La perizia è nuova prova solo se fondata su diversi criteri scientifici

In tema di revisione, agli effetti dell'art. 630, lett. c , c.p.p., una perizia può costituire prova nuova unicamente se basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati. Va quindi confermata la decisione dei giudici di merito, la quale abbia ritenuto che non rappresentino nuove prove neppure gli elementi desumibili da indagini difensive, quando siano posti a fondamento di elaborati peritali che non si basino su nuove acquisizioni scientifiche.

Lo ha ribadito la I sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8419/17, depositata il 21 febbraio. I casi di revisione del processo penale. Diverse sono le ipotesi di revisione previste dal codice di procedura penale. Fra queste, più volte, in passato, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato la decisività della perizia ai fini della revisione del processo penale, a condizione del requisito di novità delle metodiche scientifiche poste alla base di essa. Parimenti, la Suprema Corte ha ribadito che, in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma 1, lett. a , c.p.p., non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze. I modelli astratti di tutela nei reati di falso La sentenza in commento, relativa – fra l’altro – ad una fattispecie di falso ideologico di atti di polizia giudiziaria, consente anche di richiamare l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi in tema di rilevanza penale delle falsità documentali. Secondo parte della dottrina, vi sarebbero tre modelli di tutela astrattamente prospettabili nel caso di falsità documentali. Il primo concepisce il falso come l’inganno della fiducia che la collettività ha nei documenti, intesi quali strumenti di certezza del diritto. Il secondo definisce invece il falso quale abuso del potere documentale, in relazione ai singoli documenti falsificati dal pubblico ufficiale, e dunque in violazione dell’art. 97, comma 1, Cost Anche il terzo modello attribuisce alla nozione di falso la qualità di abuso del potere documentale, ma inteso come categoria generale, caratterizzato dall’offesa alle funzioni del documento, e cioè a quella di garanzia della provenienza del contenuto, a quella di prova della veridicità del contenuto ed a quella di perpetuazione di quanto in esso contenuto. I modelli accolti dal vigente codice penale sono sostanzialmente il primo ed il secondo, fra quelli sopra richiamati. la nozione penalmente rilevante di documento Per la scienza penalistica, il documento consiste nella dichiarazione narrativa o dispositiva avente contenuto di pensiero, ed espressa mediante scrittura sia ideografica che alfabetica , incorporata in una base materiale durevole nel tempo. Il documento deve essere riconducibile ad un determinato autore, in modo certo ed univoco, nonché idoneo ad avere rilevanza giuridica. Tale idoneità deve essere valutabile in concreto, cioè al momento della falsificazione. Vi sono poi atti penalisticamente inesistenti e/o invalidi, per i quali cioè è esclusa la rilevanza penale della loro falsificazione, in quanto manca l’oggetto materiale della condotta art. 49, comma 2, c.p. in altri termini, per tali atti manca uno dei requisiti di cui alla nozione di documento sopra esposta. Quanto agli atti giuridicamente nulli e/annullabili, per essi non sussiste la rilevanza penale, ove si tratti di nullità e/o annullabilità non derivante dalla falsificazione. Due soluzioni sono state prospettate al riguardo in giurisprudenza. Per la prima, non è punibile la falsificazione di un documento giuridicamente inesistente per la seconda, non è punibile la falsificazione di un documento giuridicamente nullo e/o annullabile, se questa è verosimilmente inidonea ad ingannare i terzi, trattandosi – in tal caso – di ipotesi di cosiddetto falso grossolano”. e la classificazione dei documenti. Quanto ai tipi di documenti penalmente rilevanti, il primo ad essere disciplinato nel vigente codice penale è – per importanza – l’atto pubblico art. 476, comma 1, c.p. , il quale, come è noto, è quel documento che proviene da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Va peraltro precisato che devono ritenersi privi di rilevanza penale gli atti pubblici redatti per finalità non inerenti a funzioni pubblicistiche. L’atto pubblico fidefacente art. 476, comma 2, c.p. e art. 2700 c.c. è invece, ad esempio, il verbale del cancelliere, o la relata di