La rilevanza, come cause ostative, dei comportamenti dolosi o gravemente colposi della persona ingiustamente detenuta

Anche nel caso di ingiustizia formale della detenzione rilevano, come cause ostative al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, i comportamenti dolosi o gravemente colposi della persona illegalmente detenuta. Tale rilevanza si concilia con il fondamento solidaristico dell’istituto.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 9420/17 depositata il 27 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Roma, accoglieva parzialmente l’istanza di equa riparazione e condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere in favore dell’istante la somma statuita a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione eseguita in seguito all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare da parte del GIP della stessa città. L’istante propone ricorso per cassazione deducendo che, nonostante la Corte della riparazione, aveva ritenuto sussistente l’ipotesi di ingiustizia formale della detenzione, in quanto la misura cautelare era stata emessa in difetto delle condizioni di applicabilità, non aveva fornito congrua prova e logica motivazione, ai fini della quantificazione della somma, nel richiamare la sua colpa lieve per la sussistenza dei comprovati contratti con il gruppo indagato, che giustificassero l’abbattimento della stessa oltre la metà. La rilevanza dei comportamenti dolosi o gravemente colposi della persona detenuta ingiustamente. La Corte di Cassazione, ritenendo il motivo di ricorso infondato, riporta il principio affermato dalle SS.UU. secondo cui anche nel caso di ingiustizia formale rilevano, come cause ostative, i comportamenti dolosi o gravemente colposi della persona illegalmente detenuta . La circostanza di aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità . Inoltre, prosegue la Corte, attribuire rilevanza ostativa a tali condotte ben si concilia con il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, alla cui stregua è ragionevole che il ristoro assicurato dall’ordinamento sia riconosciuto a chi abbia patito e non concorso a determinare l’applicazione del provvedimento restrittivo . Nella fattispecie, il Giudice della riparazione ha dato conto in motivazione degli elementi da cui ha desunto la colpa lieve dell’imputato, affermando l’esistenza di contratti tra esso e i componenti del gruppo indagato ed esplicitando, in tal senso, il criterio logico seguito per la riduzione del quantum . Pertanto, il Collegio di legittimità, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 gennaio – 27 febbraio 2017, n. 9420 Presidente Blaiotta – Relatore Tanga Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza n. 514/15 del 10/09/2015, la Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’istanza di equa riparazione per ingiusta detenzione proposta da V.C. , condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere in favore dell’istante la somma di Euro 15.100,00 a titolo di riparazione per la detenzione dal predetto subita dal 18/01/2010 al 17/06/2010, in relazione all’ordinanza di custodia cautelare del GIP del Tribunale di Roma. 1.1. V.C. , dal 18/01/2010 al 17/06/2010, veniva posto agli arresti domiciliari in esecuzione dell’ordinanza in data 13/01/2010 del GIP del Tribunale di Roma. Il provvedimento cautelare era scaturito dall’esito della perquisizione effettuata il 10/06/2009 - nel contesto di una più ampia indagine nel corso della quale era stata rinvenuta documentazione afferente alle investigazioni del procedimento pendente in relazione ai reati di associazione terroristica e banda armata. Il 21/01/2010, in sede di interrogatorio di garanzia, il V. si protestava fin da subito estraneo ai fatti contestatigli. Il 02/02/2010 il Tribunale del Riesame confermava l’ordinanza di custodia cautelare, limitatamente al reato previsto dall’art. 270-bis c.p., annullandola nel resto. Il 27/05/2010 il V. , per tali fatti, veniva rinviato a giudizio innanzi alla Corte di Assise. In data 01/06/2010 il GUP respingeva l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Con provvedimento del 17/06/2010 la Corte di Cassazione annullava senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare, disponendo la scarcerazione dell’imputato. Il 21/11/2011 la Corte di Assise di Roma assolveva il V. da tutti i reati ascrittigli perché il fatto non sussiste. Il 07/12/2012 la Corte di Assise di Appello di Roma confermava la sentenza assolutoria, che diveniva irrevocabile il 22/02/2013. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione V.C. , a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. I Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in relazione all’articolo 314, comma 2, c.p.p Deduce che la Corte della riparazione pur ritenendo sussistente un’ipotesi di ingiustizia formale della detenzione ai sensi dell’art. 314, comma 2, c.p.p. in quanto la misura cautelare veniva emessa in difetto delle condizioni di applicabilità degli artt. 273 e 280 c.p.p., così come emerso dalla pronuncia della Cassazione del 17/06/2010, che annullava senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare a carico del ricorrente , riteneva conclusivamente che i comprovati contatti tra il V. e il gruppo indagato costituivano una condotta che il Collegio non poteva ignorare ai fini della quantificazione della riparazione invocata sussumendola nella ipotesi della colpa lieve e richiamandola ai fini dell’abbattimento del quantum determinabile in favore del ricorrente. Sostiene che, in conseguenza di ciò, il Giudice della riparazione riduceva l’entità dell’indennizzo di oltre la metà, senza però fornire sul punto alcun apparato argomentativo che consentisse di ricavare la ragione per cui era stata prescelta la riduzione nella misura superiore al 50%, e non in altra misura maggiore o minore, nonché della ragione per cui le ulteriori conseguenze della detenzione, pur riconosciute sussistenti dalla Corte, non abbiano influito, o se abbiano influito non viene motivato in quali misura, sulla quantificazione dell’abbattimento dell’indennizzo. Afferma che la Corte avrebbe al contrario dovuto fornire una congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento II Violazione dell’art. 606, comma 1, lett e , c.p.p. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Deduce che la vicenda del V. , per espressa ammissione del Collegio, rientra nella c.d. ingiusta detenzione formale, ovvero nel caso della insussistenza originaria delle condizioni ex artt. 273 e 280 c.p.p. per l’adozione o il mantenimento della misura custodiale e, in particolare, nell’ipotesi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni in parola è avvenuta sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il Giudice della cautela, e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione. Sostiene, conseguentemente, che risulta evidente come la condotta tenuta dal ricorrente, in particolare i comprovati contatti tra il V. ed i componenti del gruppo attenzionato dalle indagini non possono in alcun modo aver influito, ovvero corroborato la convinzione del Giudice circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ovvero come la colpa lieve non possa configurarsi in alcun modo nell’ipotesi dell’ingiusta detenzione espressamente riconosciuta dal Collegio. Afferma che la Corte Territoriale non si è avveduta neppure, non fornendo alcuna motivazione sul punto, che la difesa richiedeva anche il riconoscimento dell’indennizzo per la c.d. gogna mediatica essendo stata la vicenda del ricorrente e il suo stesso nome e cognome pubblicato su autorevoli organi di informazione locale e nazionale nonostante l’allegazione difensiva e l’espressa richiesta di riconoscere le ulteriori conseguenze determinate dall’ingiusta detenzione subita la Corte di Appello ha omesso qualsiasi valutazione e motivazione in ordine alla ricorrenza della c.d. gogna mediatica . 2.1. Con memoria depositata il 09/01/2017, si è costituita, nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura dello Stato adducendo motivazioni avversative. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. 3.1. Le relative doglianze son da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinte. 4. Mette conto premettere che mentre l’ingiustizia sostanziale presuppone l’affermazione dell’innocenza dell’istante, l’ingiustizia formale prescinde da tale accertamento e richiede solamente l’accertamento della illegalità del provvedimento restrittivo, assunto in difetto delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. cfr. per ultimo sez. 4, n. 34541 del 24/05/2016 . 4.1. Le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno risolto il dubbio interpretativo insorto circa la possibilità che, anche nel caso di ingiustizia formale rilevassero, come cause ostative, i comportamenti dolosi o gravemente colposi delle persona illegalmente ristretta. È stato precisato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., giusto il disposto di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2 v. Sez. Un., n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663 in precedenza, nello stesso senso, va ricordata, tra le altre, sez. 4, n. 6628 del 23/01/2009, Totaro, Rv. 242727 . 