Praticava aborti illegali a titolo oneroso: medico indagato per concussione

Un ginecologo viene sottoposto a misura cautelare per il reato di concussione, in quanto praticava aborti illegali presso il proprio studio privato a titolo oneroso. È stato infatti ritenuto probabile che i privati, nonostante abbiano acquisito un trattamento preferenziale, si siano venuti a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione assimilabile alla coazione morale di cui all’art. 52, comma 3, c.p. con decisiva incidenza negativa sulla loro capacità di autodeterminazione.

In questo senso la Cassazione con la pronuncia n. 53444/16 del 16 dicembre. Il caso. In relazione alla pratica di aborti illegali eseguiti presso il proprio studio privato, il dirigente medico in servizio presso il reparto di ginecologia di un ospedale si vedeva sostituita la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, in virtù della gravità indiziaria. In particolare, era emerso che l’indagato speculava sui tempi della procedura legale di i.v.g. per prospettare difficoltà e lungaggini, in modo da spingere donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, ad un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio. Ricorre l’indagato per cassazione. Abuso delle qualità e costrizione. Il primo motivo, con cui deduce erronea applicazione dell’art. 317 c.p. e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria, ritenendo che il Tribunale avrebbe omesso di verificare l’esistenza di un abuso delle qualità o delle funzioni causalmente efficiente rispetto all’ipotizzata costrizione, è infondato. Le SSUU, con la pronuncia n. 12228/2014 , hanno osservato che, per assicurare la corretta qualificazione del fatto come concussione piuttosto che come induzione indebita, non mancano i casi in cui non si possa prescindere dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione coinvolti nel conflitto decisionale. Può accadere che il privato, nonostante abbia acquisito un trattamento preferenziale, si sia venuto a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione assimilabile alla coazione morale di cui all’art. 52, comma 3, c.p. con decisiva incidenza negativa sulla sua capacità di autodeterminazione. Il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e nella sua staticità, di individuale il reale disvalore di vicende che occupano la cd. zona grigia”. Il detto parametro, pertanto, deve essere opportunamente calibrato, all’esito di una puntuale ed approfondiva valutazione in fatto, sulla specificità della vicenda concreta, tenendo conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina. Tanto è imposto dalla natura proteiforme di particolari situazioni, nelle quali l’ extraneus , per effetto dell’abuso posto in essere dal pubblico agente, può contestualmente evitare un danno ingiusto ed acquisire un indebito vantaggio ovvero, pur di fronte ad un apparente vantaggio, subisce comunque una coartazione, sicché, per scongiurare mere presunzioni o inaffidabili automatismi, occorre apprezzare il registro comunicativo nei suoi contenuti sostanziali, rapportati logicamente all’insieme dei dati di fatto disponibili . La pronuncia impugnata ha desunto la condotta costrittiva del ricorrente individuando la strumentalizzazione della propria posizione in ambito ospedaliero essendo uno dei 2 sanitari non obiettori con la prospettazione di lungaggini nella pratica standard ed ostacoli organizzativi - tali ostacoli erano insussistenti, in quanto il protocollo operativo consentiva una certa elasticità al fine di venire incontro alle variegate esigenze delle gestanti. Inoltre, si rilevava la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, messa con le spalle al muro”, atteso che l’alterativa rispetto all’aborto illegale era l’esposizione al rischio di un disvelamento dello stato di gravidanza al partner o ai parenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 novembre – 16 dicembre 2016, n. 53444 Presidente Rotundo – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Messina - a seguito di istanza ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse dell’indagato C.G. avverso la ordinanza emessa il 13.5.2016 dal G.I.P. del Tribunale di Messina con la quale è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere - in parziale riforma di detto provvedimento, ha sostituito la predetta misura con quella degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, confermando la gravità indiziaria in relazione ai reati di cui ai capi A articolo 81 cpv.,110,317 cod. pen. , B articolo 81 cpv.,110,314 cod. pen. , D articolo 110,317 cod. pen. ed F articolo 56,317 cod. pen. , in relazione alla pratica di aborti illegali eseguiti presso lo studio privato del C. , dirigente medico in servizio presso il Reparto di ginecologia dell’Ospedale , in concorso con L.G. , dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell’Ospedale . In particolare, era emerso che il C. speculava sui tempi della procedura legale di i.v.g. per prospettare difficoltà e lungaggini, in modo da spingere donne gravide, che avevano necessità di abortire in tempi contenuti, ad un aborto illegale a pagamento presso il proprio studio. 