notifica predisposta dall’Ufficiale Giudiziario. Vi è poi la nozione di certificato art. 477 c.p. quest’ultimo si differenzia dall’atto pubblico, il quale produce effetti costitutivi, mentre il certificato produce effetti a sé preesistenti, e riguarda fatti risultanti da un altro atto pubblico in senso lato. Accanto all’atto pubblico ed al certificato vi è l’autorizzazione amministrativa art. 477 c.p. , la quale consiste in quell’atto che rimuove gli ostacoli di legge all’esercizio di una determinata attività come, ad esempio, nel caso della patente di guida, o di una prescrizione medica . Quanto alla copia autentica art. 478, comma 1, c.p. , essa costituisce atto pubblico fidefacente rispetto alla dichiarazione della sua conformità all’originale, fatta dal pubblico ufficiale. Nel caso dell’attestato art. 478, comma 2, c.p. , esso riproduce il contenuto del documento originale in modo sintetico come nell’ipotesi del disco-contrassegno . Le ipotesi di falso possono concernere anche la scrittura privata, come nel caso dei certificati di esercenti un servizio di pubblica necessità art. 481 c.p. , dei registri e notifiche soggetti ad ispezione dell’autorità di pubblica sicurezza art. 484 c.p. e del documento informatico art. 491 bis c.p. .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 ottobre 2016 – 21 febbraio 2017, n. 8419 Presidente Cortese – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Torino, con ordinanza in data 19-3-2015, depositata il 20-3-2015, dichiarava inammissibile la richiesta depositata il 19-62014 nell’interesse di M.S. finalizzata ad ottenere la revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello di Genova il 18-5-2010, irrevocabile il 5-7-2012 a seguito della sentenza nr. 1798-12 della Suprema Corte di cassazione . 1.1. Si osservava che la richiesta di revisione era giustificata alla luce delle nuove prove allegate e dell’inconciliabilità tra i giudicati. Sul primo aspetto la Corte d’appello aveva ritenuto provata la responsabilità del M. , per la grave aggressione al giornalista inglese C.M. l’esame del filmato e della consulenza redatta dal professor B.N. , tuttavia, avrebbe permesso di rilevare che il M. dava le spalle sia a C.M. , che al suo soccorritore. Quanto all’altro profilo, la revisione della sentenza era invocata per l’intervenuta assoluzione del medesimo M. e del D.G. , all’epoca capo della Polizia, in relazione all’istigazione alla falsa testimonianza del Co. , all’epoca questore di . Osservava la Corte come la revisione non fosse un generalizzato ed ulteriore giudizio finalizzato ad introdurre un grado di merito aggiuntivo. Piuttosto, si trattava di un rimedio straordinario rigidamente ancorato all’esistenza delle specifiche condizioni indicate dall’art. 630 cod. proc. pen Ancora, la nuova prova avrebbe dovuto incidere sulla decisione assunta in guisa tale da indurre l’assoluzione. Nel caso di specie non constavano condizioni siffatte, giacché gli stessi filmati richiamati nella consulenza B. erano prove già valutate nel giudizio originario e risultavano come elementi esaminati proprio per ricostruire il ruolo e la responsabilità dell’istante. Non era, ancora, condivisa la conclusione secondo cui la decisione di condanna si era fondata sui soli filmati. Piuttosto, si annotava come la Corte territoriale avesse dato conto dei plurimi elementi di prova che avevano indotto a ricostruire i fatti a carico del richiedente la revisione. Era stata, infatti, ritenuta la falsità degli atti di polizia giudiziaria, volti, da un lato, a legittimare la perquisizione e l’arresto dei numerosi giovani e, dall’altro, la copertura dei comportamenti tenuti dagli operanti. Del resto, la sentenza di merito aveva spiegato le ragioni per le quali il M. stesso, a capo della colonna di poliziotti intervenuta, fosse presente in loco ed in prossimità del punto in cui il giornalista era stato aggredito. Si era spiegato perché, alla luce dei filmati di stampa e ripresi da cittadini comuni, si dovesse escludere una reazione violenta verso le forze dell’ordine, come, di converso, aveva tentato di accreditare il M. . In questa logica si è sottolineato, pertanto, che la responsabilità per le falsità si fondava su una serie di elementi e non solo sul filmato indicato, come rielaborato ed esaminato dal consulente di parte, B. . Né l’ipotesi, secondo cui il M. stesse guardando in direzione diversa dal luogo in cui era il giornalista C.M. , anche