Non può essere rimesso in termini l’imputato che si disinteressa della sua vicenda processuale

La vicenda oggetto del giudizio della Cassazione è emblematica e riguarda gli oneri di attivazione dell’imputato che abbia nominato un difensore di fiducia, in merito alla conoscenza delle sorti del proprio procedimento penale.

Il tema è stato affrontato dalla sentenza n. 8860/17 depositata il 23 febbraio. Il caso. Nella specie, infatti, gli imputati tutti contumaci nel giudizio di merito non avevano ricevuto notizie” dal loro legale, sulla condanna sostanzialmente confermativa di quella di primo grado subita in appello. Lamentando il fatto che solo a seguito dell’interessamento di altro avvocato avevano appreso della condanna in appello e che i termini per proporre ricorso per cassazione era scaduto, avevano così proposto ricorso chiedendo di essere rimessi in termini, evidenziando, inter alia , l’illegalità della pena subita stante la sentenza n. 56/16 della Corte Costituzione in merito ai reati di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42/2004. La Cassazione ha avuto facile gioco nel dichiarare inammissibile il ricorso, evidenziando come, in caso di regolare notifica presso il difensore nominato, gli imputati avevano liberamente affidato sulla base del reciproco rapporto di fiducia il compito di ricevere le comunicazioni a loro indirizzate , assumendosi così l’onere di provvedere ad una periodica attività di informazione presso tale professionista, che, in applicazione del principio di autoresponsabilità, sia volta a sopperire, peraltro negli esclusivi rapporti esterni, ad eventuali manchevolezze del medesimo . Mancando, dunque, lo svolgimento di una qualunque tale attività quanto meno di sollecito verso il difensore in precedenza nominato, doveva ritenersi del tutto infondata l’istanza di rimessione in termini, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Peraltro, la Corte ha opportunamente evidenziato come potrà essere addotta quale elemento ostativo, ai fini della rimessione in termini [], alla legale conoscenza degli atti regolarmente notificati presso il difensore di fiducia domiciliatario, non la mera affermazione della mancata attivazione di questo, una volta ricevuti gli atti, affinché questi siano portati a conoscenza degli effettivi destinatari, ma solo la documentata allegazione della perdurante negligenza del domiciliatario, pur a fronte di una periodica attività di ricerca di informazioni da parte del cliente del professionista . Come a dire, solo in caso di rifiuto” da parte del legale a fornire informazioni, si è di fronte a un fatto che in effetti preclude, incolpevolmente, la conoscenza dell’esito processuale, fermo restando, evidentemente, profili di responsabilità anche professionale in tutti gli altri casi a carico dell’avvocato. Considerazioni conclusive. La decisione è corretta e non merita particolari critiche, posto che ha compiutamente evidenziato il nucleo essenziale del rapporto fiduciario, che è biunivoco e non a senso unico. Del resto, l’imputato ben può rendersi a sua volta irreperibile” nei confronti del difensore per mille ragioni, ivi incluse quelle attinenti al mancato pagamento dell’onorario, sicché non può tale negligenza essere posta a giustificazione dell’annullamento di una condanna di cui comunque si conosceva la possibilità, vista la sussistenza e la percezione di una precedente condanna in primo grado. Naturalmente, la negligenza dell’imputato non giustifica in toto l’omissione del difensore di fiducia, il quale riveste e non può non rivestire una funzione pubblica e, dunque, sostanzialmente indisponibile in merito sicché egli deve, anche in caso di inadempimento del cliente, inviargli le comunicazioni del caso, riservandosi, se del caso, di rimettere il proprio mandato in modo da non pregiudicare i diritti difensivi dell’antico cliente. Ad ogni modo, è chiaro che si affaccia, nella decisione in oggetto, un principio tipico del processo accusatorio e precisamente che la grave negligenza dell’avvocato può essere posta a base dell’annullamento di una decisione presa contro l’imputato, quando in effetti ciò è stato di ostacolo all’esercizio ai diritti di difesa allo stesso spettanti. La funzione del