2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, deducendo 2.1. Erronea applicazione dell’art. 317 cod. pen. e mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria relativa ai capi A ,D ed F . Il Tribunale avrebbe omesso di verificare l’esistenza di un abuso delle qualità o delle funzioni - e non già di soli doveri - in capo al ricorrente causalmente efficiente rispetto alla ipotizzata costrizione. Anche di quest’ultima sarebbe affermata la sussistenza senza motivazione, posto che la interruzione di gravidanza in sede privata e dietro pagamento non era stata influenzata dall’indagato ma frutto di scelte personali dettate non da costrizione ma da motivi personali. 2.2. Violazione degli articolo 317 e 640 cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione all’omessa derubricazione dei fatti nell’ambito del delitto di truffa, ancorché aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 cod. pen Nella specie, invero, l’indagato avrebbe prospettato alle donne false circostanze circa le prassi ospedaliere al fine di instradarle all’aborto nel suo studio privato e la risposta dal Tribunale risulterebbe apodittica. 2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta gravità indiziaria relativa al reato di peculato, essendosi omesso di considerare la mancanza di disponibilità in capo all’indagato dei farmaci utilizzati oltre che l’assenza di intrinseco rilievo economico di quanto oggetto di appropriazione nonché di incidenza di quest’ultima sulla funzionalità dell’ufficio. 2.4. Violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo - in considerazione della mutata situazione - ricorrente né il pericolo di reiterazione della condotta criminosa né quello di inquinamento probatorio. 2.5. Violazione dell’art. 270 cod. proc. pen. in relazione alla dedotta inutilizzabilità del compendio intercettivo, non sussistendo alcuna connessione, al di là di quella meramente soggettiva, tra la presunta falsità nella redazione di una certificazione sanitaria e le attuali ipotesi contestate, rispetto alle quali sarebbe dovuta essere effettuata una nuova iscrizione e non un aggiornamento, possibile solo nel caso di una diversa qualificazione giuridica dei fatti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Preliminare è la disamina dell’ultimo motivo di ricorso, il quale si palesa manifestamente infondato. 2.1. Costituisce jus receptum l’orientamento secondo il quale in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento per uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili, senza alcun limite, per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ab origine , l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M. e altri, Rv. 265757 . inoltre, è stato condivisibilmente affermato che, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270, comma primo, cod. proc. pen., occorre far riferimento ad una nozione sostanziale di diverso procedimento , secondo cui la diversità va collegata al dato dell’insussistenza, tra i due fatti - reato, storicamente differenti, di un nesso ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., o di tipo investigativo, e, quindi, all’esistenza di un collegamento meramente fattuale ed occasionale Sez. 3, n. 2608 del 05/11/2015, Pulvirenti e altri, Rv. 266423 . 2.2. Osserva la Corte che il Tribunale, in relazione alla analoga doglianza propostagli, si è posto nell’alveo di legittimità richiamato, rigettando la eccezione sul corretto rilievo che si tratta di captazioni svolte nell’ambito del medesimo procedimento che aveva ad oggetto l’ipotesi di cui all’art. 479 cod. pen. relativa alla falsa documentazione sanitaria volta a documentare un procurato aborto quale conseguenza di un sinistro stradale fasullo che aveva coinvolto una rumena. 3. Il primo motivo è infondato. 3.1. Le S.U., nella nota sentenza n. 12228 del 2014 Maldera, hanno osservato che non mancano casi in cui, per assicurare la corretta qualificazione giuridica del fatto come concussione piuttosto che come induzione indebita, non si può prescindere dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione. Può accadere, infatti, che il privato, nonostante abbia conseguito, prestando acquiescenza all’indebita richiesta del pubblico agente, un trattamento preferenziale, si sia venuto sostanzialmente a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione, assimilabile alla coazione morale di cui all’art. 54, comma terzo, cod. pen., con conseguente decisiva incidenza negativa sulla sua libertà di autodeterminazione. Il riferimento è a quelle situazioni in cui l’ extraneus , attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato si pensi al bene vita, posto in pericolo da una grave patologia oppure, di fronte ad un messaggio comunque per lui pregiudizievole e al di là del danno ingiusto o giusto preannunciato, sacrifica, con la prestazione indebita, un bene strettamente personale di particolare valore libertà sessuale , e ciò in spregio a qualsiasi criterio di proporzionalità, il che finisce con l’escludere lo stesso concetto di vantaggio indebito . . Pertanto, secondo l’autorevole decisione Il criterio del danno-vantaggio non sempre consente, se isolatamente considerato nella sua nettezza e nella sua staticità, di individuare il reale disvalore di vicende che occupano la c.d. zona grigia . Il detto parametro, pertanto, deve essere opportunamente calibrato, all’esito di una puntuale ed approfondita valutazione in fatto, sulla specificità della vicenda concreta, tenendo conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina. Tanto è imposto dalla natura proteiforme di particolari situazioni, nelle quali l’ extraneus , per effetto dell’abuso posto in essere dal pubblico agente, può contestualmente evitare un danno ingiusto ed acquisire un indebito vantaggio ovvero, pur di fronte ad un apparente vantaggio, subisce comunque una coartazione, sicché, per scongiurare mere presunzioni o inaffidabili automatismi, occorre apprezzare il registro comunicativo nei suoi contenuti sostanziali, rapportati logicamente all’insieme dei dati di fatto disponibili . 3.2. Il provvedimento impugnato ha desunto la condotta costrittiva del ricorrente individuando, per ognuna delle vicende passate in disamina, la strumentalizzazione della propria nota posizione in ambito ospedaliero - egli era uno dei due sanitari non obiettori dell’Ospedale omissis presso il quale funzionava un ambulatorio di interruzione volontaria della gravidanza - con la prospettazione di lungaggini nella pratica standard ed ostacoli organizzativi. Questi, secondo il Primario CA.Se. , erano insussistenti in quanto il protocollo operativo consentiva una certa elasticità al fine di venire incontro alle variegate esigenze delle gestanti. Dall’altro lato, il provvedimento ha individuato la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, messa con le spalle al muro , atteso che l’alternativa rispetto all’aborto illegale a titolo oneroso era quella di esporsi al rischio - palesato dal ricorrente - di un disvelamento dello stato di gravidanza con conseguente compromissione del rapporto con il partner, di reazioni da parte dei parenti e/o di impossibilità di abortire nel termine legale di 90 giorni. 3.3. Ritiene la Corte che la decisione impugnata si è posta all’interno del parametro di legittimità ricordato attraverso una puntuale ricostruzione dei termini rilevanti di ciascuna delle vicende esaminate modalità dell’approccio, mancanza di effettivi margini di trattativa sulla somma pretesa, grave difficoltà psicologica nella quale si trovavano le pazienti, la situazione necessitata che le spingeva ad accedere alla richiesta indebita con la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, così correttamente giustificando l’abuso costrittivo del ricorrente finalizzato alla realizzazione delle remunerative illecite pratiche abortive. 3.4. Pertanto, la deduzione difensiva è manifestamente infondata in relazione alla dedotta mancanza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato e generica ed in fatto allorquando fa leva sulla riconducibilità a motivi personali della scelta di rivolgersi allo studio privato del ricorrente. 4. Il secondo motivo è manifestamente infondato. 4.1. La distinzione tra il delitto di concussione per induzione e quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa e la qualità di pubblico ufficiale concorre solo in via accessoria a condizionare la volontà del soggetto passivo Sez. 6, n. 20195 del 22/04/2009, Golino, Rv. 243842 . 4.2. Del tutto corretta è, quindi, la esclusa riqualificazione del fatti opposta dal provvedimento impugnato sul rilievo secondo il quale le dazioni di denaro erano conseguenza della strumentalizzazione da parte del ricorrente dei propri poteri e funzioni, nella consapevolezza - da parte delle gestanti - che le somme dovute erano il prezzo dell’illecita alternativa privata alla quale erano costrette. 5. Il terzo motivo è manifestamente infondato, quando non generico ed in fatto, rispetto alla accertata provenienza pubblica dei farmaci utilizzati nel corso degli interventi clandestini, siano anche essi tra quelli lasciati presso l’Ospedale prima del trasferimento del reparto di ginecologia all’ospedale . , e tenuto conto del consapevole accordo tra il ricorrente ed il correo a riguardo v. captazione del 3 febbraio 2016 . 6. Il quarto motivo è generico in relazione ad un meramente asserito mutamento della situazione. 7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.