opposta a discarico, avrebbe potuto indurre a condividere la tesi per cui egli non avesse avuto la percezione di quanto stava accadendo. Ciò perché, a parte la breve durata del filmato, l’intera scena percettiva enucleava un quadro di violenza di tale rilevanza, in cui figuravano persone ferite che giacevano al suolo, altre colpite dalla polizia ed in ogni caso, elemento questo di primaria rilevanza, l’assenza di ogni resistenza al momento dell’irruzione, come indicato, successivamente e contrariamente, negli atti di polizia giudiziaria. Ininfluente era stimato il particolare relativo al lancio del maglio, elemento già facente parte del materiale istruttorio valutato e privo, pertanto, del requisito di novità. Né si riteneva che avrebbe legittimamente fondato la richiesta di revisione la dedotta inconciliabilità tra i giudicati. Non ricorreva, infatti, alcuna inconciliabilità o contraddittorietà tra le valutazioni espresse nelle due decisioni. Si trattava, piuttosto, di accertamenti che risultavano avere ad oggetto fatti e reati diversi, di guisa che anche la diversa ed eventuale motivazione sulle ragioni dell’intervento non sarebbe stato elemento idoneo ad inficiare la condanna per il delitto di falso ideologico a carico del ricorrente. 2. Ricorre per cassazione M.S. , a mezzo del difensore di fiducia ed articola le seguenti ragioni. 2.1. Con il primo motivo deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza delle condizioni per l’ammissibilità dell’istanza di revisione. Premette il ricorrente che la Corte d’appello di Torino nel riassumere l’istanza, con cui era stata richiesta la revisione, aveva indicato che il M. era stato sottoscrittore dei verbali di perquisizione e di arresto. Di converso, l’istante aveva sottoscritto il solo verbale di arresto e non di perquisizione. Questa svista aveva inciso sull’intero iter argomentativo, poiché il verbale di arresto risulta un atto valutativo, mentre quello di perquisizione rientra tra quelli descrittivi. Il M. , nella specie, aveva sottoscritto il verbale di arresto facendo affidamento su atti che apparivano del tutto genuini e che erano stati sottoscritti da altri pubblici ufficiali, atti tra i quali vi era, appunto, il verbale di perquisizione. 2.1.2. Un ulteriore errore era stato compiuto con riferimento alla consulenza tecnica allegata a sostegno della richiesta di revisione e ritenuta priva del carattere di novità. L’affermazione secondo cui i filmati erano stati oggetto di valutazione era priva di fondamento, almeno in relazione al video oggetto di consulenza da parte de prof. B. , che era stato allegato a fondamento della richiesta di revisione. I giudici, che avevano emesso la sentenza, avevano visto il video, ma non erano stati in grado di notare i particolari che emergevano dalla consulenza. Essa documentava che il M. non avesse la possibilità di rendersi conto del corpo del C. riverso a terra, con la conseguenza che sarebbe venuto a mancare l’elemento di prova decisivo, su cui si era fondata la sentenza di condanna. La Corte di merito aveva erroneamente indicato che il M. aveva visto C.M. esanime, ma addirittura aveva assistito direttamente al pestaggio, là dove tutti gli atti processuali documentavano che, giunto il M. alla , il pestaggio del giornalista era già avvenuto. Egualmente la Corte d’appello di Torino aveva errato nel dare atto che bottiglie molotov erano state prese dal M. . Né i filmati, né la stessa decisione della Corte d’appello di Genova documentavano che il M. avesse tenuto nelle proprie mani il sacchetto con le bottiglie incendiarie. Viziata ancora era l’ordinanza con riguardo al verbale di sommarie informazioni del 10-8-2001 che la difesa aveva prodotto. Emergeva da quel verbale che già prima di assumere la qualità di indagato il M. aveva dichiarato al Pubblico Ministero di aver visto cadere un maglio spaccapietre. Ciò contraddiceva la tesi della Corte d’appello di Genova che aveva ritenuto il particolare un’invenzione dell’imputato. La Corte d’appello di Torino aveva considerato l’elemento probatorio in questione privo del requisito di novità, risultando già parte del compendio probatorio. Quel verbale era parte del fascicolo del P.M. e non era stato acquisito al fascicolo del dibattimento per il divieto di cui all’art. 63 cod. proc. pen. La difesa non ne aveva chiesto l’acquisizione, né aveva dato il consenso, ignara delle conseguenze che ne sarebbero derivate nella fase d’appello. 