difensore poco importa se di fiducia o d’ufficio è e deve essere di supporto all’azione di tutela degli interessi del cliente quando ciò non avviene e l’attività del difensore in concreto ostacola o si frappone all’esercizio del diritto di difesa, questa si snatura e perde ogni dignità. L’imputato ha diritto ad un difensore e non anche ad un soggetto che lo ostacoli o che lo ponga inconsapevolmente innanzi a condanne definitive e non contrastabili. Quando questo diritto viene negato”, viene lesa la sua difesa” e, dunque, la decisione di condanna non merita di essere parte dell’ordinamento giuridico. Si è riferito, però, di diritto, diritto che, come la Cassazione ha bene evidenziato, non solleva il suo titolare da qualunque responsabilità, poiché la difesa è sì a tutela dell’imputato, ma l’imputato non è sottoposto alla tutela” del difensore, poiché egli l’imputato è e rimane autonomo soggetto di diritto. Ne consegue, insomma, che egli ha oneri di attivazione, propri di chiunque voglia esercitare un proprio diritto. Del resto, il diritto è suo e lo gestisce” in primo luogo lui”.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 maggio 2016 – 23 febbraio 2017, n. 8860 Presidente Grillo – Relatore Gentili Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Capri, con sentenza emessa in data 24 giugno 2009, ebbe a dichiarare, nella contumacia degli imputati, la penale responsabilità di C.R. , A.E. e A.G. in ordine alla violazione degli artt. 83 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere, in concorso fra loro, eseguito opere edilizie in zona sismica senza avere precedentemente depositato i relativi atti progettuali presso il competente Ufficio del Genio civile, e dell’art. 181, comma 1- bis , del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere eseguito le medesime opere, in zona di notevole interesse pubblico, in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica. Con la medesima sentenza il Tribunale, oltre a dichiarare non doversi procedere nei confronti dei prevenuti quanto alla correlata imputazione concernente la violazione della disciplina propriamente edilizia, per avere eseguito le opere in questione in assenza di permesso a costruire, condannava gli stessi, concesse a tutti le attenuanti generiche, riuniti i reati accertati sotto il vincolo della continuazione e ritenuta più grave la violazione alla normativa paesaggistica, alla pena di mesi 9 di reclusione ciascuno, oltre accessori, sospendendo condizionalmente la pena medesima. 2. Avendo i prevenuti interposto appello avverso la predetta sentenza, la Corte territoriale di Napoli, con sentenza del 19 marzo 2014, emessa anch’essa nella contumacia dei ricorrenti, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava non doversi procedere nei confronti dei medesimi anche in relazione al reato di cui al capo b della rubrica originariamente contestata, essendosi anch’esso estinto per prescrizione e rideterminava, pertanto, la pena irrogata nella misura di mesi 6 di reclusione, disponendo, altresì, oltre alla conferma nel resto della impugnata sentenza, la non menzione della condanna nei certificati penali dei prevenuti spediti a richiesta dei privati. 3. Avverso la predetta sentenza i ricorrenti, C. e A.E. con un unico atto datato 20 settembre 2014 e A.G. con atto distinto datato, a sua volta, 16 settembre 2014, proponevano ricorso per cassazione, con il quale, previa concessione della rimessione in termini per la presentazione del ricorso, articolavano un unico, peraltro comune ai tre ricorrenti, motivo di impugnazione, denunziando la sentenza della Corte di appello partenopea sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto quello del vizio di motivazione. 3.1. Con atto depositato presso la cancelleria di questa Sezione della Corte di cassazione in data 21 aprile 2016 la difesa dei tre ricorrenti articolava un motivo nuovo concernente la sopravvenuta illegalità della pena, stante la parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 intervenuta a seguito della sentenza n. 56 del 2016 della Corte costituzionale. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili. 1.1. Osserva questa Corte che, preliminare ad ogni altra considerazione, è la valutazione della tempestività della presentazione del ricorso per cassazione ad opera dei tre imputati e, pertanto, essendo pacifica la astratta tardività della impugnazione da costoro interposta, va pregiudizialmente esaminata la accoglibilità o meno della istanza di rimessione in termini dai medesimi correttamente posta quale condizione preliminare per l’ammissibilità del loro ricorso. 1.2. Siffatta istanza non può essere accolta. Rileva, infatti, il Collegio che i tre ricorrenti, a sostegno di essa, hanno concordemente riferito, con ampia messe di particolari, l’andamento della vicenda, precisando che, avendo costoro conferito ampio mandato defensionale al loro precedente avvocato di fiducia, ed avendo avuto da questo iniziali rassicurazioni in ordine alle favorevoli prospettive di svolgimento del giudizio a loro carico, poco interesse avevano manifestato rispetto ad esso, in quanto confidavano in ciò che tale professionista aveva riferito loro. Sempre secondo quanto dichiarato dagli attuali ricorrenti, soltanto nel corso del mese di luglio 2014, a seguito del fortuito interessamento di un altro avvocato alla loro vicenda, apprendevano che, non solo era stata emessa una sentenza di condanna a loro carico dal Tribunale di Napoli ma anche che detta sentenza peraltro, si nota da parte di questo Collegio, a seguito di gravame interposto dal loro difensore era stata, ancorché non integralmente, confermata dalla Corte di appello partenopea. I ricorrenti aggiungevano che, comunque, anche in questo caso essi avevano ricevuto rassicurazioni da parte del loro originario patrocinatore, il quale li aveva allertati in ordine alla imminente notificazione della sentenza della Corte territoriale e sulla necessità, una volta ricevuto tale atto, di informarlo per la presentazione del ricorso di fronte alla Corte di cassazione. Solo in data 4 settembre 2014, sempre secondo quanto riportato dai ricorrenti, questi, a seguito delle ulteriori informazioni attinte presso un altro avvocato, apprendevano che, essendo stato notificato loro l’estratto contumaciale della sentenza della Corte di appello presso lo studio dell’originario professionista in data 9 maggio 2014, il termine per la presentazione del ricorso di fronte alla Corte di cassazione era già scaduto in data 8 giugno 2014. 2. In esito a detta ampia esposizione dei fatti i ricorrenti - ritenuta applicabile alla fattispecie la disciplina rinvenibile nell’art. 175, comma 2, del cod. proc. pen. nella versione previgente a quella attuale, essendo il giudizio a loro carico giunto a sentenza di primo grado anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, che ha, fra l’altro, modificato il regime della rimessione in termini contenuta nell’art. 175 cod. proc. pen., ed essendo, per tale motivo, lo stesso rimasto impermeabile alla indicata sopravvenienza normativa - rilevavano che, essendo pacifico che gli stessi, per quanto sopra riportato, non avevano avuto effettiva conoscenza della pendenza e della definizione dei giudizi a loro carico sino al luglio 2014 e della notificazione della sentenza della Corte di appello sino al settembre 2014, chiedevano che fosse riconosciuta, previa loro rimessione in termini, la tempestività del ricorso per cassazione dai medesimi presentato solo nel settembre del 2014. 3. La istanza di rimessione in termini è infondata. 3.1. Premessa, in effetti, la applicabilità alla fattispecie che ora interessa, alla luce di quanto previsto dall’art. 15- bis della legge n. 67 del 2014, come introdotto per effetto della legge n. 118 del 2014, al riguardo cfr. Corte di cassazione, Sezione feriale, 16 settembre 2015, n. 37576 , dell’art. 175 cod. proc. pen. nella versione precedente a quella oggetto di novella per effetto della entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, osserva il Collegio che - non essendo stata posta in dubbio la regolarità formale della notificazione ai ricorrenti eseguita attraverso la consegna dell’estratto contumaciale della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli presso lo studio del loro difensore di fiducia, deve desumersi che questi fosse anche loro domiciliatario, atteso che, diversamente, non si spiegherebbe la incontestata notificazione presso di lui della sentenza