La pericolosità sociale del mafioso «ritirato, modesto e dedito alla famiglia»

La valutazione della pericolosità sociale ad opera del Tribunale di Sorveglianza deve tenere conto non solo del curriculum delinquenziale , ma anche dell’effettiva condotta tenuta una volta espiata la pena. Pure nel caso in cui si tratti di un ex? mafioso.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4901/17 depositata il 1° febbraio. Il caso. Un condannato per associazione mafiosa si era visto applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni, avverso la quale proponeva appello davanti al Tribunale di Sorveglianza di Palermo. Un curriculum delinquenziale allarmante . Secondo il ricorrente il Tribunale aveva valutato male la pericolosità sociale post -scarcerazione, che era del tutto scemata , avendo egli tenuto una condotta impeccabile, rispettato le misure di prevenzione e adottando uno stile di vita ritirato, modesto e dedito alla famiglia . Si era tenuto invece conto del curriculum criminale” definito allarmante e della pericolosa vicinanza del soggetto agli ambienti mafiosi. La pericolosità sociale e gli elementi da cui la si desume. La Corte di Cassazione ritiene il ricorso fondato. Partendo dalle disposizioni degli artt. 658 e 679 c.p.p., il compito del Magistrato di sorveglianza consiste anche nella verifica della persistenza della pericolosità sociale in capo al soggetto nei cui confronti si procede. Gli elementi da cui il giudice può desumere tale caratteristica sono contenuti nell’art. 133 c.p. e dai comportamenti tenuti dall’imputato durante e dopo l’espiazione della pena . L’articolo summenzionato, combinato con quanto disposto dall’art. 203 c.p. pericolosità sociale” , consente la valutazione della probabilità che il condannato commetta nuovi reati. Ed è questo lo schema che il giudice deve seguire. La valutazione del Tribunale, invece, pare nettamente sbilanciata a favore della rilevanza dei precedenti penali del ricorrente , sottovalutando la sua mite condotta successiva. Ad esempio, il fatto che egli abbia onorato l’obbligo di soggiorno impostogli, senza violazioni, per un periodo molto lungo, è elemento che doveva essere valutato tanto quanto la pericolosità degli ambienti frequentati o la gravità del suo trascorso penale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 novembre 2016 – 1 febbraio 2017, n. 4901 Presidente Bonito – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Palermo rigettava l’appello proposto da T.M. avverso quella con cui il Magistrato di Sorveglianza di Agrigento aveva applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due. T. è stato condannato alla pena di anni otto di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. ed altri. L’appellante aveva sostenuto che la sua pericolosità sociale, dopo la scarcerazione, era del tutto scemata, alla luce della condotta impeccabile tenuta, del rispetto della misura di prevenzione cui era stato sottoposto e del suo stile di vita ritirato, modesto e dedito alla famiglia, sottolineando che l’ammissione delle sue responsabilità non era abituale per i condannati per mafia. Il Tribunale negava che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e quella di sicurezza della libertà vigilata fossero sostanzialmente identiche, come sostenuto dall’appellante, sottolineando la finalità rieducativa della seconda osservava che, a fronte di un allarmante curriculum delinquenziale del T. , della sua contiguità alle famiglie mafiose, di assenza di un processo di revisione critica e di condotte antitetiche a quelle per le quali era stata emessa la condanna, era necessaria una osservazione personale, socio familiare e lavorativa del soggetto al fine di una eventuale declaratoria di definitiva cessazione della pericolosità sociale. In definitiva, la corretta condotta tenuta dopo la scarcerazione giustificava la riduzione della durata della misura di sicurezza operata dal Magistrato di Sorveglianza la sentenza di condanna prevedeva una durata di anni tre della libertà vigilata , ma non era sufficiente per ritenere definitivamente cessata la pericolosità sociale. 2. Ricorre per cassazione il difensore di T.M. , deducendo carenza ed illogicità della motivazione. Il Tribunale di Sorveglianza avrebbe dovuto attenersi, per la sua decisione, alla condotta globale tenuta da T. durante il periodo di restrizione della libertà al contrario, non aveva considerato il rispetto delle prescrizioni durante il periodo di sottoposizione alla misura di prevenzione come indice di rieducazione ai fini della pericolosità sociale. Una valutazione globale della condotta avrebbe portato ad un giudizio positivo sulla personalità del ricorrente. 3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e determina l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. In base al sistema disegnato in base alle sentenze della Corte Costituzionale e agli artt. 658 e 679 cod. proc. pen., il Magistrato di sorveglianza ha l’onere di verificare se persistono, al momento della decisione, le condizioni che permettono di esprimere un giudizio positivo sulla persistenza della pericolosità sociale Sez. 1, n. 44320 del 12/11/2008 - dep. 27/11/2008, Ferreri, Rv. 24223801 . Ciò avviene anche in caso di condanna per associazione di tipo mafioso ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 cod. pen., l’accertamento in concreto della pericolosità attuale del soggetto ai sensi dell’art. 203 cod. pen., pur non necessario al momento della pronuncia della sentenza di condanna, dovrà essere in ogni caso svolto dal magistrato di sorveglianza, alla luce degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e del comportamento del condannato durante e dopo l’espiazione della pena Sez. 2, n. 28582 del 11/03/2015 - dep. 06/07/2015, Romeo e altri, Rv. 26456301 . La pericolosità sociale, ai sensi dell’art. 203 cod. pen., sussiste quando è probabile che il condannato commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati ed è desunta dalle circostanze indicate dall’art. 133 cod. pen Ebbene, la valutazione del Tribunale di Sorveglianza pare nettamente sbilanciata a favore della rilevanza dei precedenti penali del ricorrente, con evidente sottovalutazione degli elementi costituiti dalla condotta successiva al reato e dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del condannato. In effetti, se è esatta la distinzione tra misura di prevenzione e misura di sicurezza operata nell’ordinanza, il dato oggettivo della sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per il lungo periodo di anni tre e mesi sei non poteva risultare irrilevante ai fini della valutazione della persistenza della pericolosità sociale, sia perché non si era riscontrata alcuna violazione, sia perché allontanava ulteriormente l’epoca della valutazione del Magistrato di Sorveglianza da quella della condanna 27/12/2007 . L’ammissione di responsabilità - o, quanto meno di coinvolgimento - per le condotte per le quali è intervenuta condanna è esattamente valutata dal Tribunale di Sorveglianza come non equivalente a scelte di collaborazione o riparazione tuttavia, l’ordinanza sembra dedurne esplicitamente l’incertezza in ordine all’effettivo allontanamento dall’associazione mafiosa, senza valutare il dato che - a quanto emerge dalla lettura del provvedimento - le informative di P.S. e dell’UEPE non indicavano alcuna frequentazione con soggetti coinvolti nell’associazione in epoca successiva alla scarcerazione. Infine, l’attuale situazione lavorativa e familiare del soggetto viene sostanzialmente ignorata. In sede di rinvio, pertanto, il Tribunale di Sorveglianza effettuerà una valutazione più ampia che tenga conto di tutti gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Palermo.