2.3. Si deduce, infine, la manifesta illogicità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui risulta esclusa l’inconciliabilità tra i fatti su cui si fonda la sentenza di cui si invoca la revisione e quelli di cui alla sentenza 1764 del 22-11-2012 emessa da questa Corte di cassazione. La Corte d’appello di Torino aveva ignorato le ragioni indicate nelle due sentenze e che avevano determinato la perquisizione alla scuola . Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va respinto. Invero, gli argomenti posti a fondamento della richiesta di revisione si risolvono, in larghissima parte, in una mera rivalutazione delle risultanze probatorie poste a base della decisione divenuta irrevocabile e in critiche degli argomenti attraverso i quali si è sviluppato, in fatto e in diritto, il ragionamento seguito dai giudici della cognizione. 1.1. Una prima osservazione va riservata alla premessa che articola il ricorrente e che descrive il travisamento in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Torino nel riassumere l’istanza, con cui era stata richiesta la revisione. In particolare, postulando che il M. fosse stato sottoscrittore dei verbali di perquisizione e di arresto, la Corte territoriale aveva condizionato l’intero iter argomentativo della decisione assunta. L’istante aveva, invero, sottoscritto il solo verbale di arresto, atto valutativo, mentre il verbale di perquisizione, non sottoscritto dal ricorrente, aveva funzione descrittiva ed aveva indotto quel naturale affidamento da parte del medesimo M. , apparendo l’atto di polizia giudiziaria genuino, perché sottoscritto da altri pubblici ufficiali. L’argomento, finalizzato alla introduzione di un percorso volto ad ipotizzare l’induzione in errore, in ragione d’una attività di perquisizione cui non aveva preso parte il ricorrente stesso e che si sarebbe in buona fede fidato di quanto avevano dato atto gli altri pubblici ufficiali, da un lato, non risulta appagante nel suo sviluppo e dall’altro è privo di decisività ai fini del presente accertamento. La Corte territoriale ha correttamente escluso che il M. potesse essere stato indotto in errore dal verbale di perquisizione ed ha piuttosto ricostruito l’intera vicenda - che indusse gli arresti alla scuola omissis - enucleando i singoli eventi da cui scaturirono i verbali mendaci e finalizzati proprio a supportare le azioni di polizia che ivi erano state compiute. D’altro canto il tema della falsità assume supporto documentale e lo spiega chiaramente la sentenza di merito fl. 233 Corte d’appello Genova annotando il contrasto che esisteva sul punto tra la comunicazione della notizia di reato sottoscritta anche dal M. e il verbale di perquisizione. Mentre nella Cnr si riferiva, infatti, d’un ritrovamento delle bottiglie incendiarie al primo piano dell’edificio in luogo accessibile e visibile a tutti gli occupanti, nel verbale di perquisizione si indicava che gli ordigni erano stati rinvenuti nella sala d’ingresso al pian terreno. La sentenza di merito ha chiarito che l’arresto degli occupanti la struttura era avvenuto proprio in ragione della visibilità ed accessibilità da parte di tutti e, dunque, la misura precautelare era stata assunta in virtù dell’inciso che figurava anche nella comunicazione della notizia di reato, ove era riportato un luogo di rinvenimento diverso rispetto a quello indicato nel verbale di perquisizione. Questo elemento attesta la contraddittorietà tra gli atti di polizia e, soprattutto, inserito nel quadro di prova generale, scrutinato conforta ampiamente la tesi di merito del giudice d’appello e la decisione della Corte di appello di Torino di dichiarare inammissibile l’istanza di revisione. In realtà, nel negare la revisione della decisione di condanna, correttamente, hanno ritenuto i giudici di merito che non ci fu in sostanza alcun errore di valutazione, indotto dal verbale di perquisizione e che l’intera operazione fu frutto di una consapevole e volontaria iniziativa, proprio per legittimare la perquisizione ex art. 41 TULPS e gli arresti eseguiti in via postuma, attribuendo in maniera collettiva ed indifferenziata reperti ivi portati dalle stesse forze dell’ordine. 