’ambito della propria attività professionale, cagionato lesioni personali a S.S. , per una serie di errori implantologici all’interno dell’arcata mandibolare inferiore del paziente. In punto di trattamento sanzionatorio, premesso che già in primo grado all’imputato erano state riconosciute le attenuanti generiche e concesso il beneficio della sospensione, la Corte ha ritenuto di poter ridurre la pena da mesi due a mesi uno di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado anche laddove non era stato ritenuto concedibile il beneficio della non menzione . 2.Avverso la sentenza della Corte territoriale propone personalmente ricorso l’imputato articolando due profili di doglianza. 2.1. Nel primo si lamenta deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di valutazione della prova e di conseguente affermazione della di lui penale responsabilità per il reato contestato. In particolare, secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione a le modalità dell’intervento in particolare, in merito alla somministrazione dell’antibiotico, nonché alla spiegazione orale dell’informativa relativa ai rischi e possibili conseguenze dell’intervento b la situazione del paziente fumatore, diabetico, assuntore di farmaci psicotici ed affetto da disturbo psichico non altrimenti specificato, nonché edentulo da anni c il fatto che il paziente, a seguito del primo intervento, non aveva inteso attendere il tempo necessario prima di procedere a nuovo posizionamento dell’impianto d le ragioni per cui lui si era deciso a posizionare l’impianto in modo obliquo e non parallelo , tenuto conto della mancanza di osso disponibile. Ed ancora, secondo il ricorrente, la sentenza sarebbe apodittica laddove a ha frettolosamente liquidato con illogiche ed infondate giustificazioni argomentative l’interpretazione alternativa dei fatti offerta dalla difesa b contiene congetture, se non suggestioni, in particolare per quanto riguarda la sua personalità c ha omesso di motivare la mancata adesione delle tesi prospettate dal suo consulente tecnico di parte in punto di non necessità di consenso informato scritto, correttezza del posizionamento obliquo degli impianti, inefficacia dell’antibiotico somministrato per causa a lui non imputabile, compromessa previa situazione di salute del paziente Sig. S. . Infine, il ricorrente si lamenta che la Corte aveva negato il beneficio della non menzione, rimandando sic et sempliciter ad un non meglio specificato contesto professionale. 2.2. Nel secondo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di valutazione della prova in relazione al profilo di colpa contestatogli ed alla sussistenza del necessario nesso causale tra la sua condotta, in tesi di accusa colpevole, e l’evento lesivo verificatosi. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2.1 due denunciati profili di doglianza - che si esaminano congiuntamente per la loro stretta connessione - si pongono ai limiti della inammissibilità. A Il Tribunale di Milano - dopo aver ripercorso le risultanze dibattimentali e dopo aver dato atto che l’esame della persona offesa S.S. era stato reso difficoltoso dalla certificate difficoltà di eloquio dalla quale lo stesso era affetto in conseguenza delle lesioni per cui era processo tanto che le parti convenivano sull’acquisizione della denuncia querela e del verbale di sommarie informazioni dallo stesso rese in data 8/4/2013 - ha preliminarmente rilevato p.5 che l’oggetto della contestazione delineava, quale condotta colposa causalmente collegata alla realizzazione dell’evento lesivo, una serie di condotte susseguitesi nel tempo e tutte attribuite al dr. L.V. l’aver posizionato un impianto endosseo con una erronea inclinazione, così da determinare un precoce insuccesso, dal quale derivava l’instaurazione di un processo flogistico infettivo che determinava perimplantite l’aver svolto il secondo intervento, posizionando fixtures di dimensioni non corrette e con non corretto allineamento, senza attendere l’avvenuta guarigione ossea dal primo intervento e senza aver rimosso gli impianti precedentemente installati. Quindi, il Giudice di primo grado ha ritenuto che p.6 , se non poteva dirsi certo il nesso causale tra la inclinazione degli impianti e le lesioni, era invece certo che il secondo intervento con l’utilizzo di minimpianti era stato realizzato nonostante il paziente presentasse ancora dolore possibile sintomo di una situazione settica ancora in corso, situazione che veniva poi effettivamente riscontrata presso l’istituto omissis e l’Ospedale di , tanto che si segnalava la necessità di rimozione dell’impianto per evitare la frattura mandibolare , come pure era certo che il dr. L.V. non aveva provveduto ad una esaustiva prospettazione dei rischi di insuccesso dell’intervento, in entrambe le fasi in cui si era occupato del sig. S. con la conseguenza che l’accesso terapeutico adottato in entrambe le occasioni non era coperto dal consenso del paziente . A detto ultimo riguardo, l’unico dato documentale era costituito dal modulo di consenso informato - sottoscritto dal paziente il 12/09/2012 e, dunque, successivamente ad entrambi gli interventi - dal quale risultava che gli era stata prospettata una possibilità di successo variabile tra l’85 ed il 90% cioè una probabilità di successo ben superiore a quella - intorno al 30%, quanto al primo intervento, e, intorno al 75%, quanto al secondo intervento - affermata dal consulente di parte . In definitiva, secondo il Giudice di primo grado p.7 , indubbia era la penale responsabilità del dr. L.V. , in quanto questi aveva sottoposto S.S. ad un duplice intervento di implantologia, destinato a creare base di appoggio per protesi dentale mobile, senza preventivamente informare il paziente dell’elevato