4.2. Ed invero, le Sezioni Unite hanno evidenziato che, anche nel caso della insussistenza originaria delle condizioni per l’adozione o il mantenimento della misura custodiale, l’obiettiva ingiustizia della detenzione subita può trovare scaturigine in comportamenti dolosi o gravemente negligenti dell’imputato. Pertanto attribuire rilevanza ostativa a tali condotte ben si concilia con il fondamento solidaristico dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, alla cui stregua è ragionevole che il ristoro assicurato dall’ordinamento sia riconosciuto a chi abbia patito , e non concorso a determinare, l’applicazione del provvedimento restrittivo. 4.3. Le Sezioni Unite hanno, però, condivisibilmente, posto un ineludibile paletto , nel senso che, se l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale avvenga sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, è preclusa la possibilità di valutare l’incidenza della condotta dolosa o colposa dell’imputato. Ciò, evidentemente, in quanto in tali casi il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura e, pertanto, nessuna efficienza causale nella sua determinazione può attribuirsi al soggetto passivo cfr. ex multis, sez. 4, n. 13559 del 02/12/2011, Rv. 253319 conf. sez. 4, n. 8021 del 28/01/2014, Rv. 258621 . Per converso, potrà, invece, effettuare la valutazione della sinergia causale del dolo o della colpa grave, se l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiate sia avvenuto alla stregua di un materiale probatorio contrassegnato da diversità rispetto a quello originariamente detenuto dal giudice della cautela. 4.4. Nel caso concreto la pronuncia assolutoria sarebbe stata emessa, per quanto è dato evincere dall’ordinanza impugnata, sulla base delle medesime acquisizioni istruttorie che avevano giustificato l’emissione del provvedimento restrittivo oggetto anche della sentenza in data 17/06/2010 di questa Corte v. sub punto 1.1. di annullamento dell’ordinanza custodiate, escludendo tale circostanza, alla luce del ricordato dictum delle SS.UU. D’Ambrosio, la possibilità per la Corte di valutare la sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave. Occorreva, dunque, verificare - e il giudice della riparazione mostra di averlo fatto - se il caso di specie potesse essere sussunto nella previsione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2, posto che la misura cautelare, prima della definitiva pronuncia di assoluzione, era stata, come detto, revocata dalla Corte di Cassazione che, con sentenza del 17.6.2010 aveva annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata sull’assunto che gli elementi valorizzati dalla pubblica accusa non consentissero nemmeno di ritenere la sussistenza della gravità indiziaria in ordine al delitto di partecipazione ad associazione sovversiva. 4.5. Spettava al giudice della riparazione il compito di verificare se l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiate fosse avvenuto vuoi nel procedimento cautelare vuoi nel procedimento di merito sulla base degli stessi precisi elementi che aveva a disposizione il giudice del provvedimento della cautela, o alla stregua di un materiale contrassegnato da diversità purché rilevante ai fini della decisione rispetto ad essi, posto che la problematica della condotta sinergica viene praticamente in rilievo solo nel secondo e non anche nel primo dei suddetti casi. E la Corte capitolina lo ha fatto, giungendo a dare una risposta positiva, con una motivazione logica e congrua nonché corretta in punto di diritto. Da tale assunto è derivata la logica conclusione, nel solco del dictum delle SS.UU. D’Ambrosio, che la circostanza di avere concorso il V. a determinare lo stato di custodia cautelare per dolo o colpa grave non potesse rilevare, in deroga agli ordinari principii, in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., proprio perché l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto era avvenuto sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che aveva disposto il provvedimento cautelare, in ragione unicamente, di una loro diversa valutazione. 5. Ciò posto, deve ritenersi infondato il motivo di ricorso proposto nell’interesse del V. e teso a contestare la circostanza che il giudice della riparazione abbia utilizzato quei medesimi profili di colpa che egli stesso ha ritenuto di non potere prendere in considerazione ai fini della concessione dell’indennizzo, qualificati come colpa lieve, ai fini della quantificazione dello stesso. 5.1. Ritiene, infatti, il Collegio che ciò fosse possibile e che in tal senso vada qui riconfermata la giurisprudenza di questa Corte che già in passato ha affermato che nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo bensì per l’eventuale riduzione della sua entità cfr. per ultimo sez. 4, n. 34541 del 24/05/2016, cit. sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011, Rv. 251739 conf. sez. 4, n. 21575 del 29/01/2014, Rv. 259212 . 