La Suprema Corte declina la nozione di reato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione in un caso di concorso anomalo

La Cassazione affronta un tema decisamente complesso, caratterizzato dalla compresenza di profili sostanziali, procedurali e penitenziari.

Più in dettaglio, la sentenza n. 1452/2017, si concentra sull’applicabilità del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, quando i reati per i quali è prevista la carcerazione siano ascritti all’imputato a titolo di concorso ex art. 116 c.p A tale approfondimento, accompagna una serie di notazioni sul divieto di riforma peggiorativa della prima pronuncia, con particolare riferimento all’eventualità di nuova qualificazione del fatto, da cui scaturisca una modalità di espiazione della pena più afflittiva. A margine di tali osservazioni, in poche righe, decreta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa. Il caso. Il processo di legittimità riguarda una vicenda particolarmente cruenta. Ad esito del dibattimento di primo grado, la Corte d’Assise di Latina condannava tutti i correi per una serie di delitti, tra i quali il più grave era l’omicidio volontario e tra questi l’imputato, accusato di concorso anomalo, alla pena di 16 anni di reclusione. Dinanzi ai gravami presentati da quest’ultimo e dal Procuratore della Repubblica, la Corte d’Assise d’appello di Roma riqualificava la contestazione, derubricandola ad un disegno criminoso composto da omicidio colposo, minaccia e lesioni come conseguenza di altro reato ed assolvendo il prevenuto dalle restanti imputazioni. In grado di ultima istanza, infine, erano rigettati il ricorso del Procuratore generale – che denunciava violazione di legge processuale, in ordine all’art. 192, comma 3, c.p.p. – e l’impugnazione dell’imputato, ma venivano sussunti i fatti nell’alveo degli artt. 116, 575 e 612 c.p Subentrato il giudicato, quindi, su impulso della Procura competente, era notificato l’ordine di esecuzione per la carcerazione, non ricorrendo, ad avviso del Pubblico Ministero, le condizioni per poterlo sospendere, in attesa di richiesta di misure alternative alla detenzione la Corte capitolina, adita sul punto, confermava l’interpretazione dell’Inquirente. Ricorre per Cassazione avverso tale ordinanza l’imputato, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, poiché, in virtù dell’estraneità del concorrente anomalo alla struttura tipica del reato ostativo, la cui ricorrenza impedirebbe la sospensione dell’ordine di esecuzione, il Pubblico Ministero avrebbe operato una vietata analogia in malam partem error in procedendo , per aver la Corte di merito riformato la pena peggiorando il trattamento in fase esecutiva con la necessità dell’immediato ingresso in carcere, cui far seguire la richiesta di eventuali benefici penitenziari . In via subordinata, inoltre, viene denunciata l’illegittimità costituzionale dell’esegesi del c.d. artt. 656, comma 9, c.p.p. e 4 bis, legge n. 354/1975, confliggente con la funzione rieducativa della pena, nella misura in cui includa nel catalogo dei crimini ostativi nella fattispecie, omicidio volontario il contributo concorsuale anomalo. La Prima Sezione – su parere conforme del Procuratore generale – rigetta il ricorso, previa dichiarazione di infondatezza della dedotta questione di costituzionalità. A questo proposito, infatti, ritiene connotata da corretto esercizio di discrezionalità normativa la scelta del legislatore, che, in ragione della gravità intrinseca del comportamento – pur in un’azione plurisoggettiva – affida all’osservazione in istituto ed all’apprezzamento della magistratura di sorveglianza la possibilità di superare lo sbarramento imposto dalla disposizione di legge speciale. L’iter motivo si mostra organico e lineare, dedicando spazio all’approfondimento della questione principale e relegando alla sua ultima parte l’esame dell’ulteriore doglianza. Trattamento penitenziario e divieto di reformatio in peius. Il Collegio, infatti, in modo breve ed assertivo, spiega come non integri violazione del rituale limite del giudizio di secondo grado l’effetto, pur di certo peggioramento, derivante da una diversa sussunzione del fatto che genera identica pena in concreto, ma diverso – e più grave – regime esecutivo citando, sul punto, Cass., Sez. II Pen., n. 2884/2015, Peverello e altro, RV. 262286 