Malanimo e rimessione: non bastano uno o due processi ad andare oltre l’irrilevanza dell’astio processuale

L’istituto della rimessione ha natura eccezionale, derogando al principio costituzionale della precostituzione del giudice naturale e, coma tale, comporta la necessità di una lettura restrittiva delle disposizioni che lo regolano.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 50321/16 depositata il 28 novembre, ha inoltre chiarito che la grave situazione locale deve intendersi come fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo e, dall’altro, che i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa. Il caso. Un avvocato formulava avanti la Suprema Corte istanza di rimessione del processo fissato a suo carico avanti al giudice di primo grado, motivando detta richiesta sulla scorta di personali vicende giudiziarie sofferte precedentemente. Vicende connotate dall’esistenza di custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti cui aveva fatto seguito pronuncia assolutoria in primo e secondo grado e conseguente indennizzo per ingiusta detenzione. A seguito di detta vicenda il richiedente era divenuto il legale di coloro che denunciavano negli anni compresi tra il 1995 ed il 2010, condotte di rilievo disciplinare dei magistrati che esercitavano funzioni nel distretto della Corte d’appello presso cui l’avvocato medesimo esercita. Per vicende successive alle due assoluzioni il richiedente, come sottolineato nell’istanza, veniva imputato in un processo per associazione finalizzata alla detenzione, trasporto e cessione di sostanza stupefacente e per fatti di riciclaggio, procedimento che, a detta dell’istante, avrebbero evidenziato negligenze a carico dei magistrati coinvolti nel medesimo di rilevo disciplinare. Il richiedente segnalava altresì d’aver formulato richiesta di astensione e/o ricusazione del presidente del Collegio giudicante che aveva sostenuto l’accusa nel processo conclusosi con la doppia assoluzione. Detta richiesta non aveva condotto ad alcuna astensione ed era stata respinta in sede di ricusazione. Quanto esposto, a detta del richiedente, si combinava anche con evidenza esterna al processo celebrato e con il ruolo assunto dallo stesso istante, nell’ambito della propria attività professionale, anche in relazione ad esposti formati nei confronti d’un magistrato che, all’epoca dei fatti, procuratore Capo della procura preso la Pretura circondariale del capoluogo, denunciato per irregolarità ed abusi, poi suicidatosi. Con memoria difensiva il richiedente produceva una serie di articoli estratti da siti web e testate giornalistiche che segnalavano la sua posizione di professionale veicolatore di denunce ed esposti avverso i magistrati del distretto in cui opera, da oltre 15 anni. La memoria segnalava altresì come detta attività, svolta all’interno di un ambiente chiuso e particolare, qual è il territorio isolano sardo contrassegnato da un quasi inesistente ricambio dei giudice – di determinare una oggettiva e peculiare situazione locale non risolvibile con gli ordinari rimedi processuali dell’astensione e della ricusazione . Il contesto normativo. Recita l’art. 45 c.p.p. In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica o determinano motivi di legittimo sospetto, la corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11 . Le gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili o – omissis -che determinano motivi di legittimo sospetto. Il tenore letterale della norma è chiaro sono assoggettati al regime previsto dall’art. 45 c.p.p. i processi che rischiano d’essere turbati, da gravi situazioni locali non altrimenti eliminabili, che pregiudicano la libera determinazione delle persone che vi partecipano, ovvero in grado di incidere sulla sicurezza o sull’incolumità pubblica o che determino motivi di legittimo sospetto. Ora le gravi situazioni locali possono essere generate, almeno in astratto, da fattori eso processuali o fattori endo processuali. Dove per fattori eso processuali si debbono intendere vicende esterne al processo ma da questi generate che non coinvolgono direttamente le persone che vi partecipano, e per fattori endo processuali quelle vicende che appartengono e si sono generate fra i soggetti che partecipano e sono parte del processo. La lettura della norma, che pare corretta, deve però inserirsi in un alveo interpretativo più vasto. Il legislatore ha infatti