Un errore del contribuente nella dichiarazione dei redditi non integra sempre il reato di evasione fiscale

La dichiarazione dei redditi è una dichiarazione di scienza e, in caso di errore di fatto o di diritto commesso dal contribuente, essa è emendabile e ritrattabile, soprattutto quando ne può derivare l’assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli già previsti legalmente.

Così ha sancito la Suprema Corte con sentenza n. 6869/17 depositata il 14 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado che dichiarava la responsabilità penale del legale rappresentante della società per aver evaso le imposte tramite indicazioni false nella dichiarazione dei redditi. L’imputato ricorre per cassazione denunciando l’omissione dei giudici di merito nel considerare che la dichiarazione dei redditi presentata era erronea anche nella parte in cui venivano indicati i ricavi conseguiti, in quanto non corrispondenti, per eccesso, al reale ammontare. La dichiarazione dei redditi come dichiarazione di scienza. La Suprema Corte rileva innanzitutto che i giudici di merito avrebbero dovuto tenere presente che dalla documentazione acquisita l’incertezza della situazione contabile emersa non riguardava solo le poste passive ma anche quelle attive. In tal senso, riporta la giurisprudenza, ormai consolidatasi sul punto, ove afferma che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale o dispositivo, bensì una dichiarazione di scienza, sicché, in caso di errore di fatto o di diritto commesso dal contribuente, essa è in linea di principio emendabile e ritrattabile quando possa derivarne l’assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli che legalmente devono restare a carico del dichiarante . Gli Ermellini ritengono che, nella fattispecie, la Corte territoriale abbia erroneamente considerato come definitivamente provato l’importo dei ricavi conseguiti dalla società indicati dal legale rappresentante nella dichiarazione dei redditi, ritenendo di conseguenza irrilevanti i dati rinvenuti dalla contabilità tenuta dal ricorrente, i quali attesterebbero al contrario l’esistenza di un imponibile assai inferiore a quello dichiarato. Pertanto, essendo fondamentali ai fini dell’integrazione del reato sia il dato relativo all’ammontare del reddito imponibile che quello concernente l’ammontare delle componenti attive di reddito, la Corte accoglie il ricorso e annulla la sentenza con rinvio alla Corte d’appello affinché si proceda alla precisazione dei valori di detti importi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 aprile 2016 – 14 febbraio 2017, n. 6869 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza emessa in data 25 maggio 2015 la Corte di appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto ha confermato la sentenza con la quale il precedente 22 maggio 2012, in esito a giudizio abbreviato, il Tribunale di Taranto, dichiarata la penale responsabilità di D.R. in ordine al reato di cui all’art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante della Profilvetro Srl, al fine di evadere le imposte, indicava nella dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2007, elementi passivi fittizi per un importo pari ad Euro 511.736,00, superiore al 10% degli elementi attivi ivi indicati, con corrispondente evasione di imposta pari ad Euro 189.342,32, condannandolo, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di reclusione oltre alle pene accessorie. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D. , in proprio, lamentando la nullità della sentenza sia sotto il profilo den vizio di motivazione che sotto quello della violazione di legge. In particolare il ricorrente si è doluto del fatto che i giudici del merito abbiano omesso di considerare che la dichiarazione dei redditi presentata dal ricorrente nella qualità di cui al capo di imputazione, era erronea anche con riferimento alla indicazione dei ricavi conseguiti, essendo stati in essa indicati ricavi il cui ammontare non corrisponde, per eccesso, alle risultanze della documentazione acquisita all’atto della verifica operata dalla Guardia di Finanza, costituita sostanzialmente dalla documentazione contabile, ritenuta correttamente tenuta, riferita alla società della quale il D. è il legale rappresentante. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Osserva, infatti, il Collegio che già in sede di giudizio di primo grado il Tribunale di Taranto ebbe a rilevare che, dall’esame della documentazione contabile utilizzata dalla Guardia di Finanza nel corso dell’accertamento che ha condotto alla comunicazione di notizia di reato da cui è scaturito il presente giudizio, era emersa una situazione di incertezza contabile non riferita esclusivamente alle poste passive ma anche alle poste attive contenute nella dichiarazione dei redditi della Profilvetro Srl ciò in quanto, a fronte di una indicazione dei ricavi in dichiarazione pari a Euro 1.591.062,00, quelli effettivamente conseguiti e documentati erano stati, invece, pari a solo 1.021.672,00. In presenza di tale situazione di incertezza reddituale, non irrilevante ai fini della integrazione del reato posto che l’effettivo ammontare del reddito imponibile incide sul superamento o meno della soglia di punibilità relativa al reato cointestato al prevenuto, la Corte di appello, specificamente compulsata sull’argomento con un motivo di gravame avente, appunto, ad oggetto la mancata valorizzazione del fatto che erroneità della dichiarazione dei redditi pareva concernere non i soli costi ma anche i ricavi conseguiti dalla Profilvetro Srl, ha rigettato l’impugnazione sulla base del dato secondo il quale, avendo l’appellante attestato di avere conseguito ricavi pari ad una certa somma, questa indicazione doveva essere ritenuta rispondente al vero. In tal senso parrebbe che il giudice distrettuale abbia attribuito valore negoziale, in più con effetti sostanzialmente confessori, al contenuto delle dichiarazioni fiscali formate dal contribuente, così che, a fronte di un importo relativo ai ricavi lordi indicato dal medesimo contribuente in tali dichiarazioni come ammontante ad Euro 1.591.062,00, un tale importo dovrebbe essere ritenuto oramai irretrattabilmente accertato, laddove detto accertamento operi contro il contribuente. Tale tesi è, però, erronea. Invero in più occasioni la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in seno alla Sezione tributaria, ha avuto occasione di precisare che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale o dispositivo, bensì una dichiarazione di scienza, sicché, in caso di errore di fatto o di diritto commesso dal contribuente, essa è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile quando possa derivarne l’assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a carico del dichiarante Corte di cassazione, Sezione V civile, 28 ottobre 2015, n. 21968 idem Sezione V civile, 11 maggio 2012, n. 7294 idem Sezione V civile, 19 dicembre 2008, n. 29738 idem Sezione V civile, 8 luglio 2007, n. 18673 . Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale ha considerato in sostanza già definitivamente provato, stante la relativa indicazione contenuta nella dichiarazione dei redditi, l’importo dei ricavi conseguiti dalla Profilvetro nella misura indicata dal D. nella dichiarazione da lui sottoscritta nella qualità di cui alla imputazione elevata nei suoi confronti, ritenendo, pertanto, irrilevanti, sebbene non contestati nella loro correttezza formale, i dati rivenienti dalla contabilità tenuta dal ricorrente, i quali attesterebbero, viceversa, l’esistenza di un imponibile assai inferiore a quello dichiarato, imponibile, peraltro, a quanto emerge dalla sentenza, corrispondente a quello indicato in occasione delle non contestate dichiarazioni formate ai fini IVA dalla stesso contribuente. Né pare idonea a rafforzare la persuasività e la tenuta logica della motivazione della sentenza, l’affermazione secondo la quale la rilevata distonia fra le due dichiarazioni fiscali, quella a fine Iva e quella a fine imposte dirette, si giustificherebbe in ragione di possibili sopravvenienze attive che, pur costituendo componenti positive di reddito, non rientrano nel campo dell’IVA e, pertanto, non sono comprese nella dichiarazione relativa a questa imposta. Trattasi, infatti, di mera congettura che la Corte ipotizza, in maniera del tutto disancorata da obbiettivi e riportati dati di fatto, al solo fine di fornire una possibile giustificazione alla diversa quadratura contabile fra le due dichiarazioni tributarie. Essendo, come detto, fondamentali ai fini della integrazione del reato di cui al capo di imputazione sia il dato relativo all’ammontare del reddito imponibile che quello concernente l’ammontare delle componenti attive di reddito, atteso che solamente la infedele dichiarazione tributaria che abbia determinato un’evasione di imposta superiore, secondo la legislazione attualmente vigente, ad Euro 150.000,00, e contenga elementi passivi inesistenti il cui importo sia superiore al 10% di quelli attivi comporta, come conseguenza, la sanzione penale, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Lecce affinché, in sede di merito, sia correttamente precisato il valore dei detti importi, trattandosi di accertamento indispensabile ai fini della affermazione della penale responsabilità dell’imputato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Lecce.