Anche i piccoli imprenditori sono condannabili per bancarotta fraudolenta: no alla disparità di trattamento

Un piccolo imprenditore lamenta l’ingiustizia della condanna subita per bancarotta fraudolenta, adducendo la violazione della legge processuale in tema di notifica impossibile e della legge penale in tema di irretroattività della legge

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3821/17 depositata il 25 gennaio. Il caso. Un imprenditore veniva condannato per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale, condanna confermata anche in appello. Egli proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza. Una notifica proceduralmente corretta? La prima doglianza mossa dal ricorrente verte attorno all’inosservanza delle norme processuali, non avendo ricevuto notifica del decreto di giudizio immediato presso il difensore, come previsto dall’art. 157 c.p.p. in tutti i casi in cui la notifica presso il domicilio dichiarato o eletto sia rivelatasi impossibile. Relativamente a questa censura, la Corte di Cassazione precisa che, ai fini dell’integrazione dell’impossibilità della notifica, occorre un quid pluris rispetto alla semplice attestazione dell’ufficiale giudiziario di non aver trovato l’imputato. La procedura ex art. 161, comma 4, c.p.p., che porta alla notifica presso il difensore, è attivabile solo quando l’ufficiale giudiziario abbia eseguito un accertamento in loco ciò costituisce il quid pluris a cui si accennava prima . E, poiché si ritiene che i giudici del merito abbiano correttamente interpretato e applicato i principi appena esposti, il motivo di ricorso non può essere accolto. I presupposti soggettivi della legge fallimentare. Con secondo motivo di censura, invece, il ricorrente lamenta violazione della legge penale essendogli stata imputata la fattispecie della bancarotta fraudolenta, nonostante egli fosse un piccolo imprenditore. Alla luce delle modifiche apportate dai decreti legislativi n. 5/2006 e 169/2007 i cd. piccoli imprenditori non possono più essere dichiarati falliti e, anzi, il giudice penale avrebbe dovuto sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, relativamente ai non rispettati presupposti soggettivi di cui si è appena detto. Anche in questo caso, la Corte di legittimità non accoglie la doglianza come già detto dalle Sezioni Unite, nella sentenza. n. 19601/08, non sono sindacabili ad opera del giudice penale i presupposti oggettivi e soggettivi della sentenza di fallimento. Per questo motivo la fallibilità del piccolo imprenditore nei procedimenti penali in corso non è disciplinata dalle disposizioni modificative apportate dai summenzionati decreti legislativi. Dubbi di illegittimità costituzionale ormai chiariti . E per quanto attiene alla discussa legittimità costituzionale dell’art. 150 del d.lgs. n. 5/2006, essa è stata ritenuta manifestamente infondata dal giudice delle leggi, non costituendo una violazione al principio generale della retroattività della legge più favorevole. Non vi è neanche una disparità di trattamento tra il piccolo imprenditore dichiarato fallito in base alla precedente disciplina e quello che a seguito della disciplina sopravvenuta, non lo è più . Per questi motivi il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 ottobre 2016 – 25 gennaio 2017, n. 3821 Presidente Nappi – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado di condanna a pena di giustizia nei confronti del ricorrente, titolare dell’omonima ditta per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e documentale epoca del fallimento omissis . 1.Ha presentato ricorso la difesa dell’imputato, che col primo motivo ha censurato l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità. L’imputato, nel corso delle indagini, aveva eletto domicilio in omissis , mentre la notifica del decreto di giudizio immediato era avvenuta ai sensi dell’art. 157 co 7 e 8 cpp e non presso il difensore, come previsto dalla norma sul domicilio dichiarato o eletto in caso di notifica divenuta impossibile. 