Non si può “parcellizzare” la pena detentiva per far accedere il detenuto ad un programma di recupero

In tema di reati legati al consumo e spaccio di stupefacenti, la pericolosità sociale insita nel soggetto che ha commesso determinati reati, piuttosto che altri, funge da limite alla sua ammissione all’ affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari”.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 51882/16 depositata il 5 dicembre. Il caso. Un condannato a più di quattro anni di reclusione per due reati connessi allo spaccio di droga veniva ammesso all’ affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari” ex art. 94, d.P.R. n. 309/90. Tra i requisiti del summenzionato articolo vi è quello per cui la pena dell’affidando non può essere superiore ai quattro anni, se quest’ultimo è stato condannato per aver commesso uno dei reati di cui all’art. 4- bis della l. n. 354/1975. Il Tribunale di Sorveglianza, però, riteneva di poter escludere dal computo il periodo di espiazione già patito e il presofferto, facendo quindi scendere la pena espianda residua a poco meno di tre anni e sciogliendo il cumulo in modo che il delitto ostativo risultasse di pena inferiore a quattro anni di detenzione . Avverso l’ordinanza che decideva per l’ammissione del condannato al programma di recupero, proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica, sostenendo che tale parcellizzazione delle singole pene avrebbe condotto a risultati paradossali , e che costituiva comunque un’erronea applicazione della legge. La ratio della previsione legislativa. La Corte di Cassazione ritiene che la doglianza del Procuratore Generale sia fondata. Infatti, la commissione dei reati previsti dal summenzionato art. 4- bis , di cui il condannato era responsabile e a cui è ricollegato un regime deteriore nell’ammissibilità o meno al programma di recupero si passa da 6 anni a 4 anni di pena massima , connota il reo come soggetto maggiormente pericoloso”. Nel caso di specie, il Tribunale, effettuando lo scioglimento del cumulo in un modo che la Suprema Corte ha definito peculiare , ha quindi commesso un errore di applicazione della legge. Per questi motivi la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Sorveglianza per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 settembre – 5 dicembre 2016, n. 51882 Presidente Di Tomassi – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 13.08.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ammetteva F.P. all'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari ex art. 94 del DPR n° 309/1990. Precisava il giudice che il F. stava espiando una pena che comprendeva due titoli, e cioè la condanna di cui alla sentenza della Corte di Appello di Cagliari del 15.05.2014 anche per il delitto di cui all'art. 74 del DPR n° 309/1990 e la condanna di cui alla sentenza del Tribunale di Tempio Pausania del 04.02.2015 risulta dall'ordinanza che, in ordine alla prima sentenza, la pena relativa al delitto ostativo era stata rideterminata in anni quattro, mesi sei e giorni venti di reclusione mentre la pena di cui alla seconda sentenza era stata determinata in tre mesi di reclusione in aumento a quella della prima computato il presofferto e il periodo di espiazione patito, il giudice rilevava che la pena espianda residua era di poco superiore ai quattro anni, di cui poco meno di tre anni era la porzione di pena riferibile al delitto di cui all'art. 74 del DPR n° 309/1990 così il giudice decideva di sciogliere il cumulo in modo che il delitto ostativo risultasse di pena inferiore a quattro anni di detenzione e, considerato che la pena complessiva era inferiore ad anni sei di reclusione, riteneva ammissibile l'istanza ciò per evitare disuguaglianze tra detenuti che espiavano cumuli di pene e detenuti che espiavano condanne separate nonché per attuare il trattamento di favore legislativo riservato ai tossicodipendenti. Avverso detta ordinanza propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Sezione Distaccata di Sassari, deducendo, con motivo unico ex art. 606, comma 1 lett. b , cod.proc.pen. l'erronea applicazione di legge si sostiene che l'istanza andava considerata inammissibile, poiché la pena complessiva - comprendente un delitto ricompreso