1.1.2. La questione di merito indicata è in stretto collegamento con l’altro tema introdotto nell’istanza di revisione e nel relativo motivo di ricorso avverso il provvedimento d’inammissibilità. La Corte territoriale ha infatti ritenuto priva del carattere di novità la consulenza eseguita dal B. sul filmato esaminato, prova da cui, nella prospettazione a discarico, si sarebbe potuta e dovuta inferire l’impossibilità da parte del M. di avvedersi della posizione del giornalista C.M. , duramente picchiato all’esterno della struttura. La Corte territoriale ha ritenuto la consulenza priva del requisito di novità idoneo a fondare la richiesta di revisione. Questa Corte ha avuto modo di affermare che agli effetti dell’art. 630 lett. c cod. proc. pen., perché una perizia costituisca prova nuova occorre che essa si basi su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e quindi suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati. Non rappresentano nuove prove neppure gli elementi desumibili da indagini difensive, quando siano posti a fondamento di elaborati peritali che non si basino su nuove acquisizioni scientifiche Cass., Sez. 1^, 28 settembre 2000, Ciancabilla Sez. 6, 22 aprile 1997, Gavazza Sez. 1, sentenza n. 16455de1 09/03/2005 Cc. dep. 02/05/2005 Caruso, Rv. 231579 Sez. 6, n. 34531 del 04/07/2013 Ud. dep. 08/08/2013 Mazzagatti e altro, Rv. 256136 . La Corte territoriale fa corretta applicazione dei principi indicati. D’altro canto, non si limita ad una statuizione sul presupposto di rito ed esamina il tema prospettato dalla difesa anche nel merito. Oltre a valutare la portata dimostrativa del filmato esaminato dal consulente tecnico B. , definisce in termini di decisa marginalità la rilevanza di quel filmato, spiegando che esso non risulta l’unico elemento che avrebbe indotto a ritenere il M. consapevole delle violenze in essere e dell’azione di pestaggio in danno del giornalista C.M. . D’altro canto, la falsità ideologica degli atti, ascritta anche al M. e ritenuta nei giudizi celebrati, ha osservato la Corte territoriale, poggiava su una serie di elementi analiticamente esaminati e richiamati al fl. 8 del provvedimento impugnato . Non aveva fondato, pertanto, la decisione di condanna il solo filmato riesaminato dal consulente tecnico a discarico, B. . Tra gli elementi indicati è stato posto in rilievo, in particolare, quello afferente l’operazione della manovra cd. a tenaglia con la predisposizione di due distinte colonne di uomini, l’una, tra l’altro, guidata dal M. e proveniente da nord. Giunta sul posto, ci fu l’aggressione a cinque inermi cittadini, tra i quali vi era il C. , che fu ripetutamente picchiato, nonostante avesse riferito di essere un giornalista. La presenza del M. sul posto, hanno osservato i giudici, è fuori discussione e risulta documentata proprio dal filmato indicato che lo ritrae in sito. La Corte territoriale ha, dunque, rivalutato il merito della portata dimostrativa dell’informazione aggiuntiva che risulta allegata a discarico ed ha osservato che il filmato era durato pochi minuti e che in ogni caso si era limitato a riprendere il M. stesso nel momento in cui guardava in un luogo diverso da quello in cui giaceva il giornalista C. . Questo elemento, si è osservato, da un lato, non spiegava alcuna rilevanza in funzione dell’esclusione di responsabilità del ricorrente, avendo la valutazione complessiva tratto scaturigine dalla complessità dell’intera scena e dalle aggressioni in essere e, dall’altro, quel particolare non incideva sul nucleo centrale dell’accertamento giudiziario, che ruotava intorno alla circostanza pacifica che, al momento dell’irruzione nella struttura, alcuna resistenza era in atto in danno degli operanti, come falsamente rappresentato negli atti di polizia giudiziaria. 1.1.3. Quanto alla censura relativa al rinvenimento delle bottiglie incendiarie, che la Corte d’appello di Torino aveva affermato che erano transitate nelle mani dello stesso M. , si assume che il particolare sarebbe smentito dalla stessa sentenza di merito. Ebbene sul punto si deve osservare che, a parte la genericità della doglianza, non si indica la rilevanza del tema in funzione della sua decisività per la decisione sulla revisione. Contrariamente a quanto dedotto, la sentenza di merito che affronta la questione degli ordigni esplosivi ffl. 235, 236 e 237 ricostruisce il ruolo del M. e gli stessi filmati ne attestano la presenza al momento in cui le stesse molotov giungevano presso la struttura scolastica, trasportate dal T. . Si comprende, allora, come sia ininfluente che il M. le avesse direttamente maneggiate o meno, assumendo rilevanza, in funzione del punto centrale della