ritenuto di dare differente soluzioni ai casi che riguardano fattori endo processuali rispetto a quelli eso processuali. I fattori eso processuali. Sulla natura e sulla forte capacità pervasiva dei fattori eso processuali credo che occorra soffermarsi pochissimo. Traggo la definizione, che allo stesso tempo mi par definizione, di detti fattori dall’incipit del commento all’art. 45 c.p.p. contenuto nell’opera Codici commentati” di Giuffrè Editore Il processo penale e il più delle volte anche i suoi attori protagonisti vive nell'ambiente in cui si celebra ed è ad esso permeabile. Il processo è ragione”, non passione, sentimento, intuizione” è applicazione razionale della legge, non cieco atto di vendetta né luogo di assoluzioni imposte. Se l'ambiente rischia di inquinare la ragione, tutto il processo perde la sua ratio essendi e questo spiega l'eccezionale istituto dello spostamento in un luogo in cui la ragione possa tornare ad esser se stessa . Proprio così, Aldo Aceto complimenti ha fotografato l’essenza stessa dell’istituto che pone rimedio non a diatribe interne allo svolgimento del processo che ben possono essere connotate anche da quell’astio processuale di cui parla l’ordinanza in commento ma a quei fattori esterni che rischiano di trasformare un complesso di operazioni di carattere tecnico nel senso etimologico del termine guidate dalla logica, di carattere giuridico, in un redde ratione , pro o contro l’imputato, di natura e stampo emotivo. L’inaccettabile linciaggio o l’irrazionale giustificazionismo sono fenomeni sociali contro cui il processo penale deve ergersi a baluardo l’istituto della rimessione serve proprio a questo, ad effettuare, laddove necessario, una ritirata del processo nella più sicura zona di retroguardia lontana e protetta dalla aggressioni esterne portate da giustizialisti e/o giustificazionisti. I fattori endo processuali. In relazioni ai fattori endo processuali che riguardano tutte le persone che partecipano al processo, e dunque anche i testimoni, il legislatore ha inteso approntare rimedi, ovviamente tipici, che crediamo ben noti agli interpreti. Gli istituti della astensione e della ricusazione operano in relazione ai rapporti intercorrenti tra le parti processuali ed intese in senso stretto. Le norme sulla falsa testimonianza in relazione alla veridicità del corredo probatorio apportato dai testimoni al processo. Al di fuori di questi rimedi, che lo ripetiamo attengono al corretto, ovvero libero da pregiudizio, contraddittorio da instaurarsi fra le parti, non è consentito alle parti di far ricorso ad altri istituti che finirebbero, senza dover fare grandi sforzi di fantasia, col configgere insanabilmente con il principio costituzionalmente garantito del giudice naturale. Infatti, a ben vedere, l’introduzione di altri rimedi quale quello della rimessione del processo per fattori endo processuali finirebbe col risolversi nella possibilità della parte, pubblica o privata che sia, di scegliersi, seppur surrettiziamente, un Giudice in sostituzione di quello naturale. Con ogni conseguenza in tema di aggressione ad una garanzia costituzionalmente prevista e fortemente pretesa a difesa dei diritti dell’imputato. La giurisprudenza Costituzionale. La Corte Costituzionale ha indicato al via da percorrere ai fini dell’applicazione dell’istituto in alcune sentenze ed ordinanze che pare opportuno richiamare, richiamandoci ancora una volta all’opera pregevole di A. Aceto. Ribadendo la singolarità dell’istituto, definito eccezionale presidio —a garanzia della serenità ed imparzialità del giudizio e, quindi, in ultima analisi, dello stesso valore del giusto processo” — è, da sempre, previsto soltanto per il processo penale, giacché a garantire le parti dai rischi della non imparzialità e terzietà del giudice soccorrono, nelle altre sedi giurisdizionali, i diversi istituti della astensione e della ricusazione. Questa indubbia peculiarità si fonda sulla constatazione che soltanto il processo penale è, per sua natura, idoneo a suscitare gravi emozioni e perturbamenti, specie nel luogo in cui esso si celebra. Tali turbamenti — sia che rilevino sul piano dell'ordine pubblico processuale, sia che attengano al diverso profilo della serenità del giudizio — sono comunque riconducibili all'intervento di elementi esterni”. Questi ultimi — come ha più volte sottolineato la giurisprudenza di legittimità — più che incidere