conforme a Cass., Sez. V Pen., 24.11.2005, Cotugno ed altro, RV. 232995 . Il c.d. concorso anomalo. Quanto al punto nodale del giudizio, l’Estensore conclude che la mancata sospensione dell’ordine di esecuzione in ipotesi di condanna per cd. delitto ostativo è atto necessitato ed automatico, anche nei casi di concorso anomalo . Per farlo, passa attraverso una meditata analisi degli elementi costitutivi dell’ipotesi delittuosa sotto il profilo materiale, valorizza il carattere intrinsecamente unitario del concorso, connotato da un dominio finalistico che si astrae dal potere che ciascuno può espletare nella fase di consumazione da un punto di vista soggettivo, poi, ritiene il dolo che si esplichi rispetto allo scopo comune perseguito dai concorrenti, con un nesso psicologico che continua a persistere tra condotta ed evento ulteriore, di cui risponde anche chi non l’abbia direttamente voluto. La sanzione più lieve che punisce tali condotte, infatti, non si correla ad un imputazione a titolo di colpa – anche solo in forma minore – ma alla previsione di una circostanza differente l’essere dichiarati responsabili, per l’appunto, per un evento diverso da quello voluto . La nozione di pericolosità sociale connessa alle due norme da applicare, peraltro, risulta costruita diversamente mentre in relazione all’art. 656 del codice di rito la prognosi si svolge su un piano puramente cognitivo, basato sul mero titolo di reato, nei casi in cui trova applicazione l’art. 4 bis , sono necessarie una serie di verifiche, prerogative della magistratura di sorveglianza, circa l’adeguatezza di misure alternative. Conclusioni. La pronuncia in analisi dipana con chiarezza una tematica di certa rilevanza, sia sotto il profilo dogmatico, sia soprattutto per le sue importanti conseguenze pratiche. Malgrado le motivazioni sembrino tecnicamente ineccepibili, lascia perplessi – riguardo all’attuale produzione normativa – l’intoccabilità di simili automatismi in una materia, come quella esecutiva, in cui l’affidamento alla valutazione concreta della personalità degli interessati dovrebbe essere preferito, sin dall’inizio, ad aprioristiche scelte legislative qui si, per ragioni di carattere costituzionale .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 ottobre 2016 – 12 gennaio 2017, n. 1452 Presidente Vecchio - Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte d’assise d’appello di Roma il 17 dicembre 2015, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta formulata nell’interesse di P.P. , richiesta finalizzata ad ottenere la dichiarazione della natura non ostativa del delitto di omicidio volontario, a titolo di concorso anomalo, in funzione del beneficio della sospensione dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 656 cod. proc. pen., e dell’immediata liberazione del detenuto. Il P. era stato condannato dalla Corte d’assise di Latina alla pena di anni sedici di reclusione. All’esito del giudizio d’appello, su impugnazione del medesimo istante e del Pubblico Ministero, la Corte d’assise d’appello di Roma aveva, tuttavia, riqualificato il delitto di omicidio di cui al capo A in quello di cui agli artt. 589, 586 e 612 cod. pen. Indi aveva ridotto la pena, determinandola in quella di anni tre mesi quattro giorni venti di reclusione ed intervenendo, al pari, sulle sanzioni accessorie. Aveva, infine, assolto il P. stesso dalle residue imputazioni, per non aver commesso il fatto. Questa Corte con sentenza in data 17 novembre 2015 rigettava il ricorso del Procuratore Generale che aveva censurato l’errata applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 192 comma 3 cod. proc. pen. e, riqualificati i fatti ex artt. 116, 575, 612 cod. pen., aveva respinto, altresì, il ricorso proposto dal medesimo P. , ferma restando la pena inflittagli. La Corte d’assise d’appello osservava che nel concorso anomalo la responsabilità dell’agente trovava fondamento nel dolo, sia pur correlato ad altro evento, meno grave, ma, comunque, voluto ed avente la potenzialità sul piano obiettivo e su quello psichico, per la prevedibilità ad esso inerente di evolvere nell’evento maggiore. Sarebbe stato, dunque, non possibile ogni parallelismo con l’art. 586 cod. pen. che prevedeva, appunto, la punibilità a titolo di colpa. Riteneva, poi, la Corte territoriale non ricorrente la violazione del divieto di reformatio in peius, poiché, da un lato, aveva presentato ricorso per cassazione anche il Procuratore generale e, dall’altro, l’art. 597 comma 3 cod. proc. pen. stabiliva detto divieto per la sola pena principale. 