L’alibi fallito o ricostruito può da solo fondare la condanna dell’imputato?

L’alibi fallito non costituisce un indizio, potendo costituire un elemento integrativo solo nel caso in cui sia stata acquisita aliunde” la prova della responsabilità dell’imputato. L’alibi ricostruito indica invece una maliziosa preordinazione difensiva ed ha una valenza indiziante intrinseca che lo pone tra gli elementi probatoriamente rilevanti.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6880/17 depositata il 14 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce riformava la sentenza di primo grado ed assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 609- bis , comma 3, c.p Avverso tale pronuncia ricorre in Cassazione il Procuratore Generale deducendone il vizio di contraddittorietà per aver ribadito l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, da un lato, ed averle considerate insufficienti, dall’altro, ad affermare la responsabilità dell’imputato. Il ricorso trova condivisione da parte dei Giudici di legittimità che sottolinea il difetto della motivazione del provvedimento impugnato che si limita all’elencazione dei dati probatori in maniera ricognitiva e quasi aritmetica , omettendo ogni valutazione. La rilevanza probatoria dell’alibi fallito e ricostruito. In particolare, il Giudice non ha spiegato il motivo per cui il cd. alibi fallito o ricostruito – così risultante proprio dalle emergenze probatorie riscontrate dal giudice - non portava al rafforzamento dell’ipotesi accusatoria, bensì veniva privato della propria efficacia dimostrativa. Sul tema la giurisprudenza ha infatti già avuto modo di affermare che l’alibi fallito va considerato come elemento del tutto agnostico sul piano probatorio e, dunque, non costituente neppure un indizio solo nel caso in cui sia stata acquisita aliunde” la prova della responsabilità esso può costituire un elemento integrativo, di chiusura del costrutto probatorio . Dall’altro lato, l’alibi costruito indica invece una maliziosa preordinazione difensiva ed ha una sua valenza indiziante che, a differenza di quello fallito, lo pone tra gli elementi, secondo l’esperienza, probatoriamente rilevanti Cass. n. 46797/12 e n. 6682/92 . La Corte sottolinea poi che l’art. 192, comma 3, c.p.p. non trova applicazione alle dichiarazioni della persona offesa che possono autonomamente fondare l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato solo previa verifica, adeguatamente motivata, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello in cui vengono sottoposte le dichiarazione di qualsiasi testimone . Nel caso di specie, la sentenza risulta viziata da un vuoto gravitazionale degli elementi di prova, nel quale essi disperdono il peso probatorio . Per tali motivi, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce per un nuovo esame della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 ottobre 2016 – 14 febbraio 2017, n. 6880 Presidente Carcano – Relatore Riccardi Fatto e diritto 1. Con sentenza del 03/07/2015 la Corte di Appello di Lecce, in riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Brindisi del 20 febbraio 2012, assolveva D.L.L. dal reato di cui all’art. 609 bis, comma 3, cod. pen., contestato per aver proditoriamente toccato il seno di C.V. e condotto la mano sinistra della donna verso i propri genitali. 2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Lecce, deducendo il vizio di motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata, pur ritenendo immuni da contraddizioni le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testi de relato, il fidanzato, D.N.C. , che aveva riferito dello stato d’animo della giovane dopo l’abuso, e la madre, A.C. , che aveva riferito di una visita effettuata dall’imputato presso l’abitazione della C. dopo il fatto, con l’intento di comprendere le intenzioni della vittima, nondimeno ha negato efficacia probatoria a tali elementi illogica sarebbe l’ipotesi secondo la quale il movente era una discussione avuta tra C. e D.L. circa un mese prima dei fatti, il pur ritenendo che l’alibi offerto dal chiropratico F.F. non fosse credibile, la Corte ha obliterato la valenza indiziaria a fronte di tale quadro probatorio, la sentenza avrebbe attribuito esclusivo valore alle dichiarazioni dei due collaboratori dell’AVIS, B.F. e S.G. , che, pur rendendo dichiarazioni inattendibili, escludevano la presenza della C. nella sede dell’associazione il pomeriggio del 5 marzo 2008. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Giova preliminarmente rammentare che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 . A tale dovere di motivazione c.d. rafforzata risulta essersi sottratta la Corte territoriale, che, nel riformare la sentenza di condanna emessa in primo grado, oltre ad incorrere in alcune contraddittorietà, non ha fornito un autonomo ragionamento probatorio idoneo a fondare la pronuncia di assoluzione. Invero, la sentenza di primo grado aveva affermato la responsabilità penale dell’imputato sulla base della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, e dei riscontri forniti dai due testi de relato D.N. all’epoca fidanzato della vittima, al quale la giovane aveva immediatamente raccontato in lacrime l’episodio e A. la madre alla quale la giovane aveva narrato il fatto, e che aveva allontanato l’imputato che, qualche giorno dopo le molestie, si era recato presso l’abitazione della persona offesa con la scusa di volerle consegnare un attestato , della inverosimiglianza del movente di vendetta dedotto dall’imputato, in relazione ad un rimprovero mosso alla giovane durante una cena dell’AVIS, e della irrilevanza dell’alibi fondato sulla visita presso lo studio del chiropratico F. , che aveva, in dibattimento, chiarito di avere rilasciato il certificato su richiesta dell’imputato e su indicazione del suo difensore, avvalendosi di un’agenda, ma precisando che gli orari potevano variare in concreto assolutamente inattendibili, invece, erano stati ritenuti la figlia dell’imputato, e i testi B. e S. , che, con anomala ricchezza di dettagli, negavano la presenza della persona offesa nel giorno omissis , pur non essendo in grado di rievocare fatti avvenuti in giorni diversi. La sentenza della Corte di Appello, invece, pur non negando l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, e dai testi de relato, e ribadendo la non decisività del preteso alibi fondato sull’appuntamento con il chiropratico F. , il cui studio distava cinque/dieci minuti dalla sede dell’AVIS dove si sarebbero svolti i fatti, ha nondimeno ritenuto contraddittorio il quadro probatorio, in quanto il movente di vendetta era ipotizzabile sulla base della veridicità dell’ammonimento rivolto dall’imputato alla giovane in occasione di una cena dell’AVIS, e le dichiarazioni del B. e del S. non potevano essere considerate senz’altro inattendibili. La sentenza impugnata risulta argomentativamente monca, in quanto non sviluppa con un compiuto ragionamento probatorio le ragioni per le quali il movente di vendetta non sarebbe una mera congettura probatoriamente irrilevante, bensì una reale spinta alla denuncia calunniosa della persona offesa, e le ragioni - al contrario oggetto di espressa valutazione probatoria da parte del giudice di primo grado - per le quali le dichiarazioni dei testi B. e S. non sarebbero senz’altro inattendibili la Corte territoriale si limita, invero in maniera assertiva, ad elencare i dati probatori, ed a trarne una conclusione non valutativa, ma meramente ricognitiva, quasi aritmetica, di parità dimostrativa, che integrerebbe un’ipotesi di contraddittorietà del quadro probatorio in tal modo abdicando al compito, precipuo della giurisdizione, della valutazione degli elementi di prova, e, in particolare, non spiegando il motivo per il quale il c.d. alibi fallito e/o costruito, anziché rafforzare l’ipotesi accusatoria, e la credibilità della persona offesa, venga deprivato della propria efficacia dimostrativa ex multis, Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191231 L’alibi fallito va considerato come elemento del tutto agnostico sul piano probatorio, e dunque, non costituente neppure un indizio solo nel caso in cui sia stata acquisita aliunde la prova della responsabilità esso può costituire un elemento integrativo, di chiusura del costrutto probatorio. L’alibi costruito è, invece, indicativo di una maliziosa preordinazione difensiva ed ha una sua valenza indiziante che, a differenza di quello fallito, lo pone tra gli elementi, secondo l’esperienza, probatoriamente rilevanti Sez. 1, n. 46797 del 06/11/2012, Pandaj, Rv. 254558 , e le ragioni della attendibilità - e non della non inattendibilità - delle dichiarazioni dei testi B. e S. . Peraltro, la motivazione appare altresì contraddittoria nella parte in cui, pur ribadendo l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e dei riscontri forniti dalle dichiarazioni de relato, di per sé sufficienti ad un’affermazione di responsabilità penale ex multis, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 Le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone , ne obliteri poi la capacità dimostrativa, attraendole in un vuoto gravitazionale degli elementi di prova, nel quale disperdono il peso probatorio, per assumere il rilevo di mero numero probatorio. Va pertanto annullata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce, sezione promiscua, per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Lecce, sezione promiscua.