direttamente sul valore della imparzialità e terzietà del giudice investito della cognizione della regiudicanda il sospetto” di condizionamento non riguarda, infatti, il singolo giudice, ma l'intero ufficio giudiziario , finiscono per coinvolgere la stessa possibilità di celebrare un giusto processo”. Le gravi situazioni locali che turbano lo svolgimento del processo, di cui è menzione nell'art. 45 cod. proc. pen. Le gravi situazioni locali che turbano lo svolgimento del processo, di cui è menzione nell'art. 45 cod. proc. pen. non possono, pertanto, che fondarsi e riflettersi su quello che è il naturale oggetto del processo penale vale a dire, una specifica accusa mossa nei confronti di un determinato imputato quindi, un contesto ambientale che genera una turbativa a favore o contro l'accusa o, reciprocamente, a favore o contro l'imputato È ben vero, infatti — come la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni sottolineato — che la locuzione giudice naturale” non ha nell'art. 25 Costituzione un significato proprio e distinto, e deriva per forza di tradizione da norme analoghe di precedenti Costituzioni, nulla in realtà aggiungendo al concetto di giudice precostituito per legge” v., ad es., sentenza n. 88 del 1962 e ordinanza n. 100 del 1984 ma deve riconoscersi che il predicato della naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi delicti . Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse — come la rimessione — l'effetto di distrarre” il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale giacché la celebrazione di quel processo in quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella — più che tradizionale — per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati Corte Cost. n. 106/06 . L’inconfigurabilità del sequestro gli Ermellini ricostruiscono giuridicamente la fattispecie facendo riferimento alla nota e consolidata giurisprudenza di legittimità elaborata in tema di concussione laddove detto delitto viene considerato come non configurabile tutte le volte che le somme vanno a profitto dell’ente di cui il pubblico ufficiale fa parte, perché elemento costitutivo del reato è la consegna o la promessa di essere considerato lo stesso ente per il quale la persona o le persone fisiche, suoi organi, agiscono ed operano e neppure enti o istituzioni che da quello possono, per previsione di legge, essere beneficiati . I principi descritti e richiamati possono, dice la Cassazione, essere applicati anche in riferimento alla fattispecie di truffa aggravata. Ma nel caso concreto indubitabilmente i fattori di rischio indicati dal richiedente attengono per lo meno in gran parte a fattori endo processuali e, come tali, a sensi dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità e di quella Costituzionale, sottratti all’operatività dell’istituto previsto dall’art. 45 c.p.p Non può però non notarsi come il caso concreto manifesti aspetti che più che singolari possono definirsi unici. Par di comprendere che il richiedente abbia in corso , e da lunga pezza, un vero e proprio contrasto professionale e personale per così dire diuturno con gli uffici, complessivamente intesi, della magistratura requirente e giudicante. Siamo, a leggere il resoconto del fatto contenuto del provvedimento in commento, innanzi ad una lunga vicenda di astio processuale” che, parrebbe, non poter trovare rimedio con e negli ordinari rimedi. Una situazione che ben potrebbe, almeno in astratto, riverberarsi su quella delicata e primaria funzione e natura del processo penale chiamato ad essere ragione”, che si contrappone alla passione”. Proprio per questa particolare unicità del caso non escluderei la proposizione di ricorso da parte del richiedente alla Corte Edu con prospettazione di lesione del diritto di difesa cagionato dall’esistenze di un dedotto pregiudizio globale nei suoi confronti. Ai posteri, di Strasburgo, la probabile ardua sentenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 22 – 28 novembre 2016, n. 50321 Presidente Petruzzellis – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. A.C. ha presentato richiesta di rimessione del processo fissato davanti al Tribunale di Cagliari, contraddistinto al n. 16085 del 2012 R.g.n.r. ed al n. 839 del 2014 R.g. Trib., in cui egli è imputato, in concorso con altri, dei reati di cui agli artt. 74, commi 1, 3 e 4 73, commi 1 e 1-bis e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e 648-bis, commi primo e secondo, cod. pen. La richiesta è motivata da personali vicende giudiziarie sofferte dall’A. , avvocato, iscritto all’Albo di Cagliari dall’anno 1991. 