emessa nella contumacia degli imputati - secondo il condiviso orientamento di questa Corte in presenza di una rituale elezione di domicilio, presso il quale siano state regolarmente effettuate le prescritte notifiche deve ritenersi, in difetto di specifici elementi indicativi del contrario, che gli attuali ricorrenti abbia volontariamente rinunziato alla tempestiva impugnazione del provvedimento giurisdizionale emesso a loro carico o, comunque, che abbiano consapevolmente assunto il rischio di una intempestiva impugnazione. Per tale motivo non sussiste, conseguentemente, in loro favore il diritto alla restituzione nei termini per l’impugnazione della sentenza contumaciale, previsto dall’art. 175, comma secondo, cod. proc. pen. Corte di cassazione, Sezione V penale, 9 agosto 2007, n. 32616 . Né i ricordati specifici elementi di segno contrario alla loro consapevole assunzione quanto meno del rischio della intempestiva impugnazione della sentenza possono essere desunti solo sulla base di una peraltro meramente allegata affermazione della negligenza da parte dell’avvocato di fiducia designato quale domiciliatario dei prevenuti. Ciò in quanto costoro, liberamente affidando al medesimo - sulla base del rapporto di reciproco affidamento instaurato diversamente da quanto si verifica nel caso del difensore di ufficio con quello - il compito di ricevere le comunicazioni loro indirizzate, hanno contestualmente assunto l’onere di provvedere ad una periodica attività di informazione presso tale professionista, che, in applicazione del principio di autoresponsabilità, sia volta a sopperire, peraltro negli esclusivi rapporti esterni, ad eventuali manchevolezze del medesimo. Sicché potrà essere addotta quale elemento ostativo, ai fini della rimessione in termini ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., alla legale conoscenza degli atti regolarmente notificati presso il difensore di fiducia domiciliatario, non la mera affermazione della mancata attivazione di questo, una volta ricevuti gli atti, affinché questi siano portati a conoscenza degli effettivi destinatari, ma solo la documentata allegazione della perdurante negligenza del domiciliatario, pur a fronte di una periodica attività di ricerca di informazioni da parte del cliente del professionista. Quanto precede fa, peraltro, ovviamente salva, riguardo ai rapporti interni, la valutazione della eventuale sussistenza di profili di responsabilità professionale e se del caso anche disciplinare del professionista che, contravvenendo comunque agli obblighi di diligenza su di esso gravanti, abbia, in ogni caso, trascurato di informare il proprio cliente degli atti da lui ricevuti per conto di quello. 3.2. Poiché nel nostro caso gli attuali ricorrenti hanno espressamente dichiarato che, una volta attribuito al loro difensore l’incarico di difenderli in giudizio, essi si sono, in sostanza, disinteressati per lungo tempo dell’esito del procedimento, riacquisendo informazioni su di esso solo dopo anni di trascuratezza, ritiene questa Corte che in tale comportamento non possono non ravvisarsi, con riferimento all’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nella versione applicabile alla presente vicenda , gli estremi, secondo quanto dianzi precisato anche in relazione alla consapevole assunzione del relativo rischio, della volontaria rinunzia da parte dei ricorrenti alla presentazione della tempestiva impugnazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli emessa nei loro confronti in data 19 marzo 2014. 4. Il rigetto della istanza di rimessione in termini rende evidentemente inammissibile per tardività i ricorsi per cassazione presentati dai tre ricorrenti in ragione di detta inammissibilità è, tanto più, inammissibile il motivo aggiunto formulato dalla difesa degli imputati con la memoria depositata nella imminenza della discussione del presente giudizio. Tale inammissibilità non pregiudica, peraltro, atteso il contenuto del ricordato motivo, la possibilità di ripresentare lo stesso, nelle opportune forme e nelle opportune sedi, in occasione della eventuale esecuzione della decisione di condanna emessa a carico degli odierni ricorrenti. 5. Visto l’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.