1.1 Col secondo motivo è stata dedotta la violazione della legge penale, poiché all’imputato erano state applicate le fattispecie incriminanti della bancarotta fraudolenta, pur essendo un piccolo imprenditore. Il ricorso ha citato le modifiche della Legge Fallimentare apportate dal DLGS nr 5 del 2006 e dal Dlgs 169 del 2007, che avevano escluso i piccoli imprenditori dalla possibilità di essere dichiarati falliti ed ha precisato che in ogni caso, stante l’ammontare degli investimenti e dei ricavi, l’impresa dell’imputato con l’attuale normativa non potrebbe essere dichiarata fallita. Ha sostenuto il ricorso che le modifiche citate inciderebbero come norme extrapenali sulle fattispecie incriminatrici della bancarotta e sarebbero soggette alla disciplina dell’art. 2 cp sulla retroattività della norma piu’ favorevole. Ad avviso del ricorrente, infine, il Giudice penale dovrebbe poter sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento quanto ai presupposti soggettivi di cui all’art. 1 Legge Fall.,come modificato dalle novelle del 2006 e del 2007. 1.2 Nel terzo motivo ci si è doluti della mancanza di motivazione in riferimento al IV motivo di appello, che aveva evidenziato la possibilità di intravedere nella fattispecie concreta l’ipotesi regolata dall’ad 217 comma secondo, avendo l’imputato gestito la ditta individuale per un periodo inferiore a tre anni. 1.3 Il quarto motivo ha avuto ad oggetto le censure di violazione dell’art. 133 cp e la carenza di motivazione sul trattamento sanzionatorio, giudicato troppo severo ed in particolare sulla negatoria delle circostanze generiche e sul mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del danno. All’odierna udienza il Pg, dr O., ha concluso per l’inammissibilità ed il difensore, avvocato Volpe in sostituzione dell’avvocato L., si è riportato ai motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Per affrontare la questione sollevata col primo motivo occorre premettere in fatto che la Corte territoriale ha chiarito che per il decreto di citazione a giudizio era stata tentata la notifica presso il domicilio dichiarato in omissis , dal quale l’imputato era risultato assente il 7 e 10 Aprile 2006 a seguito della temporanea assenza dal domicilio dell’imputato e delle altre persone idonee a ricevere la notifica - ex art. 157 comma 7 cpp, che richiama i soggetti indicati al comma 1 - era stata attivata la procedura di cui all’art. 157 comma 8 cpp, con deposito dell’atto presso la casa comunale e spedizione della raccomandata all’indirizzo dell’imputato. I giudici di Appello hanno convalidato la scelta del primo Giudice, che aveva ritenuto ben compiuta la procedura di notifica, non ravvisando nella fattispecie il caso della notificazione diventata impossibile, che avrebbe legittimato la notifica a mani del difensore ai sensi dell’art. 161 comma 4 cpp, ma solo il caso dell’assenza temporanea. A tal fine la Corte romana ha valorizzato anche l’informazione contenuta nei motivi di appello, per la quale il giudicabile aveva continuato a domiciliare nella suddetta via Smith di Roma dal 2005 in avanti. 1.1 La decisione appare in tal modo in armonia con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale ai fini dell’integrazione dell’impossibilità della notifica, non è sufficiente la semplice attestazione dell’ufficiale giudiziario di non avere trovato l’imputato, ma occorre un quid pluris concretizzato in un accertamento che l’ufficiale giudiziario deve eseguire in loco e solo a seguito del quale,ove l’elezione di domicilio sia mancante o insufficiente o l’imputato risulti essersi trasferito altrove, è possibile attivare la procedura, ex art. 161, comma quarto, c.p.p., di notifica presso - il - difensore - Cass., sez. V, 10.6.2015, Rv 265872, Cass., sez. IV, 4 luglio 2014, Ebbole, m. 260126, Cass., sez. II, 7 dicembre 2011, Martini, m. 252059, Cass., sez. I, 23 settembre 2010, Cannella, m. 248297 . 1.2 Applicando tali principi alla fattispecie in esame, va osservato che i Giudici del secondo grado hanno correttamente ritenuto in modo aderente agli atti ed agli elementi a loro conoscenza che la notifica non fosse diventata impossibile presso il domicilio dichiarato dall’imputato, che all’epoca continuava a abitarvi e, pertanto, non si era trasferito in altro Comune, né l’indicazione presente in atti era insufficiente o divenuta inidonea. 