Il Giudice di Pace può applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto?

La causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.p. si distingue strutturalmente dall’ipotesi di esclusione della procedibilità prevista dall’art. 34 d.lgs. n. 274/2000, sebbene entrambe le norma facciano riferimento ai fatti di particolare tenuità.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9713/17 depositata il 28 febbraio. Il caso. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia propone ricorso avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace dichiarava la non punibilità dell’imputata per il reato di lesioni personali per particolare tenuità del fatto ex art. 131- bis c.p.p., norma che secondo il ricorrente troverebbe applicazione solo nei processi di fronte al Tribunale. Due norme, due istituti. Il motivo di ricorso non viene condiviso dal Collegio che non nega comunque la presenza di alcune sentenze di legittimità nel senso dell’inapplicabilità della norma in discussione ai procedimenti dinanzi al Giudice di Pace in considerazione dell’art. 34 d.lgs. n. 274/2000, norma sovrapponibile a quella processulpenalistica. La Suprema Corte ritiene però di doversi distanziare da tale interpretazione posto che le due norme in discussione hanno struttura ed ambito di applicazione non coincidenti, nonostante abbiano in comune il riferimento alla particolare tenuità del fatto”. L’art. 131- bis c.p.p. esclude infatti la punibilità laddove l’offesa recata all’interesse protetto sia particolarmente tenue, mentre l’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 prevede una causa di improcedibilità per i fatti di particolare tenuità valutati nella sua oggettività come esiguità del danno o del pericolo creato e soggettività occasionalità della condotta e grado della consapevolezza . Inoltre la prima delle norme citate trova applicazione solo dopo che sia stata sentita la persona offesa, mentre l’art. 34 è subordinato alla condizione che non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento nella fase delle indagini preliminari e che, nella fase di giudizio, non vi sia l’opposizione né dell’imputato né della persona offesa, condizioni più stringenti dunque rispetto al primo caso. Principio di specialità. Il Collegio sottolinea inoltre che i problemi creati dalla coesistenza delle due norme non possono trovare soluzione nel principio di specialità posto che le situazioni presupposte sono solo parzialmente coincidenti. Ben potrebbe dunque accadere che un fatto non rientrante nell’art. 34 cit. possa invece essere ricondotto all’alveo dell’art. 131- bis c.p.p. e viceversa. In conclusione, le differenze strutturali tra i due istituti portano i Supremi Giudici ad affermare che l’art. 131- bis c.p.p. trovi applicazione a tutti i reati, compresi quelli demandati alla competenza del Giudice di Pace. Per questi motivi il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 gennaio – 28 febbraio 2017, n. 9713 Presidente Bruno – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Ricorre il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia avverso la sentenza del Giudice di pace di Verona, che dichiarato non punibile R.G.K.D. - imputata del reato di cui all’art. 582 cod. pen. - per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131/bis cod. proc. pen. Ad avviso del ricorrente, il Giudice di pace ha errato nell’applicare, nel procedimento di sua competenza, l’art. 131/bis cod. proc. pen., in quanto detta norma troverebbe applicazione unicamente nei processi davanti al Tribunale. Considerato in diritto Il ricorso non può essere accolto. La questione posta dal ricorrente concerne l’applicabilità dell’art. 131/bis cod. pen. ai procedimenti pendenti dinanzi al giudice di pace. Non ignora questo Collegio che la Corte di Cassazione si è espressa, più, volte, nel senso della inapplicabilità di detto istituto ai procedimenti che si svolgono davanti al giudice di pace, in considerazione del fatto che esiste, nel d.lgs. n. 274 del 2000, una norma apposita quella di cui all’art. 34 d.lgs. 274/2000 , sovrapponibile all’art. 131/bis cod. pen. in questo senso, Cass., n. 45996 del 14/7/2016 n. 1510 del 4/12/2015 n. 38876 del 20/8/2015 . Tale orientamento, sebbene maggioritario, non può, però, essere condiviso. Sebbene entrambi gli istituti facciano riferimento, nella rubrica dell’articolo che li contempla, alla particolare tenuità del fatto , ritiene questo Collegio che essi hanno struttura e ambito di applicazione non coincidenti. L’art. 131/bis cod. pen. prevede, infatti, una causa di esclusione della punibilità allorché - per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo - l’offesa all’interesse protetto sia particolarmente tenue l’art. 34 cit. contempla una causa di esclusione della procedibilità quando il fatto - valutato nella sua componente oggettiva esiguità del danno o del pericolo e soggettiva occasionalità della condotta e grado della colpevolezza - sia di particolare tenuità. Quanto alle condizioni dell’applicazione, la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131/bis cod. pen. richiede che sia sentita la persona offesa artt. 411 e 469 cod. proc. pen. , mentre l’applicabilità dell’art. 34 d.lgs. 274/2000 è subordinato - nella fase delle indagini preliminari - alla condizione