Condannato l’amministratore che conclude contratto per la società tacendo il suo stato d’insolvenza

In tema di insolvenza fraudolenta, la Corte di Cassazione delimita i confini della fattispecie delittuosa. In particolare, la tesi sottoposta dai ricorrenti al vaglio dei giudici di legittimità si riferisce alla sufficienza o meno della mera condotta omissiva ad integrare la condotta delittuosa.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8893 depositata il 23 febbraio 2017. Il caso. Infatti, nel caso di specie, i due ricorrenti – amministratori di una srl – venivano condannati per il reato di insolvenza fraudolenta perché nella loro qualità di amministratori di una società che si trovava in stato di insolvenza, contraevano obbligazioni con altra società con il proposito di non adempiere il pagamento delle prestazioni da questa fornite. Responsabilità oggettiva . La difesa dei due ricorrenti evidenzia in primo luogo che la struttura societaria aveva una sezione commerciale, di cui risultavano responsabili altri soggetti che, agendo in piena autonomia, non erano tenuti a riferire i dettagli di ogni singola prestazione. Da questa osservazione ne consegue che gli amministratori non avevano nessun contatto diretto con il legale rappresentante della società parte offesa, facendo venire meno i presupposti della fattispecie criminosa, a meno di configurare una sorta di responsabilità oggettiva a carico degli amministratori di una società. Inoltre, sempre in sede di ricorso per cassazione, viene evidenziato che gli amministratori possono essere chiamati a rispondere delle conseguenze negative del proprio operato solo se abbiano agito dolosamente o colposamente con violazione di legge o de mandato gestoreo . Non è assolutamente ipotizzabile, secondo i ricorrenti, che un amministratore che non concorre minimamente in alcun modo ad un’attività autonomamente svolta da un proprio subalterno, senza aver fornito alcuna indicazione o senza aver concorso a formare un indirizzo o un modus operandi , possa rispondere della condotta contestata, salvo che come già detto non si possa configurare una sorta di responsabilità oggettiva. Dissimulazione dello stato di insolvenza . Gli Ermellini, chiamati a decidere sul punto, ribadiscono in primo luogo i principi di diritto riconducibile alla configurazione del delitto de quo . In particolare come si legge nella sentenza in commento – in tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all’altra parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere. Inoltre, ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione assume rilievo quando sia legato la preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione. Infine – concludono i giudici di Piazza Cavour – la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che in sé costituisce un indizio equivoco del dolo. Tuttavia – affermano i giudici del Palazzaccio – la tesi difensiva non appare fondata, così come valutato dai giudici di merito. Infatti, la società si trovava in uno stato conclamato di insolvenza e tale stato fu taciuto al legale rappresentante della società parte offesa. Condizioni di pagamento . Inoltre, risulta che nel caso di specie fu pattuito un pagamento fino a 120 giorni dall’avvenuta prestazione, l’ultima delle quali fu posta in essere lo stesso giorno della presentazione della domanda di concordato, cioè quando era sicuro che la società non avrebbe potuto pagare. Si ricava pertanto che nel momento in cui il contratto fu stipulato, la società, tacendo alla controparte il proprio stato di insolvenza, decise ugualmente di stipulare il contratto al fine di ottenere una serie di prestazioni che non avrebbe potuto pagare. Infine, sul piano dell’attribuzione della condotta fraudolenta, non è possibile trascurare il fatto che a fronte di un conclamato stato di insolvenza e della decisione di chiedere l’ammissione alla procedura di concordato, i due imputati tennero un comportamento gravemente e dolosamente omissivo. Da qui il rigetto della impugnazione con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 3 – 23 febbraio 2017, n. 8893 Presidente Fumu – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. F.A. e D.B.R. - condannati per il reato di insolvenza fraudolenta perché, nella loro qualità di amministratori della srl Prodomo, che si trovava in stato d’insolvenza, contraevano obbligazioni con la Alpi Adriatica srl con il proposito di non adempiere il pagamento delle prestazioni trasporto merci da questa fornite - hanno proposto ricorso per cassazione contro la sentenza in epigrafe deducendo 1.1. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 641 COD. PEN. sotto i seguenti profili a essi erano amministratori della srl Prodomo, una società ben strutturata con una sezione commerciale, della quale erano responsabili tali B. e G. che, in quanto agivano in piena autonomia, non erano tenuti a riferire i dettagli prezzo e modalità di ogni singola spedizione di conseguenza, poiché essi - come era risultato pacificamente dalla svolta istruttoria - non avevano mai avuto alcun rapporto con il legale rappresentate della parte offesa, non potevano essere condannati per una responsabilità oggettiva fondata sul non potevano non sapere e cioè sulla base di una mera congettura sfornita di qualsiasi riscontro in ordine al preordinato proposito di non adempiere b in realtà, l’inadempimento andava ritenuto solo un inadempimento di natura civilistica perché la Prodomo srl confidava di pagare nei consueti tempi le forniture, la Alpi srl era a conoscenza dello stato d’insolvenza essendo stata depositata domanda di concordato, e, comunque, i ricorrenti erano stati rassicurati che quella prestazioni servizio sarebbe stata pagata in prededuzione 1.2. TRATTAMENTO SANZIONATORIO i ricorrente sostengono che, erroneamente entrambi i giudici di merito non avevano riconosciuto le attenuanti generiche e, con motivazione apparente, era stata inflitta una pena eccessiva. Considerato in diritto 1. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 641 COD. PEN 1.1. IL FATTO. Sulla base di quanto risulta dalla sentenza impugnata, i fatti pacificamente , possono essere così ricostruiti Agli inizi del gennaio 2009, la Prodomo srl si trovava già in stato di insolvenza tant’è che, a causa di un calo di fatturato, fece ricorso alla Cassa integrazione. Successivamente, il 03/08/2009, la società fu messa in liquidazione e, il 06/08/2009 fu presentata domanda di concordato preventivo il 07/08/2009 l’intera azienda fu locata a terzi. Il contratto con la Alpi Adriatica srl, avente ad oggetto sedici trasporti, fu eseguito fra il 17/07/2009 ed il 06/08/2009 ossia lo stesso giorno in cui fu presentata domanda di concordato preventivo l’importo pattuito per tutti i trasporti era di Euro 20.848,54 ed il pagamento era stato stabilito a 120 giorni. A seguito dell’insolvenza, ovviamente la Alpi non fu pagata e le fu riconosciuto dagli organi della procedura un credito chirografario pari al 3% del dovuto. 1.2. I PRINCIPI DI DIRITTO. I principi di diritto applicabili al reato di insolvenza fraudolenta, sono pacifici, sono quelli correttamente evidenziati dalla stessa difesa degli stessi ricorrenti e possono essere sintetizzati nelle seguenti massime in tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 cod. pen., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all’altro parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere, cioè, quando sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato vi era l’intenzione di non far fronte all’obbligo o agli obblighi scaturenti dal rapporto contrattuale ex plurimis Cass. 29454/2003 Rv. 226747 Cass. 39890/2009 Rv. 245237 ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione ex plurimis Cass. 34192/2006 Rv. 234774 la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione, ma non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo ex plurimis Cass. 6847/2015 Rv. 262570 Cass. 39887/2015 Rv. 264514. 1.3. LA TESI DIFENSIVA. La tesi difensiva - dedotta sia in grado di appello che in questa sede - è la seguente il mero comportamento omissivo non connotato da alcun profilo di contraria evidenza, non è di per sé sufficiente ad integrare la condotta delittuosa che deve pur sempre consistere nel manifestare - anche in via omissiva un’apparenza diversa dalla realtà la responsabilità patrimoniale non è degli amministratori ma della società ed i primi possono essere chiamati a rispondere delle conseguenze negative del loro operato, solo se hanno agito dolosamente o colposamente con violazione di legge o del mandato gestoreo. Non è assolutamente ipotizzabile che un amministratore che non concorre minimamente, in alcun modo, ad un’attività autonomamente svolta da un proprio subalterno, senza aver fornito alcuna indicazione o senza aver concorso a formare un indirizzo o un modus operandi, possa rispondere della condotta contestata, salvo che non si voglia immaginare l’esistenza di una responsabilità oggettiva pag. 8 atto di appello . Quindi, in sintesi, secondo la tesi difensiva, poiché i ricorrenti, in quanto amministratori di una società strutturata, non si occupavano de minimis - fra cui, appunto, la gestione dei contratti alla quale era proposto un apposito ufficio - di conseguenza, non potevano essere ritenuti colpevoli in relazione ad un contratto di cui nulla mai avevano saputo, non avendo posto in essere condotte commissive o tenuto condotte omissive tali da giustificare un giudizio di responsabilità penale. 