Non è mai troppo tardi per iniziare a spacciare: le esigenze cautelari e la «pregressa incensuratezza»

Uno spacciatore anziano non può semplicemente allegare la propria incensuratezza fino a tarda età , né la mancanza di contatto con la droga, né il fatto che intrattenga rapporti solo con alcuni sodali, ai fini di dimostrare l’insussistenza della concretezza e attualità del pericolo alla base delle esigenze cautelari a suo carico. Soprattutto quando il soggetto è ben collocato all’interno di un’associazione criminale votata al traffico di narcotici, all’interno della quale, per altro, svolge numerose mansioni.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7610/17 depositata il 17 febbraio. Il caso. Un soggetto, collettore di denaro e impiegato nell’acquisto di sostanze stupefacenti e incaricato di distribuire il ricavato tra i membri di un’associazione dedita al narcotraffico, veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Egli proponeva la revoca o la sostituzione di quest’ultima, che però veniva rigettata dal GIP. A nulla serviva l’appello presso il Tribunale di Napoli, che respingeva l’impugnazione. Le doglianze del condannato incensurato”. Il condannato ricorreva in Cassazione lamentando la violazione di legge non essendo stati disposti accertamenti medici, per verificare l’incompatibilità, da lui allegata, della misura cautelare con le proprie condizioni di salute. Per di più, la concretezza e attualità del pericolo a fondamento delle misure non era giustificabile, alla luce dell’incensuratezza fino ad età avanzata del ricorrente, la non autonomia della sua condotta e la mancanza di contatti con gli stupefacenti. Lo stato di salute e la misura cautelare. Secondo la Corte di Cassazione la prima doglianza non è ammissibile, in quanto lo stato di restrizione domiciliare non è assimilabile a quello di custodia in carcere. E’ nei confronti di quest’ultima che si pone la necessità di verificare la compatibilità dello stato di salute con quel tipo di restrizione, anche tramite nomina di un perito che faccia accertamenti medici in tal senso. Nel caso di arresti domiciliari, invece, l’accertamento si dispone solo se il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti art. 299, comma 4- ter , c.p.p. . L’incensuratezza e l’età avanzata del ricorrente. Per quanto attiene alla seconda censura, è evidente dal quadro probatorio che il condannato era un professionista” nell’agire illecito, considerando i vari ruoli e le varie mansioni, descritte in precedenza, che svolgeva all’interno del sodalizio criminale. La pregressa incensuratezza, l’età avanzata, la mancanza di contatto con la droga e i rapporti intrattenuti solo con alcuni sodali, costituiscono assunti contrastati interamente dagli argomenti del giudice di merito. Ciò che conta è la modalità della condotta e l’inserirsi di questa all’interno dell’operatività di un sodalizio . Queste, secondo la Suprema Corte, possono essere interpretate come elementi di rilievo personologico tali da suffragare il concreto e attuale pericolo di una recidivante ripresa di attività illecite, propiziate dal tipo di relazioni gestite dal ricorrente . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 gennaio – 17 febbraio 2017, n. 7610 Presidente Fidelbo – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 2/11/2016 il Tribunale di Napoli ha respinto l’appello presentato da L.A. avverso l’ordinanza del G.I.P. di quel Tribunale con cui era stata rigettata una richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, applicata al predetto per i reati di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico e di importazione di sostanze stupefacenti. 2. Ha proposto ricorso il L 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 299, comma 4-ter e 275, comma 4-bis cod. proc. pen Il Tribunale dopo aver indicato il presupposto della richiesta, costituito dalla dedotta incompatibilità col regime degli arresti domiciliari delle patologie di salute che affliggono il ricorrente, aveva finito per ridurre il gravame alla verifica empirica di un affievolimento delle esigenze cautelari in conseguenza delle patologie, con sovrapposizione indebita di due profili ben distinti, quando era stato chiesto l’adeguamento del trattamento cautelare alle condizioni di salute, solo in ultima analisi valorizzandosi aspetti secondari come il tempo trascorso e la risalenza dei fatti oggetto di contestazione. Era da aggiungersi la violazione di legge ravvisabile nel provvedimento impugnato nella parte in cui a fronte della richiesta fondata sulle gravi patologie era stato disatteso il dato normativo, secondo cui è doveroso disporre accertamenti medici allorché vengano dedotte condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione e tali da non consentire adeguate cure inframurarie. Inoltre il Collegio si era arrogato competenze mediche, rilevando l’assertività delle affermazioni del consulente di parte, peraltro senza spiegare le ragioni di siffatto giudizio. Il Tribunale avrebbe dovuto procedere ad un’analisi specifica con il supporto di contributi conoscitivi di natura tecnica della gravità delle patologie e della compatibilità con lo stato detentivo. Richiama il ricorrente anche arresti giurisprudenziali in materia di esecuzione della pena. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alle esigenze cautelari e al principio di adeguatezza ai sensi degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen Apoditticamente era stata affermata l’impossibilità di soddisfare le esigenze cautelari con misure meno afflittive, mentre la ragione della concretezza e dell’attualità del pericolo non era stata indicata. Avrebbero dovuto invece valutarsi l’incensuratezza del ricorrente fino a tarda età, il fatto che il L. non agisse autonomamente e non avesse contatti se non con alcuni associati nonché la mancanza di contatti con gli stupefacenti. In particolare si sarebbe dovuto desumere sulla base degli atti che il ricorrente, verificandosi l’occasione, potesse facilmente commettere i fatti di cui all’art. 274, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., senza far uso di illazioni. Ma i dati disponibili erano tali da escludere una probabilità di recidiva, non potendo il giudizio fondarsi su elementi congetturali e astratti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato. 2. Il primo motivo è inammissibile, perché manifestamente infondato e genericamente formulato. Contrariamente a quanto, del tutto infondatamente, sostenuto dal ricorrente, il Tribunale ha debitamente interpretato le richieste e le relative doglianze, rilevando peraltro che nel caso di specie lo stato di salute non incideva sullo status custodiae sotto nessun profilo. In particolare il Tribunale ha osservato che il ricorrente è ristretto agli arresti domiciliari, il che consente all’occorrenza al predetto di formulare mirate e tempestive istanze in funzione della sottoposizione agli accertamenti terapeutici e diagnostici necessari. D’altro canto va rimarcato che sono state valutate le conclusioni del consulente tecnico del L. in merito allo stato di salute di costui, ma le stesse sono state reputate apodittiche e assertive non tanto in relazione al tipo di patologie prospettate, bensì in relazione alla pretesa difficoltà di esecuzione dei controlli e delle cure radioterapiche e al pericolo di aggravamento correlato allo stato restrittivo. Del resto il motivo di ricorso sul punto s’appalesa generico, non essendo specificamente dedotto sotto quale profilo l’invocata analisi del consulente si sottrarrebbe al giudizio formulato dal Tribunale, fondato su un dato logico in relazione al tipo di prospettazione formulata. Va altresì rimarcato che lo stato di restrizione domiciliare, che consente al ricorrente di vivere nella propria abitazione, non è assimilabile a quello di custodia in carcere solo rispetto a quest’ultimo si pone la cogente e inderogabile necessità di verificare attentamente la compatibilità dello stato di salute con quel tipo di restrizione e se del caso quella di nominare un perito al fine di procedere ai doverosi accertamenti medici, mentre nel caso di arresti domiciliari può disporsi un accertamento in quanto il Giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti secondo quanto in generale previsto dall’art. 299, comma 4-ter, prima parte, cod. proc. pen. , ipotesi che il Tribunale ha comunque motivatamente escluso. D’altro canto nel caso di specie il problema non è tanto quello di verificare lo stato di salute in sé quanto di verificare se possa incidere la necessità di far a mano a mano ricorso alle necessarie autorizzazioni, profilo rispetto al quale il giudizio formulato dal Tribunale non risulta adeguatamente contrastato, non potendosi affermare che vi sia stata surrogazione in valutazioni di tipo medico-scientifico. Né il ricorrente prospetta la necessità di essere ristretto semmai presso un luogo di cura, semplicemente deducendosi l’inadeguatezza della restrizione domiciliare. 3. Il secondo motivo è infondato. Il L. è stato raggiunto dall’ordinanza applicativa della misura cautelare in relazione ai reati di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico e di importazione di sostanze stupefacenti. Correttamente il Tribunale ha valorizzato la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a fronte della quale ha rilevato che non sono stati indicati elementi specificamente idonei a far ritenere venute meno o affievolite le esigenze cautelari o comunque adeguata una misura cautelare meno afflittiva. In tale prospettiva il Tribunale ha in particolare rilevato che già in sede di riesame era stato sottolineato che non era rilevante il tempo trascorso, a fronte di un consolidato modus procedendi , che non si sarebbe potuto realisticamente ritenere cessato all’atto dell’interruzione delle indagini. Ha inoltre non illogicamente aggiunto che l’associazione è stata contestata come perdurante e che le esigenze devono ritenersi concrete e attuali, in relazione alla gravità dei fatti e al ruolo svolto dal L. , quale collettore di denaro, impiegato nell’acquisto di sostanze stupefacenti, e quale soggetto incaricato di distribuire il ricavato tra i sodali, elementi che sono stati interpretati come segno di professionalità nell’agire illecito, in assenza di concreti elementi idonei a denotare resipiscenza. Ed invero si tratta di argomenti che sono certamente idonei a contrastare gli assunti del ricorrente, incentrati sulla pregressa incensuratezza, sull’età del L. , sulla mancanza di contatto con gli stupefacenti e sui rapporti intercorsi solo con alcuni sodali va infatti rimarcato che le modalità della condotta e l’inserirsi di questa all’interno dell’operatività di un sodalizio sono stati interpretati come elementi di rilievo personologico, tali da suffragare il concreto e attuale pericolo di una recidivante ripresa di attività illecite, propiziate dal tipo di relazioni gestite dal ricorrente. Né sono stati concretamente indicati elementi idonei a dimostrare la totale disarticolazione del sodalizio o, si ribadisce, tali da attestare, in senso contrario alla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che anche in stato di libertà o di controllata possibilità di muoversi il L. non potrebbe reiterare azioni illecite, posto che lo sfondo associativo, in assenza di nitidi segnali di segno contrario, costituisce la base credibile di un giudizio di attualità del pericolo. 4. Su tali basi il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.