2. Ricorre per cassazione P.P. a mezzo del difensore di fiducia e premette quanto segue. Il 19 novembre era stata eseguita la notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione, relativo alla sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Roma in data 26 giungo 2014 che, in riforma della sentenza emessa dalla Corte d’assise di Latina il 15 luglio 2013, era passata in giudicato il 17 novembre 2015, a seguito del rigetto del ricorso da parte della Suprema Corte. Il P. , in particolare, era stato riconosciuto colpevole a titolo di concorso anomalo del delitto di omicidio e ritenendo che l’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen. lasciasse persistere il profilo ostativo della fattispecie, non constando i presupposti per la sospensione ex art. 656 cod. proc. pen. si era dato seguito alla sua carcerazione. In questa prospettiva, secondo la Procura generale, il titolo di reato, pur riqualificato, sarebbe stato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione della carcerazione, ex art. 656 cod. proc. pen Con l’incidente di esecuzione proposto, dunque, aveva lamentato il P. che al concorrente anomalo non fossero opponibili gli effetti ostativi previsti dall’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354, effetti che la norma contemplava per i soli concorrenti o autori della fattispecie tipica ex art. 110 cod. pen La riqualificazione operata dalla Suprema Corte aveva effetti interni al processo e non avrebbe determinato la conseguenza ulteriore di porsi come elemento ostativo alla concessione della sospensione della esecuzione dell’ordine di carcerazione. Ciò premesso si duole il ricorrente del vizio della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione all’ordinanza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Roma. Oggetto specifico di scrutinio sarebbe dovuto essere il tema relativo alla vicenda delle esclusioni derivanti dall’art. 656 comma 9 cod. proc. pen. e dall’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354, al fine di accertare se esse si estendessero solo ai concorrenti ex art. 110 cod. pen. nel delitto tipo ed espressamente indicato ovvero anche ai concorrenti cd. anomali, ex art. 116 cod. pen I casi di preclusione all’operatività della sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione erano da ritenere, infatti, tassativi e non sarebbe stato possibile estenderli oltre il testo della norma, attraverso percorsi di lettura analogica in malam partem. La stessa rubrica dell’art. 116 cod. pen. attestava che non si potesse recuperare all’ambito ostativo dell’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354 la categoria del concorso anomalo. Ciò perché l’istituto disciplina l’ipotesi del reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti. Questo aspetto attestava, nella prospettiva del ricorrente, l’estraneità del concorrente anomalo, alla struttura del fatto ostativo, imputatogli in ragione del solo collegamento causale. La presunzione di pericolosità sottesa al meccanismo di esclusione di cui all’art. 656 comma 9 cod. proc. pen. non avrebbe trovato logica applicazione nelle ipotesi di concorso anomalo, in cui il concorrente stesso non aveva voluto il delitto diverso realizzato dagli altri compartecipi. La stessa Corte costituzionale sentenza n. 42 del 13 maggio 1965 aveva avuto modo di precisare che la responsabilità del concorrente si giustificava nei soli casi in cui il fatto diverso potesse essere considerato uno sviluppo logicamente prevedibile del reato oggetto del programma criminoso. Osserva, pertanto, il P. che la responsabilità prevista dall’istituto in esame era sostanzialmente colposa e che postulava mancanza di volontà rispetto all’evento diverso, oltre alla prevedibilità della commissione del reato ulteriore ed alla violazione della regola cautelare di affidarsi ad una condotta di per sé non controllabile. Il diverso coefficiente di pericolosità attestato dai due stati soggettivi del dolo e della colpa fondava la ragione per la quale alcun delitto colposo era incluso nella categoria delle fattispecie ostative, ex