che non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e, nella fase del giudizio, alla mancata opposizione sia dell’imputato che della persona offesa. Appare evidente, allora, che l’operatività dell’art. 34 d.lgs. 274/2000 è subordinata a condizioni più stringenti di quelle richieste dall’art. 131/bis cod. pen., in quanto la prima norma esige che il fatto e non solo l’offesa sia di particolare tenuità e perché l’esistenza - oggettivamente valutata - di un interesse della persona offesa preclude l’immediata definizione del procedimento una volta esercitata l’azione penale, l’applicabilità dell’art. 34 cit. è addirittura subordinata al mancato esercizio del diritto potestativo di opposizione, sia dell’imputato che della persona offesa. Inoltre, al giudice è rimessa, in ogni caso, una valutazione del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato . Non si tratta di differenze di poco conto, perché il fatto previsto dall’art. 34 cit. può - sebbene rechi una minima offesa all’interesse protetto - non essere di particolare tenuità per mancanza di occasionalità elemento da cui prescinde, invece, l’art. 131/bis cod. pen., salve le ipotesi di cui al secondo e terzo comma , mentre il diverso ruolo giocato - per l’art. 34 - dall’interesse della persona offesa o dal diritto potestativo di questa e dell’imputato, dopo l’esercizio dell’azione penale colloca i due istituti su piani diversi di praticabilità, subordinando l’operatività di quest’ultimo ad una valutazione più ampia di quella richiesta dall’art. 131/bis cod. pen., che è, invece, ancorato essenzialmente, anche se non solo al grado dell’offesa. I problemi posti dalla coesistenza - nell’ordinamento penale - dei due istituti sopra esaminati non possono essere risolti, ad avviso di questo collegio, facendo applicazione del principio di specialità, valevole in materia penale criterio adottato, invece, dalla sentenza n. 38876 del 20/8/2015, della sezione feriale di questa Corte , giacché le norme sopra richiamate non presuppongono la medesima situazione di fatto, ma situazioni solo parzialmente convergenti. Così, può darsi che un fatto non rientrante nella previsione dell’art. 34 perché, per esempio, mancante di occasionalità perché osta alla sua immediata definizione un interesse della persona offesa perché, dopo l’esercizio dell’azione penale, vi è opposizione dell’imputato o della persona offesa rientri, invece, nella previsione dell’art. 131/bis per esempio, perché si tratta di imputato che deve rispondere di una percossa quasi simbolica viceversa, possono esservi casi definibili ex art. 34 anche se l’offesa superi il livello di offensività presupposto dall’art. 131/bis cod. pen. per esempio, perché ostano alla procedibilità le particolari condizioni di salute dell’imputato . A tali considerazioni va aggiunto che nessuna indicazione normativa conforta la tesi negativa. Infatti, l’art. 2 del d.lgs. 274/2000 - secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal decreto stesso, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 -, richiamato dalla giurisprudenza avversa, si riferisce, all’evidenza, alle norme di procedura, ma non anche agli istituti sostanziali, qual’è, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quello contemplato dall’art. 131/bis cod. pen. Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016 Cass., sez. 5, n. 5800 del 2/7/2015, Rv 267989 Sez. 3, n. 31932 del 02/07/2015 sez. 6, n. 39337 del 23/6/2015 . Né indicazioni in senso contrario vengono dal parere espresso dalla Commissione Giustizia sullo schema di decreto legislativo il 3 febbraio 2015, ove si invitava il Governo a valutare l’opportunità di coordinare la disciplina della particolare tenuità del fatto prevista dall’articolo 34 del decreto legislativo 28 ottobre 2000, n. 274, in riferimento ai reati del giudice di pace, con la disciplina prevista dal provvedimento in esame e dal fatto che la sollecitazione suddetta non fu accolta. Infatti, come già rilevato nella sentenza n. 40699 del 9 aprile 2016 di questa Corte, tale determinazione fu adottata per il solo fatto che il coordinamento tra le discipline dell’art. 34 d.lgs. 274/2000 e 131/bis cod. pen. fu ritenuto estraneo alle indicazioni della legge delega da qui la necessità che la possibile interferenza tra diverse disposizioni deve essere risolta dall’interprete. In definitiva, sono proprio le differenze fra i due istituti e la disciplina sostanzialmente di maggior favore prevista dall’art. 131 bis cod. pen. , che inducono a ritenere che quest’ultima sia applicabile - nel rispetto dei soli limiti espressamente indicati dalla norma - a tutti i reati, ivi compresi quelli di competenza del giudice di pace, anche perché sarebbe altamente irrazionale e contrario ai principi generali che una norma di diritto sostanziale - nata per evitare alla persona offesa il pregiudizio derivante dalla condanna per fatti di minima offensività, che la coscienza comune percepisce come di minimo disvalore, e per ridurre i costi connessi al procedimento penale - sia inapplicabile proprio ai reati che, per essere di competenza del giudice di pace, sono ritenuti dal legislatore di minore gravità. Le considerazioni sopra svolte comportano che il ricorso del Pubblico Ministero deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.