Taglia il pallone ai bambini che giocano in cortile: esclusa l’offensività della condotta

Il reato di violenza privata, disciplinato dall’art. 610 c.p., può dirsi integrato solo laddove la minaccia o violenza posta in essere dall’agente determini una perdita o una riduzione sensibile della capacità di autodeterminarsi del soggetto passivo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1786/17 depositata il 16 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Salerno condannava l’imputato per atti persecutori per le reiterate minacce, aggressioni ed ingiurie rivolte ad alcuni bambini mentre giocavano nel cortile condominiale, arrivando fino a tagliare con un coltello il pallone utilizzato dai fanciulli. La Corte d’appello riqualificava l’imputazione come violenza privata, riducendo la pena da 4 a 2 mesi di reclusione. L’imputato ricorre per la cassazione della sentenza deducendo la violazione dell’art. 610 c.p. in quanto la sua condotta mirava a far rispettare il regolamento condominiale che vieta di giocare a pallone in certe ore della giornata e dunque non sussisteva l’elemento del timore ingenerato nei minori. Con ulteriore motivo, lamenta l’omessa valutazione della richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Violenza privata e tutela della libertà individuale. Esaminando la struttura della fattispecie della violenza privata descritta dall’art. 610 c.p., la Corte ribadisce che, ai fini della configurazione di tale reato, è necessario soffermarsi sull’idoneità della minaccia o violenza ad ottenere l’effetto di costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa . Considerando che l’oggetto tutelato dalla norma è la libertà individuale, quale possibilità di determinarsi spontaneamente, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, ai fini della rilevanza penale, la violenza o minaccia perpetrata dell’agente deve determinare una perdita o una riduzione sensibile della capacità di autodeterminarsi del soggetto passivo. Non è dunque riconducibile alla fattispecie penale ogni forma di violenza o minaccia ma solo quella concretamente idonea a limitare la libertà di movimento della vittima o ad influenzare significativamente il processo di formazione della sua volontà. Esclusa l’offensività della condotta. In conclusione il Collegio esclude che il caso di specie possa essere ricondotto al reato contestato posto che la condotta del ricorrente era motivata, come affermato dallo stesso capo d’imputazione, dal rispetto del regolamento condominiale i bambini infatti, seppur temporaneamente allontanati dal cortile, rimanevano liberi di tornare a giocare in altri momenti della giornata. La sentenza impugnata viene quindi annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 settembre 2016 – 16 gennaio 2017, n. 1786 Presidente Savani – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10 maggio 2012, il Tribunale di Salerno condannava P.M. alla pena di quattro mesi di reclusione per il delitto di atti persecutori, perché reiteratamente minacciava, aggrediva ed ingiuriava alcuni minorenni che facevano rumori nel cortile condominiale giocando con un pallone, intimando loro di non arrecare disturbo ed altresì tagliando con un coltello i palloni con i quali i bambini giocavano. La Corte d’appello di Salerno, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione di primo grado riqualificava il fatto contestato come delitto di violenza privata, riducendo la pena a due mesi di reclusione la Corte evidenziava che i bambini, impauriti per effetto del comportamento tenuto dall’imputato, spesso si vedevano costretti a rientrare in casa o scendevano nel cortile evitando di giocare con la palla. 2. Propone ricorso per cassazione personalmente imputato, articolando due motivi. 2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera b ed e , c.p.p., in relazione all’art. 610 c.p., poiché la condotta dell’imputato era in definitiva orientata a far rispettare il regolamento condominiale, il quale prevedeva il divieto di giocare a pallone durante certi orari della giornata e, comunque, i minori non avevano paura del ricorrente, tanto da continuare a scendere nel piazzale dello stabile e continuare a giocare. 2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera e , c.p.p., in relazione alla richiesta della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, pur richieste in sede di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1 Preso atto che non è in discussione lo sviluppo degli accadimenti, mette conto soffermare l’attenzione sulla idoneità della minaccia, o violenza, spiegata, nella specie, dall’imputato per la determinazione dell’evento contemplato dall’art. 610 c.p 1.2 È noto che l’oggetto di tutela del reato in questione è dato dalla libertà individuale, intesa come possibilità di determinarsi spontaneamente, secondo motivi propri. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’obiettività giuridica del delitto di violenza privata consiste nella tutela della libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014 - dep. 16/01/2015, C, Rv. 26272701 perché attinga la soglia del penalmente rilevante, però, la violenza o la minaccia deve determinare una perdita o riduzione sensibile, da parte del soggetto passivo, della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà Sez. 5, n. 3562 del 09/12/2014. - dep. 26/01/2015, Lillia, Rv. 262848 . Non ogni forma di violenza o minaccia, quindi, riconduce alla fattispecie dell’art. 610 c.p., ma solo quella idonea - in base alla circostanze concrete a limitare la libertà di movimento della vittima o influenzare significativamente il processo di formazione della volontà, incidendo su interessi sensibili del coartato. A tanto conduce sia il principio di offensività, sia l’esigenza di confinare nel giuridicamente indifferente i comportamenti costituenti violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, inidonei - pur tuttavia - a rappresentare un reale elemento di turbamento per il soggetto passivo. 1.3 Alla luce di tali criteri, deve escludersi nella fattispecie concreta la sussistenza del reato contestato, poiché la condotta del P. era motivata, secondo lo stesso capo di imputazione, dal rispetto delle regole condominiali e se anche temporaneamente faceva allontanare i minori, non impediva loro di riprendere i giochi che disturbavano la quiete del P. . 2. In conclusione, escluso il carattere offensivo della condotta incriminata, la impugnata sentenza va annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.