art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Da ciò l’irragionevolezza di una interpretazione che avesse suggerito di ritenere compresi, nella categoria, anche delitti imputati sulla scorta della mera dinamica causale e che avessero seguito meccanismi di natura colposa. In questa logica è stata avanzata, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale degli artt. 656 comma 9 cod. proc. pen. e 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354 in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. per la violazione della funzione rieducativa della pena. In particolare, la struttura delle fattispecie ostative, che compongono il catalogo dei delitti inseriti nell’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354 delinea un sistema cd. per fasce. Il delitto di omicidio, che rientra in quelli di cd. terza fascia, è ritenuto una figura al cospetto della quale le esigenze di sicurezza sociale sono stimate prevalenti e rispetto al quale si richiede che si acquisisca la prova della mancanza di collegamento con la criminalità organizzata. La questione di irragionevolezza costituzionale, dunque, risulterebbe rilevante e non manifestamente infondata per l’ipotesi in cui si dovesse ritenere incluso nelle ipotesi di cui all’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354 anche quella d’un omicidio ascritto in cd concorso anomalo. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 597 n. 3 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione. La Corte d’assise d’appello, sulla questione del possibile divieto di reformatio in peius, si era posta in maniera non corretta. La questione era relativa al fatto che mentre il giudice del merito aveva ricondotto la fattispecie all’art. 586 cod. pen., ai fini del trattamento sanzionatorio, a fronte della diversa qualificazione ex art. 116, 575 cod. pen. da parte del giudice di legittimità la Corte d’assise d’appello in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva erroneamente ritenuto che l’art. 597 cod. proc. pen. limitasse il divieto di riforma peggiorativa alla sola pena intesa in senso quantitativo. Si sarebbe dovuto ribadire, piuttosto, che dall’impugnazione dell’imputato non sarebbe potuto derivare alcun effetto pregiudizievole. La riqualificazione del reato da parte del giudice dell’impugnazione avrebbe avuto rilievo solo interno al processo. La decisione della Suprema Corte che aveva respinto il ricorso del P.G. e dell’imputato aveva aggiunto l’espressione ferma la pena , con la conseguenza non solo di ribadirne l’intangibilità quantitativa, ma anche qualitativa, estesa a tutti gli effetti ad essa connessi. 3. Nell’interesse di P.P. il 19-9-2016 è stata depositata memoria di replica. Si è, in particolare, riportato l’orientamento espresso da Cass. 18-3-2016, n. 11595, per ribadire la natura del concorso cd. anomalo e per sottolineare la fondatezza del ricorso proposto. Si è esplicitato, ancora, il tema del divieto di reformatio in peius, per spiegare che, se l’imputato non avesse interposto impugnazione, il capo della sentenza non impugnato autonomamente dal Procuratore Generale sarebbe stato sottratto alla cognizione della Suprema Corte, cui sarebbe stata, altresì, preclusa ogni possibilità di intervento sulla qualificazione giuridica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va respinto. 1.1. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che il rinvio previsto dall’art. 656 cod. proc. pen., comma 9, lett. a ai delitti di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis è funzionale alla sola incorporazione dei reati per i quali la sospensione non può essere disposta, senza ovviamente recepire i presupposti di applicabilità della norma richiamata Cass., Sez. 3, 26 marzo 2004, n. 26832, rv. 229054 Cass., Sez. 1, 16 maggio 2006, n. 19924, rv. 234264 . Nella decisione si è anche spiegato che a nulla rilevano la concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 116 cod. pen., comma 2, né il giudizio di bilanciamento delle attenuanti stesse sulle aggravanti Sez. 1, Sentenza n. 11036 udienza del 2/02/2010 dep. 23/03/2010, non massimata . 