nel novero di cui all'art. 4 bis O.P. - era comunque superiore ai quattro anni di detenzione e che, in ogni caso, la scindibilità del cumulo poteva sì consentire l'imputazione della pena relativa ad un certo delitto alla sanzione già espiata, ma non stabilire limiti di ammissione differenti in relazione alle diverse condanne, altrimenti la parcellizzazione delle singole pene avrebbe condotto a risultati paradossali. Il P.G. chiede l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto L'ordinanza impugnata deve essere annullata. Si è detto che l'ordinanza impugnata ha ritenuto ammissibile l'istanza avanzata da F.P. ed ha concesso al medesimo la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari ex art. 94 del DPR n° 309/1990 per ottenere detto risultato atteso che la pena complessiva residua era superiore ai quattro anni , il giudice ha deciso di sciogliere il cumulo in espiazione in guisa tale da fare in modo che il delitto ostativo in esso compreso e cioè il delitto di cui all'art. 74 del DPR n° 309/1990 risultasse di pena inferiore a quattro anni di detenzione così, rilevato che la pena complessiva era inferiore ai anni sei di reclusione, riteneva ammissibile l'istanza medesima. Ma la doglianza del Procuratore Generale ricorrente è fondata. Premesso che, nella fattispecie, non ha rilievo la tematica - pure sviluppata nell'ordinanza impugnata - relativa alla scindibilità o meno del cumulo nei casi di presenza di un reato ostativo la cui pena sia stata espiata atteso che la motivazione ed il ricorso danno atto che la pena derivante dalla violazione dell'art. 74 dei DPR n° 309/1990 non era stata ancora espiata , va detto che il D.P.R. n. 309 del 1990, al suo art. 94 gradua la applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale nei casi particolari di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti in trattamento o che intendano sottoporsi al programma di recupero, in funzione della misura della pena detentiva inflitta o di quella residua espianda e, in proposito, stabilisce, come condizione di ammissibilità della misura alternativa, che la ridetta pena deve essere contenuta nel limite di sei anni ovvero - più rigorosamente - di quattro anni, se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e successive modificazioni. Il criterio distintivo stabilito dal Legislatore è, pertanto, costituito dalla inclusione nel titolo esecutivo di alcuno dei reati previsti dall'art. 4 bis O.P. La disciplina positiva, per il riferimento operato all'insieme dei reati compresi nel titolo esecutivo e in funzione della condizione che anche uno solo di essi corrisponda ad alcuno di quelli indicati dall'art. 4 bis O.P., comporta che detti reati assumono rilievo in quanto concorrenti alla formazione del cumulo, oggetto del titolo in esecuzione. La disposizione è testuale e risponde alla esigenza di limitare, più restrittivamente, la applicazione della misura alternativa coi requisito temporale maggiormente rigoroso, alternativamente previsto , in funzione della maggiore pericolosità dei condannati, normativamente apprezzata sulla base, per l'appunto, del criterio indicato Sez. 1, n° 41322 del 07.10.2009, Rv 245057 . Pertanto, il tema argomentativo dell'ordinanza impugnata è stato sviluppato in modo non conforme alla normativa qualora il titolo esecutivo comprenda anche un reato c.d. ostativo , la soglia per la concessione dei beneficio penitenziario de quo è quella di complessivi quattro anni di detenzione si tratta di un riferimento testuale, violato dalla motivazione del provvedimento impugnato, che, mediante un peculiare scioglimento del cumulo, giunge alla conclusione di parcellizzare le condanne per aggirare i limiti stabiliti dall'art. 94 del DPR n° 309/1990 e di ipotizzare termini di ammissione differenti in relazione alle diverse condanne di un medesimo cumulo in espiazione. Per le ragioni sopra esposte si impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Sassari che, uniformandosi ai principi sopra enunciati, dovrà verificare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del condannato alla misura alternativa dell'affidamento terapeutico D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Sassari. Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.