2. L’A. è stato imputato, in seguito al rinvenimento da parte della polizia, nella propria autovettura di una busta con trenta grammi di cocaina, per detenzione di sostanza stupefacente. Sottoposto a custodia cautelare in carcere, assolto in primo e secondo grado e quindi indennizzato per ingiusta detenzione, il richiedente denuncia che nelle sopraggiunte assoluzioni la Procura di Cagliari non si era determinata ad aprire alcun procedimento né ad effettuare alcuna indagine per accertare chi avesse manomesso la portiera dell’auto del professionista ed ivi nascosto la sostanza stupefacente. Si espone ancora nella richiesta di rimessione che l’avvocato A. diveniva, all’esito della sofferta avventura giudiziaria, il legale di coloro che denunciavano, negli anni ricompresi dal 1995 al 2010, condotte a rilievo disciplinare dei magistrati che esercitavano funzioni nel distretto della Corte di appello di Cagliari. Per successive vicende l’A. , si espone ancora nell’istanza, veniva imputato in un processo per associazione finalizzata alla detenzione, trasporto e cessione di sostanza stupefacente e per fatti di riciclaggio, procedimento che, contrassegnati da palesi errori ed omissioni della magistratura cagliaritana, giudicante e requirente, avrebbero evidenziato per improprie commistioni tra l’operato del Gip e quello del P.M., negligenze di rilievo disciplinare. 3. Nel processo in corso il richiedente segnala per condotte del P.M., dottor G.G. e per iniziative processuali assunte, in adesione alle richieste dell’Accusa, dal Gip, dott. Al.Gi. , lesioni al diritto di difesa e ricostruzioni di fattispecie criminose così per il contestato reato di cui all’art. 648-bis cod. proc. pen. , in pieno contrasto con le previsioni di norma. Deduce altresì l’istante di aver proposto richiesta di astensione e/o ricusazione del Presidente del Collegio giudicante del Tribunale di Cagliari, dottor P.M.C. . Detta richiesta non solo non aveva condotto ad alcuna astensione, ma era stata respinta in sede di ricusazione. Tanto avveniva nonostante la rappresentata, al giudice della ricusazione, lunga sequenza di accadimenti giudiziari che dal 1994 - epoca in cui il dottor P. aveva sostenuto l’Accusa nel processo per fatti di droga contro l’A. , poi conclusosi con una doppia assoluzione - si segnalavano per improprie, anomale ed autoritarie decisioni del magistrato adottate nei plurimi processi che vedevano imputato ora il medesimo richiedente ora i privati dal primo professionalmente assistiti, e ciò nonostante esposti disciplinari promossi in proprio o per i clienti professionalmente assistiti, dall’A. . Errori palesi ed omissioni, tradottisi in due annullamenti in cassazione, avevano contrassegnato poi l’operato del Tribunale giudicante di Cagliari chiamato a decidere su istanze de libertate e, successivamente, quello investito del Riesame. Nell’anomalia delle procedure osservate, non rispettose del codice di rito, è infatti, per la proposta richiesta, l’espressione del palese malanimo dell’organo giudicante. Il combinarsi di siffatte evidenze, segnalate nell’istanza anche come esterne al processo celebrato, con il ruolo avuto dal legale nella svolta attività professionale -anche per l’iniziativa assunta avverso il dottor L. , all’epoca Capo della procura presso la Pretura circondariale di Cagliari, poi suicidatosi, di cui l’A. aveva denunciato irregolarità ed abusi-, travalicando la normale dialettica processuale, avrebbero definito una situazione ambientale fuori controllo e di legittimo sospetto in ordine a serietà ed imparzialità degli organi giudicanti. 4. Con memoria difensiva depositata in data 16 novembre 2016, il richiedente ha prodotto una serie di articoli estratti da siti web di testate giornalistiche nonché articoli di carta stampata diretti a sostenere la sua posizione di professionale veicolatore di denunce ed esposti avverso i magistrati del distretto, da oltre quindici anni. Di siffatta attività si segnala ancora in memoria la capacità, all’interno di un ambiente chiuso e particolare, qual è il territorio isolano sardo - contrassegnato da un quasi inesistente ricambio dei giudici - di determinare una oggettiva e peculiare situazione locale non risolvibile con gli ordinari rimedi processuali dell’astensione e della ricusazione. 