decisione, piuttosto la circostanza che gli ordigni erano stati lì trasportati e che negli atti di p.g. si indicasse, di converso, per assumere l’arresto dei presenti, in maniera mendace che erano state rinvenute in quel sito. 1.1.4. Il provvedimento impugnato si confronta, poi, con il tema relativo al lancio del maglio spaccapietre, vicenda di cui il M. stesso aveva parlato già prima di assumere la qualità di imputato, allorquando aveva reso sommarie informazioni testimoniali al P.M. in fase di indagini. Orbene, a prescindere dall’utilizzabilità del verbale stesso e dalla mancata acquisizione in fase dibattimentale per la violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. la Corte territoriale ha evidenziato che la sentenza di merito ne ha escluso il lancio unitamente ad altri oggetti sulle forze dell’ordine dall’interno della scuola. Alla conclusione si era addivenuti all’esito delle dichiarazioni rese dei testi presenti e della visione e valutazione dei filmati ripresi da soggetti terzi e disinteressati, oltre che dagli atti di polizia giudiziaria. La Corte, dunque, ha ritenuto irrilevante il momento in cui il M. avesse riferito del lancio stesso, alla luce della circostanza che il compimento di quel gesto era stato escluso e che alcun elemento di segno contrario sul punto era stato acquisito, ad eccezione delle dichiarazioni dell’imputato, non supportate, peraltro, come si indica nella sentenza di merito, neppure dal sequestro del maglio, oggetto mai rinvenuto. 2. Non risultano, infine, condivisibili gli argomenti sviluppati a supporto della richiesta di revisione per inconciliabilità tra i giudicati. Più volte questa Corte ha statuito Sez. 5, n. 8462 del 9.7.1997, dep. 18.9.97 Sez. 4, n. 8135 del 25.10.01, dep. 28.2.02 Sez. 1, n. 18380 del 20.2.2002, dep. 14.5.02 Sez. 5, n. 40819 del 22.9.2005, dep. 10.11.05 , che il disposto di cui all’art. 630 comma 1 lett. a cod. proc. pen., in funzione della revisione per inconciliabilità tra i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna e quelli posti a fondamento di altra sentenza irrevocabile, si riferisce agli elementi storici adottati per la ricostruzione del fatto di reato, non già alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni Sez. 2, n. 12809 del 11/03/2011, dep. 29/03/2011, Rv. 250061 . Ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e non possono, pertanto, consistere, come già osservato, nel mero rilievo di una divergenza di principio tra due sentenze, che abbiano a fondamento gli stessi fatti Sez. 5, n. 8462 del 09/07/1997, dep. 18/09/1997, Rv. 208608 . La Corte territoriale ha fatto buon governo del quadro di principi delineati in questa Sede, procedendo ad un vaglio critico sulle deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, ed escludendo quindi, con congrua ed esaustiva motivazione, ogni profilo di contraddittorietà logico-giuridica tra i due giudicati. Il nucleo centrale del contrasto, secondo il ricorrente si incentrerebbe sulle motivazioni da cui sarebbe derivato l’intervento presso la scuola . Tuttavia, ha osservato la Corte territoriale le due decisioni hanno ad oggetto reati ed accertamenti di fatto diversi. Il secondo titolo che ricostruiva il fatto relativo all’induzione a rendere falsa testimonianza da parte del Co. , trattava in maniera solo marginale la questione relativa alla motivazione dell’intervento della polizia presso la scuola da ciò si è ritenuto che la diversa motivazione sul punto non inficiasse la condanna per la falsità ideologica degli atti di polizia giudiziaria. Ciò perché i due fatti erano diversi. Da un lato, la presenza del M. in loco et ab initio documentava che egli era ben consapevole del clima in cui si stavano svolgendo gli eventi e della realtà in essere e dall’altro perché l’induzione alla falsa testimonianza era evento postumo a quei fatti e successivo alla ricostruzione giudiziaria di essi. Né la seconda decisione ha messo in discussione i presupposti o la condotta di falsità ideologica degli atti per i quali vi era stata condanna del M. . Non si coglie, del resto, neppure nel motivo di ricorso in quale nucleo fattuale, irrevocabilmente accertato nei due titoli, si annidi quel nesso di inconciliabilità ontologica tra i fatti posti a fondamento delle due statuizioni, unico elemento che avrebbe potuto indurre la revisione della decisione di condanna. 3. In conclusione, il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.