1.2. La pronuncia da ultimo richiamata, pur relativa a fatto diverso, condivide, in parte, il nucleo centrale della questione giuridica qui affrontata. Essa afferisce, appunto, al rapporto tra il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione ed il reato cd. ostativo, imputato, tuttavia, a titolo di concorso anomalo, ex art. 116 cod. pen. 1.3. Deve premettersi che il concorso di persone, in punto giuridico, risulta una categoria che si assimila ad un giudizio di relazione. Esso si svolge, essenzialmente, in ragione della rilevanza del contributo offerto al fatto da ciascuno dei singoli partecipi. Pur non cogliendo nel segno la costruzione della natura cd. accessoria o condizionale della partecipazione, preme annotare che il contributo del singolo alla fattispecie plurisogettiva, nella dogmatica dell’azione, non rileva in sé, ma in funzione dei contributi altrui, cui si salda, in linea causale, generando un’entità nuova e diversa che struttura, appunto, l’essenza dell’intera azione di concorso. Lo stretto legame che avvince i contributi dei singoli concorrenti non comporta, d’altro canto, una diversificazione delle fattispecie plurisoggettive, ma concretizza una figura concorsuale unica, di cui rispondono, in maniera paritaria, tutti i concorrenti come fatto proprio . In ciò sta il carattere intrinsecamente unitario dell’azione di concorso. Ad essa si affianca l’altro aspetto del fatto collettivo che non si esaurisce nel solo ambito causale e che si fonda, parallelamente sul contenuto di natura psicologica, che deve caratterizzare il concorso stesso. Il dominio finalistico che permea l’azione plurisoggettiva si astrae dalla volontà del singolo e dal potere che ciascun concorrente può espletare nella fase esecutiva. Ciò perché quel dominio, è evidente, non appartiene in via esclusiva al singolo agente come accade nel fatto monosoggettivo ma diventa espressione d’un agire che risale all’intero gruppo, cui il partecipe si affida, per l’attuazione dello scopo comune, preveduto e voluto. Ciò spiega perché, anche nelle ipotesi di cui agli artt. 117 e 116 cod. pen., non si versi al cospetto di fattispecie plurisoggettive differenziate ed il reato di concorso resti unitario. Il contributo assistito dal dolo attiene allo scopo comune e il dolo stesso, di natura diretta arretra alla condotta collettiva, originariamente voluta e cui ha inteso aderire il singolo concorrente. Non si è, pertanto, al cospetto di plurime e concorrenti forme di reità individuale , percepibili in una distinta valenza ontologica, che si sommano in una fattispecie diversa o che, addirittura danno vita a più figure plurisoggettive, in ragione del numero dei concorrenti e del contributo di ciascuno di essi. Il fatto resta unitario ed anche le eventualità di fattispecie di reato diverso, disciplinate dall’art. 116 cod. pen., continuano a restare nell’ambito del concorso di persone, senza fuoriuscirne, in presenza delle condizioni tracciate dal sistema. Il titolo ulteriore non è imputato sulla scorta della sola eziologia causale, ma in ragione dell’indicata caratteristica dell’azione collettiva, cui si contribuisce e cui risale il relativo dominio funzionale sul fatto, nel cui ambito si può inscrivere la variante individuale. È, dunque, nella particolarità stessa dell’azione plurisoggettiva l’implicazione che siano prevedibili scostamenti e variazioni, rispetto allo scopo comune. L’adesione volontaria ad un progetto che non si è in grado di controllare nel suo dinamismo funzionale non può implicare estraneità per il concorrente che, pur contribuendovi causalmente, abbia voluto altro. In questa logica, dunque, la stessa Corte costituzionale ha ben spiegato che ricorre, comunque, un nesso di collegamento psicologico tra condotta ed evento nelle ipotesi di progressione e di sviluppi prevedibili d’azione, particolarità che rende la disposizione stessa art. 116 cod. pen. compatibile con il precetto superprimario di cui all’art. 27 Cost Ciò, perché il reato diverso rientra, nel concatenarsi dei fatti naturali, in quel logico sviluppo prevedibile del dinamismo dell’azione lesiva plurisoggettiva, dinamismo che attrae il fatto stesso anche al concorrente che non lo abbia voluto con dolo diretto o indiretto, ma che, tuttavia affidandosi all’azione plurima ed aderendo al progetto delittuoso non ne abbia preventivato, nonostante fosse possibile farlo, il suo verificarsi nella fase d’esecuzione. Il fondamento della punibilità torna, allora, alla caratteristica intrinseca dell’azione collettiva ed alla sua peculiarità, oltre che alla specificità del