1.4. L’INFONDATEZZA DELLA TESI DIFENSIVA. Posta la questione nei suddetti termini, il ricorso va rigettato dovendosi ritenere corretta la decisione di entrambi i giudici di merito per le ragioni di seguito indicate. Innanzitutto, è pacifico - in quanto non contestato - che a al momento in cui la Prodomo s.r.l. stipulò il contratto per cui è processo, si trovava in conclamato stato d’insolvenza cfr supra § 1.1. b il suddetto stato d’insolvenza fu taciuto al legale rappresentante della Alpi s.r.l. non solo, ma, come ha stigmatizzato la Corte Territoriale, fu pattuito un pagamento a 120 giorni dall’avvenuto trasporto l’ultimo dei quali fu effettuato il 06/08/2009 e cioè lo stesso giorno della presentazione della domanda di concordato e cioè quando era sicuro che la società non avrebbe potuto pagare non peraltro perché era stata presa la decisione di liquidarla per chiedere, subito dopo, l’ammissione alla procedura di concordato c trattandosi di un credito maturato prima dell’ammissione al concordato, non era affatto pacifico che il suddetto credito sarebbe stato pagato per intero ed in prededuzione come erroneamente sostiene la difesa infatti, il credito fu ammesso in chirografo e pagato al 3%. Le suddette circostanze di fatto, consentono, quindi, di giungere ad una prima conclusione nel momento in cui il contratto fu stipulato, la Prodromo s.r.l., tacendo alla controparte il proprio stato d’insolvenza, decise ugualmente di stipulare il contratto al fine di ottenere dalla Alpi srl una serie di prestazioni trasporti che sapeva non avrebbe potuto pagare. Questo primo dato fattuale consente, quindi, di escludere la configurabilità di un semplice inadempimento di natura civilistica. Resta il problema di stabilire a chi addebitare quella condotta fraudolenta. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che responsabili dovessero essere gli amministratori. Costoro, hanno ribattuto deducendo la tesi illustrata al § precedente. Ora, può essere anche vero che, formalmente, i ricorrenti non si siano mai direttamente interessati del contratto in questione, anche se la Corte tende ad escluderlo sostenendo che è inverosimile che, data l’importanza del cliente portoghese, i due imputati non ne abbiano curato personalmente la pratica dando direttive a cui attenersi e senza comparire personalmente . Ma, questa osservazione - confutata dalla difesa - in realtà, non è dirimente. Ciò che è decisivo è il fatto che, a fronte di un conclamato stato d’insolvenza e della decisione di chiedere l’ammissione alla procedura di concordato, i due imputati, contrariamente a quanto sostengono, tennero un comportamento gravemente e dolosamente omissivo. Infatti, essi avrebbero avuto il dovere giuridico di a bloccare tutti i contratti ed ordinare ai loro sottoposti di non assumere nuove ed ulteriori obbligazioni che essi sapevano non avrebbero potuto essere adempiute, rinviando, così, alla fase successiva dell’eventuale ammissione alla procedura di concordato, la gestione - sotto controllo degli organi della procedura - dell’adempimento dei contratti in corso e/o l’assunzione di nuove obbligazioni da pagare in prededuzione b in alternativa, dare disposizioni agli uffici che si occupavano dei contratti, di rendere edotti gli eventuali fornitori dello stato d’insolvenza e, quindi, che il contratto sarebbe stato a loro rischio e pericolo. Ma, nulla di tutto questo risulta essere stato fatto. Gli imputati, infatti, si sono difesi, in pratica, scaricando le loro responsabilità sul personale che si occupava della stipula dei contratti in particolare, tale G. linea difensiva, però, oltre che ingenerosa verso i sottoposti - che sono tenuti ad attenersi agli ordini ricevuti e che di certo non possono permettersi di assumere iniziative che, come quelle di cui si è detto, implicano conseguenze gravissime per il destino dell’impresa - anche sterile giuridicamente, atteso che, la circostanza che gli imputati non si occuparono materialmente del contratto in esame, non esclude la loro responsabilità penale perché fu proprio per effetto del loro comportamento gravemente omissivo, che quel contratto fu stipulato. Correttamente, quindi, entrambi i giudici di merito hanno desunto la prova del dolo a dalla cronologia dei fatti b dalla necessità per l’impresa di adempiere le proprie obbligazioni consegna della merce per evitare azioni di risarcimenti danni c dal tacere l’insolvenza della società d dalla decisione, nonostante l’insolvenza, di continuare a stipulare con terzi nella specie Alpi srl nuovi contratti al solo fine di ricevere prestazioni che, sapevano, non sarebbero state pagate secondo quanto pattuito. Non, quindi, come erroneamente sostiene la difesa, responsabilità penale derivante oggettivamente dalla posizione apicale rivestita nell’ambito della società, ma responsabilità penale personale che deriva da un ben preciso comportamento omissivo gravemente doloso. Diventa, quindi, del tutto irrilevante che, materialmente, quel contratto fu stipulato da tale G. ossia colui che era preposto all’ufficio che si occupava della stipula dei contratti in quanto costui non aveva alcuna capacità decisionale sul punto nulla è stato dedotto in ordine ai comportamenti da assumere che fossero strategici per la stessa vita dell’impresa come, appunto, bloccare i contratti o rendere edotti i contraenti dello stato d’insolvenza . La censura, pertanto, va disattesa. 2. TRATTAMENTO SANZIONATORIO. La censura è manifestamente infondata in quanto la motivazione, fondata sul particolare disvalore della condotta e sulla intensità del dolo, è incensurabile in questa sede di legittimità. 3. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA i ricorsi e CONDANNA i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.