2. Il secondo motivo di ricorso ha posto la questione della fallibilità del piccolo imprenditore, che aveva dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza, peraltro da tempo risolto dalla pronuncia delle SU, Niccoli, che ha stabilito l’insindacabilità da parte del Giudice penale dei presupposti oggettivi e soggettivi della sentenza di fallimento e, quindi, anche della qualità di piccolo imprenditore del fallito, oltre che dello stato di insolvenza dell’impresa. In tal senso, Sez. U, Sentenza n. 19601 del 28/02/2008 Ud. dep. 15/05/2008 Rv. 239398 Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso. 2.1 La successiva giurisprudenza di questa Corte ha confermato in piu’ pronunce il precedente orientamento, potendosi, così, ritenere consolidato l’indirizzo interpretativo adottato dalla Corte territoriale ed infondata la critica proposta dal ricorrente. In senso conforme alla sentenza Niccoli, infatti, si sono espresse Sez. 5, Sentenza n. 47017 del 08/07/2011 Ud. dep. 20/12/2011 Rv. 243160 Sez. 5 Sentenza n. 40404 del 08/05/2009 Ud dep. 16/10/2009 Rv. 245427 Sez. 5 Sentenza n. 9279 del 08/01/2009 Ud. dep. 02/03/2009 Rv 251446. 2.2 D’altra parte questa Sezione della Corte Suprema si è occupata anche del tema, pure suscitato in ricorso, della retroattività della legge piu’ favorevole, tramite due decisioni, che hanno giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150 del D.Lgs. n. 5 del 2006 nella parte in cui prevedeva, alla data di entrata in vigore della normativa e per i ricorsi già presentati,che potesse essere emessa la sentenza di fallimento nei confronti di soggetti, quali i piccoli imprenditori, che, in applicazione della nuova normativa, non sarebbero stati assoggettabili a tale decisione. In tal senso Sez. 5 Sent. 19889 del 24/10/2013 Ud. dep. 14/05/2014 Rv. 259837 In tema di reati di bancarotta, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 150 del D.Lgs. n. 5 del 2006, secondo cui i ricorsi e le procedure fallimentari pendenti al momento della entrata in vigore del decreto indicato continuano ad essere definiti secondo la legge anteriore, nella parte in cui consente, in relazione ai ricorsi già presentati, la pronuncia dichiarativa di fallimento nei confronti di soggetti che, in applicazione del nuovo regime, non sarebbero assoggettabili a tale tipo di decisione, non rinvenendosi alcuna disparità di trattamento tra colui che, in base alla precedente normativa, si trovava in condizione di essere dichiarato fallito, e colui che, a seguito della disciplina sopravvenuta, non lo è piu’, posto che nella struttura delle fattispecie previste dagli artt. 216 ss. della legge fallimentare la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale e non per i fatti con essa accertati. In senso conforme, Sez. 5, Sentenza n. 44838 del 11/07/2014 Ud. dep. 27/10/2014 Rv. 261309. In base ai principi che sono stati esposti, e che in questa sentenza si confermano, le doglianze proposte in ricorso devono essere respinte. 3. Il terzo motivo di ricorso è ripetitivo dell’identico motivo di appello e non si è confrontato con la chiara risposta fornita dalla sentenza impugnata sulla già invocata derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice, che ha sottolineato come la ditta del giudicabile sembrava aver operato al solo scopo di acquisire merci senza pagarle, così ponendo logicamente in luce l’intento fraudolento di costui, incompatibile con l’ipotesi di cui all’art. 217 comma secondo Legge Fall. 4. Le censure contenute nell’ultimo motivo sono state svolte sulla valutazione discrezionale inerente il trattamento sanzionatorio dei Giudici del merito in particolare la motivazione criticata è stata, invece, corretta in diritto e congrua in fatto, avendo negato le attenuanti generiche in considerazione dei plurimi precedenti dell’imputato, nonché l’attenuante del danno tenue a causa della piu’ che consistente entità del passivo fallimentare, ammontante ad oltre 300milioni di lire. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.