titolo di imputazione, che si collega non alla colpa in senso stretto, ma ad un nesso psicologico che continua a persistere tra azione ed evento ulteriore e diverso, di cui risponde anche il concorrente che non lo abbia direttamente voluto. L’art. 116 cod. pen., dunque, genera una forma di partecipazione anomala, trattata meno severamente dal legislatore, attraverso la previsione di un elemento circostanziale. Si tratta, però di una forma di responsabilità che resta nell’ambito del concorso tipico e che non fuoriesce da quella categoria. Queste prime considerazioni permettono di esaminare il rapporto esistente tra le ipotesi delittuose indicate dall’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354 e richiamate nell’art. 656 commi 5 e 9 cod. proc. pen. e l’eventualità in cui esse traggano scaturigine dalla fattispecie del concorso cd. anomalo. Si è avuto modo di anticipare che le caratteristiche del cd. concorso ex art. 116 cod. pen. non realizzano una fattispecie plurisoggettiva distinta, in ragione del contributo offerto dai singoli concorrenti si resta, piuttosto, nel campo del concorso di persone nel reato e permane, come oggetto di verifica, l’azione collettiva che abbia prodotto l’evento ulteriore e/o maggiore. La tipicità del fatto concorsuale persiste proprio in funzione delle caratteristiche dell’azione collettiva e del contributo che ad essa abbia dato ogni singolo partecipe che pur non abbia voluto il delitto ulteriore. Anche costui concorre nel fatto che integra la cd. variante individuale al piano comune, avendo egli aderito all’azione plurisoggettiva ed avendo voluto quel dominio finalistico che mette capo alla gestione comune in funzione del conseguimento dello scopo unitariamente condiviso. La prevedibilità dell’evento ulteriore, come sviluppo logico, lascia persistere il nesso psicologico tra condotta e fatto ulteriore, mantenendo il contributo atipico nel perimetro del concorso ai sensi dell’art. 116 cod. pen., rispetto alla fattispecie tipica base, cui si aggiunge quella ulteriore che, nel caso di specie - in ragione dell’indicato rapporto tra reati e del giudizio di prevedibilità - continua a rilevare ex art. 575 cod. pen. per tutti i partecipi, ai sensi dell’art. 116 cod. pen In questa logica, pertanto, l’avvenuta lesione del bene protetto dall’incriminazione indicata rileva, indubbiamente, non solo per il ruolo dell’autore e per la pericolosità che egli manifesta, ma anche in ragione della gravità legale della fattispecie stessa, in guisa tale da indurre l’espansione dei suoi effetti ostativi, ex art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354, in capo a tutti i concorrenti in quel delitto, sia che abbiano ruolo di partecipi ordinari sia che concorrano in qualità di partecipi anomali. Si torna, dunque, alla descritta delimitazione della categoria del concorso anomalo, costruito, cioè, dal legislatore non come una forma distinta di partecipazione o come un istituto estraneo alla fattispecie plurisoggettiva, ma come una forma di manifestazione della medesima partecipazione, che risulta dall’azione congiunta anche là dove l’evento ulteriore non sia voluto da tutti , figura che resta irriducibilmente unitaria e nell’ambito del concorso. Ciò posto, si intende la ragione per la quale non ricorre, né un’applicazione analogica in malam partem della disposizione, né un’estensione deteriore dell’interpretazione della medesima norma in esame, che non prevede, appunto, la sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione in ipotesi siffatte. Deve, invero, osservarsi che l’art. 656 commi 5 e 9 cod. proc. pen. risulta norma strettamente collegata alla disposizione richiamata di cui all’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Si prevedono, in particolare, i casi di sospensione dell’ordine stesso ed i relativi divieti , secondo una logica protesa essenzialmente ad evitare accessi all’ambiente carcerario, nelle eventualità in cui sia ipotizzabile che il soggetto potrà beneficiare di misure alternative alla detenzione. In ciò sta la ragione della deroga alla sospensione nei casi in cui, appunto, la condanna sia relativa ad una delle fattispecie ostative di cui all’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Va posto in evidenza che, sia l’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354, che l’art. 656 