rischio di insuccesso, soprattutto quanto al secondo intervento, e senza gestire correttamente la presenza di un fenomeno flogistico infettivo che causava per impiantite, tra il primo ed il secondo intervento, così determinandone l’insuccesso. B E la Corte d’appello ha ritenuto indubbia la responsabilità del L.V. per le lesioni colpose allo stesso contestate sulla base delle seguenti argomentazioni - dall’espletata istruzione dibattimentale e, in particolare, dagli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico di parte del PM era risultato il fallimento degli interventi effettuati dal dr. L.V.R. sul paziente S.S. come peraltro presupposto nello stesso atto di appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna emessa in primo grado - dall’acquisito consenso informato del 12/9/2012 e, dunque, successivo ad entrambi gli interventi era risultato che, contrariamente a quanto imposto dalla correttezza nei rapporti con il paziente, il dott. L.V.R. , in occasione dei due interventi su S.S. , non aveva rispettato la procedura formale che esige che il medico debba prospettare al paziente, per iscritto, i rischi concreti del trattamento sanitario che va a porre in essere - il consulente di parte del PM, sentito come teste, aveva spiegato chiaramente in che cosa era consistito l’insuccesso terapeutico In sintesi tutto era partito da una grave atrofia ossea mandibolare la terapia proposta opportuna e sicuramente indicata - avrebbe avuto successo laddove fossero stati infissi in maniera corretta gli impianti l’osso disponibile consentiva il posizionamento d’impianti con la corretta angolazione, ciò non era avvenuto, in quanto, dapprima, gli impianti era stati inseriti con angolazione errata ed uno non era stato addirittura caricato , ragion per cui la barra non era stata posizionata all’impianto all’emiarcata inferiore destra e, poi, era stato infisso un impianto, estremamente lungo, che era arrivato proprio alla base della mandibola e che, per la sepsi che si era creata, aveva determinato la rimozione presso una struttura ospedaliera. Secondo il consulente di parte del PM, il precoce insuccesso impiantare avrebbe dovuto imporre di procedere alla rimozione dell’impianto precedentemente infisso ed attendere la completa guarigione ossea solo successivamente si sarebbe dovuto procedere all’intervento di infissione dei mini impianti per la stabilizzazione della protesi inferiore, cosa che però non era avvenuta, perché al dott. L.V.R. erano stati posizionati nuovi mini impianti nell’ottobre del 2012, quando la guarigione ossea non era ancora intervenuta - l’assunto del consulente di parte secondo il quale il fallimento dell’intervento chirurgico si sarebbe giustificato con le condizioni di salute del paziente, affetto da diabete non potevano essere accolte, in quanto, in quanto, fermo restando che lo stesso consulente di parte aveva confermato che la mandibola del paziente era estremamente atrofica , non aveva dato spiegazione convincente sul perché il dr. L.V. non aveva atteso la completa guarigione ossea prima di procedere all’intervento di infissione dei mini impianti per la stabilizzazione della protesi inferiore. C Il ricorrente deduce vizio di motivazione, ma dimentica che detto vizio è deducibile in sede di legittimità esclusivamente quando la motivazione sia manifestamente illogica o contraddittoria, nel senso che non consente l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero nel senso che impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti. Nulla di quanto sopra nel caso di specie nel quale - premesso che la giurisprudenza di legittimità è costante nel rilevare che, qualora le argomentazioni del giudici di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nell’apprezzamento degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, le stesse motivazioni si saldano in un unico complessivo corpo motivazionale, al quale è dato fare riferimento - la sentenza impugnata ha dato adeguata contezza dell’iter logico giuridico seguito dalla Corte territoriale in punto di sussistenza dei contestati profili di colpa e del necessario nesso causale tra condotta in concreto tenuta ed evento lesivo verificatosi per addivenire al giudizio di affermazione di penale responsabilità dell’imputato. 3. Infondato, se non inammissibile, è anche il profilo di doglianza, articolato all’interno del primo motivo, concernente l’avvenuto diniego del beneficio della non menzione. In punto di trattamento sanzionatorio, occorre ricordare che il Tribunale, in considerazione del corretto comportamento processuale tenuto dal dr. L.V. , ha riconosciuto allo stesso le attenuanti generiche ed il beneficio della sospensione condizionale della pena. E la Corte - dopo aver ribadito il comportamento processuale corretto del dr. L.V. - ha ritenuto che, in considerazione della complessità del caso medico che aveva davanti ed in parziale accoglimento del motivo di appello esperito in via subordinata, la pena andava ridotta a mesi uno di reclusione, partendo da una pena base di giorni quarantacinque di reclusione. Entrambi i giudici di merito non hanno poi potuto fare a meno di rilevare che il dr. L.V. era gravato da un precedente per esercizio abusivo della professione medica definito con decreto penale di condanna a pena pecuniaria condizionalmente sospesa ed hanno ritenuto che, in considerazione del contesto professionale entro il quale si erano svolti i fatti, non poteva essere concesso il beneficio della non menzione della condanna sul certificato del casellario giudiziario. Anche detta motivazione, in quanto non contraddittoria e neppure manifestamente illogica, non è suscettibile di censura nella presente sede di legittimità. 4. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.