5.2. Già in passato è stato ricordato, in proposito cfr. la appena citata sent. n. 2430/2011 che, se è vero che - secondo altro orientamento l’unica colpa rilevante nel procedimento in parola sarebbe la colpa grave, essendo la sola, espressamente richiamata dalla normativa in esame, con implicita esclusione degli altri livelli di colpa cfr. in tal senso, Sezioni unite, 13 gennaio 1995, n. 1, Ministero Tesoro in proc. Castellani, Rv. 201035 , è tuttavia vero che l’opposto orientamento, condiviso da molte altre e più recenti pronunce e che questo Collegio condivide, rimarca condivisibilmente, che, dal tenore complessivo della normativa, non si evince che le altre forme di colpa siano irrilevanti per la persona prosciolta ed in precedenza ingiustamente sottoposta a misura detentiva. 5.3. Peraltro, quanto alla distinzione tra risarcimento del danno ed indennizzo, l’equa indennità non è un istituto sconosciuto al diritto civile ad es. art. 2047 c.c., in tema di danno causato all’incapace per cui è applicabile ad essa, con riferimento al quantum debeatur il principio generale di autoresponsabilità desumibile dalla lettura degli artt. 1227 e 2056 c.c., per il quale non è da indennizzare il pregiudizio causato, quanto meno per colpa seppure lieve , dello stesso danneggiato. 5.4. Questa Corte di legittimità ha anche chiarito cfr., ex pluribus , sez. 4, n. 27529 del 20/05/2008, Rv. 240889 che la c.d. colpa lieve può essere ravvisata in atteggiamenti o comportamenti, sicuramente non di gravità tale da escludere il diritto alla riparazione, ma integranti un concorso apprezzabile in termini economici per ridurne la quantificazione tanto sul presupposto che se la colpa grave esclude il diritto alla riparazione, nelle altre gradazioni rispetto a quest’ultima, la colpa sinergica sotto entrambi i profili considerabili emissione del provvedimento restrittivo, perdurare della detenzione non è insignificante, dovendo essere valutata ai fini della taxatio sul quantum debeatur in applicazione del principio generale di autoresponsabilità artt. 1227 e 2056 c.c. per il quale non è indennizzabile il pregiudizio causato, quanto meno per colpa seppure lieve, dallo stesso richiedente. 5.5. Va anche considerato che l’indennità ex art. 315 c.p.p. viene appunto determinata in via equitativa e che la previsione di impedimento del diritto alla riparazione in caso di colpa grave non esclude che altre forme gradate di colpa, purché apprezzabili, possano incidere sull’entità della riparazione cfr. ex multis, le sentenze di questa Corte nn. 556/1993 126/1994 529/1994 S.U. 43/1995, Samataro, 12/12/2003 - Fiorentino . 5.6. Non appaiono, pertanto, fondate le censure mosse in sede di ricorso, avendo il giudice, come si è appena detto, concretizzato il concetto di colpa lieve, in ordine al differente e pienamente consentito piano della quantificazione della somma da liquidarsi. 5.7. Naturalmente occorre che la valutazione della colpa lieve ai fini della quantificazione dell’indennizzo, in quei casi, come quello che ci occupa, in cui la colpa dell’istante non sia stata valutabile in quanto il compendio indiziario posto originariamente alla base della misura sia rimasto lo stesso di quello, diversamente valutato, che ha portato alla sua revoca, non finisca per diventare un artificio per reintrodurre surrettiziamente i profili di colpa in questione e mortificare, di fatto, nel quantum , il concesso indennizzo. Onde evitare che ciò possa accadere occorre allora che la riduzione del quantum non appaia spropositata e che il giudice della riparazione dia conto della stessa con motivazione che consenta di desumere in maniera coerente il percorso argomentativo seguito. 6. Ebbene, nel caso che occupa, il giudice della riparazione ha dato conto in motivazione degli elementi da cui ha desunto la colpa lieve del V. , affermando l’esistenza di contatti tra il V. ed i componenti del gruppo attenzionato dalle indagini - incontrovertibilmente qualificati dalla natura della documentazione e del materiale rinvenuto in occasione della perquisizione subita dal V. il 10.6.2009 , non trascurando altresì di replicare alla richiesta, avanzata dalla difesa, di valutazione degli effetti della c.d. gogna mediatica valorizzando che che le conseguenze economiche subite dal V. non sono certo interamente da ricondurre alla mera carcerazione, bensì alla vicenda giudiziaria nel suo insieme , e, infine, esplicitando il criterio logico seguito per la riduzione del quantum. 7. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 7.1. Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dal Ministero resistente, liquidabili in Euro 1.000,00. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese di giudizio in favore del Ministero resistente liquidate in mille Euro.