cod. proc. pen. risultano costruiti sul concetto di pericolosità del singolo, sia pur con la precisazione che detta pericolosità rileva su due piani diversificati, in ragione della diversa norma che deve trovare applicazione. L’ipotesi dell’art. 656 cod. proc. pen. introduce la sospensione dell’esecuzione come frutto di una valutazione puramente cognitiva, in cui non si svolgono verifiche e valutazioni di merito discrezionale essa si innesta sul mero riscontro del delitto per cui v’è stata condanna e sulla aggressione al bene leso dalla condotta. La categoria parallela di cui all’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354, di converso, si fonda su una serie di verifiche, che competono al magistrato di sorveglianza. L’oggetto della cognizione, in certa misura, dal reato risale all’autore ciò spiega la necessità di acquisire informazioni e pareri anche dal C.p.o.s. e la verifica sul persistere dei collegamenti con le realtà devianti . Si comprende, allora, che la mancata sospensione dell’ordine di esecuzione in ipotesi di condanna per delitto cd. ostativo è atto necessitato ed automatico, anche nei casi di concorso anomalo. Rileva, infatti, la condanna per un delitto incluso nel catalogo escludente e la lesione al bene giuridico protetto, cui si è dato causa attraverso la partecipazione ad un’azione collettiva che ha, comunque, determinato l’epilogo, ex art. 116 cod. pen Ogni valutazione sulla pericolosità del soggetto e sulla legittimazione ad accedere ad eventuali misure alternative involge questioni susseguenti che spettano al magistrato di sorveglianza competente. 2. Quanto premesso permette di affrontare l’altra questione, anche prospettata nei motivi di ricorso, che induce il ricorrente a profilare un dubbio di legittimità costituzionale. In primo luogo, non risulta condivisibile la premessa da cui sembra muovere il ragionamento svolto, sul titolo di imputazione dell’evento ulteriore e sul richiamo alla colpa in senso stretto. Si è avuto modo di anticipare e va qui ribadito che la fattispecie di cui all’art. 116 cod. pen. non è recuperabile stricto iure all’imputazione colposa. Si risponde, infatti, del medesimo titolo di reato nella specie art. 575 cod. pen., sia pur beneficiando dell’elemento circostanziale e non della simmetrica figura punita dall’art. 589 cod. pen Né vale qui richiamare la decisione di questa Corte in cui si è affermata l’incompatibilità concettuale dell’art. 116 cod. pen. con il dolo per elaborare un argomento che permetta di recuperare la fattispecie alla categoria dell’imputazione colposa. Basta solo annotare che la decisione evocata risulta resa in relazione a distinta fattispecie, in cui, nel giudizio di merito, si era erroneamente inteso riconoscere il regime della continuazione tra fatto voluto e non voluto ma prevedibile , da parte del cd. concorrente anomalo. Si comprende, come il riferimento all’incompatibilità sia, allora e chiaramente, rivolto all’evento ulteriore ed aggiuntivo e come, soprattutto, esso si saldi concettualmente alla particolarità che, là dove il concorrente abbia voluto, anche indirettamente, l’evento ulteriore, ne risponderebbe a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen. e non in termini attenuati, ai sensi dell’art. 116 cod. pen. Tutto ciò, e l’indicata incompatibilità concettuale , tuttavia, si saldano alla mancata previsione da parte del concorrente anomalo d’un evento prevedibile, secondo un logico sviluppo del decorso causale. È l’evocata mancata previsione, pertanto, a rendere inconciliabile un percorso volto a postulare il medesimo disegno criminoso. Le coordinate tracciate non permettono, allora, di recuperare il ragionamento allo statuto colposo, in senso stretto, né di pretendere che lo scrutinio sul ruolo e la responsabilità del concorrente anomalo si modellino sulla scorta dei principi e dei criteri di accertamento della colpa stessa. Diventa, pertanto, irrilevante il riferimento alla assenza di fatti colposi nel catalogo dei delitti cd. ostativi. Il rilievo è sviluppato in ricorso, per inferirne un’irrazionalità manifesta della presente fattispecie. Va, piuttosto, ribadito che anche il concorso anomalo, sia pur attenuato, è, nella specie, forma di manifestazione del reato di omicidio punito dall’art. 575 cod. pen. e che, dunque, rientra nel catalogo dei fatti ostativi richiamati dall’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Né si apprezzano, in parte qua, profili di irrazionalità che possano indurre a postulare un’illegittimità costituzionale. Si è, infatti, spiegato che il titolo di reato in esame, che assume rilievo ostativo, non è un delitto colposo, in senso stretto, art. 589 cod. pen., 586 cod. pen. ma un’ipotesi di concorso anomalo nell’omicidio doloso. La ratio giustificativa, che ispira l’inclusione della fattispecie nel catalogo dei delitti ostativi, risiede nella particolarità che, al cospetto di gravi eventi delittuosi, il legislatore, secondo una valutazione predefinita, incentrata sulla tipicità della lesione al bene protetto, esclude che si possa addivenire alla sospensione ex art. 656 cod. proc. pen., richiamando, appunto, l’elenco di cui all’art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354. Rilevano, cioè, ed in questi casi, le diverse modalità di lesione al bene protetto e le forme distinte attraverso le quali l’aggressione stessa può essere recata all’oggettività giuridica della fattispecie. In questa logica, dunque, rispetto al delitto di omicidio - che qui interessa - ogni lesione al bene della vita, recuperabile all’art. 575 cod. pen. - sia attraverso azione monosoggettiva, che plurisoggettiva in forma di concorso diretto o anomalo - è inclusa nel catalogo legale d’esclusione. Non occorre ripetere che ciò accade in ragione della pericolosità che si manifesta, sia per effetto dell’adesione ad un’azione collettiva, che abbia programmato ab initio l’evento indicato, sia per l’adesione ad una condotta che lo abbia prodotto, in ragione di una variante individuale, prevedibile come logico sviluppo del piano originario ed alla quale si sia offerto, nonostante quella prevedibile evoluzione, contributo causale. Questa precisazione esclude in radice i dubbi di costituzionalità che sono stati avanzati e, per altro verso, permette di superare anche la questione relativa alla violazione della regola costituzionale di cui all’art. 27, che, a giudizio del ricorrente, determinerebbe una lesione del diritto ad un trattamento rieducativo. Basta qui osservare che il legislatore, nelle ipotesi in esame ed in particolare in quella oggetto di scrutinio, non esclude affatto la possibilità che si possa assicurare una finalità rieducativa attraverso l’accesso alle misure alternative. Piuttosto, traccia un percorso diverso da quello ordinario, ritenendo - attraverso una valutazione, che non appare affatto irrazionale, ma frutto di una scelta che dispiega correttamente l’esercizio della discrezionalità normativa - che, anche nelle ipotesi di concorso anomalo nel delitto di omicidio, per la gravità della condotta che trae genesi dall’azione plurisoggettiva, permangano le condizioni affinché il profilo ostativo - derivante dal tipo di delitto in cui si concorre - possa essere superato unicamente attraverso l’osservazione intramuraria e le valutazioni specifiche che sono rimesse al magistrato di sorveglianza. Così ricostruita la ratio normativa, si intende che la questione di legittimità costituzionale risulti manifestamente infondata e debba essere disattesa. 3. Venendo all’esame della ragione ulteriore di doglianza, relativa all’asserita violazione del divieto di reformatio in peius ed ai riflessi negativi, in sede esecutiva, va rammentato che questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare che, anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto dal giudice dell’appello, quando da essa consegua, ferma restando la pena irrogata, un più grave trattamento penitenziario. Non rientrano, dunque, nel divieto ex art. 597 cod. proc. pen., comma 3, le più gravi modalità di esecuzione della pena stabilite dall’art. 4-bis L. 26 luglio 1975, n. 354, conseguenti alla qualificazione giuridica Sez. 5, n. del 20/04/2005 - dep. 24/11/2005, Cotugno ed altro, Rv. 232995 . Il principio risulta ribadito, anche recentemente, essendosi affermato che, in presenza della sola impugnazione dell’imputato, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto dal giudice dell’appello, quando da essa consegua, ferma restando la pena irrogata, un più grave trattamento penitenziario Sez. 2, sentenza n. 2884 del 16/01/2015 Ud. dep. 22/01/2015 , Peverello e altro, Rv. 262286 . 4. Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.