5. Nel corso dell’udienza celebrata dinanzi a questa Corte il P.m. ha concluso in via preliminare nel senso di dichiararsi l’inammissibilità della richiesta per tardività ai sensi dell’art. 46, commi 1 e 4, cod. proc. pen. . La difesa nell’opporsi ha sollevato questione di legittimità costituzionale artt. 117 e 111 Cost. della norma ove interpretata nel senso voluto dal rappresentante della Procura generale della Corte di cassazione, anche con riferimento all’art. 6 CEDU. Considerato in diritto 1. In via preliminare, sulla questione in rito sollevata in udienza dal rappresentante della Procura Generale di questa Corte che ha concluso per l’inammissibilità della richiesta in quanto notificata tardivamente, nell’inosservanza del termine di sette giorni art. 46, commi 1 e 4, cod. proc. pen. , il Collegio rileva quanto segue. La questione non è fondata. Risponde a regola generale quella per la quale ove la parte sia tenuta al rispetto di un termine processuale - ove per termine processuale si intende un periodo di tempo entro il quale o dopo il quale deve o può compiersi una determinata attività processuale - di natura perentoria, la misura di diligenza alla prima richiesta per il corretto adempimento dell’onere non possa spingersi oltre l’assolvimento di quanto rientra nella sfera di sua diretta disponibilità. Affidandosi il soggetto istante per la notifica dell’atto di impulso processuale all’ufficiale giudiziario o all’agente postale, avvalendosi della funzione e del servizio da costoro assolta, non possono porsi a carico del richiedente i tempi necessari al perfezionamento della notifica che siano successivi alla consegna dell’atto, da notificarsi, rispettivamente all’ufficiale giudiziario o all’agente postale. Questi ultimi tempi risultano invero governati da esigenze e modalità proprie dell’opera o del servizio resi dal terzo della cui materiale attività la parte si avvalga. Con riguardo alle posizioni del soggetto notificante va affermato il principio - di cui sentenze civili di legittimità e del giudice delle leggi hanno già fatto applicazione in materia di notifica degli atti civili Corte cost. n. 477 del 2002 Sez. 3, Ordinanza n. 4289 del 02/03/2004, Rv. 570753 Sez. U, n. 13970 del 26/07/2004, Rv. 575877 - per il quale la notifica di un atto processuale, qualunque sia la modalità di trasmissione, almeno quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o all’agente notificatore che funge da tramite necessario del notificante nel relativo procedimento. Escluse le posizioni del P.m., destinatario cui l’atto risulta essere stato notificato a mani proprie, nel resto, l’intervenuta consegna della richiesta ex art. 45 cod. proc. pen. all’ufficiale giudiziario nelle date dell’8 e del 9 giugno 2016 e quindi nel termine di sette giorni dal deposito della richiesta e dei documenti presso il Tribunale di Cagliari, incombente curato dall’istante il 6 giugno 2016, rende tempestiva e, per tale profilo, ammissibile la richiesta di rimessione. La conclusione di inammissibilità formulata in udienza dal P.m. per inosservanza del termine perentorio di notifica della richiesta di rimessione del processo alle altre parti art. 46, commi 1 e 4, cit. , va pertanto disattesa perché non fondata, ogni altra deduzione difensiva sul punto restando assorbita. 2. Nel merito, la richiesta è inammissibile per ragioni che restano confinate nella manifesta infondatezza. È comune affermazione della giurisprudenza di legittimità quella per la quale l’istituto della rimessione ha natura eccezionale derogando al principio costituzionale della precostituzione del giudice naturale e, come tale, comporta la necessità di una lettura restrittiva delle disposizioni che lo regolano. La grave situazione locale deve quindi intendersi come fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo e, dall’altro, che i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa tra le altre, in termini Sez. 3, n. 23962 del 12/05/2015, Bacci, Rv. 263952 Sez. 6, n. 15741 del 28/03/2013, Conte, Rv. 255844 . La grave situazione locale richiamata dall’istituto della rimessione postula pertanto un turbamento del territorio destinato a pregiudicare la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, la sicurezza o l’incolumità pubblica o a determinare motivi di legittimo sospetto. Il descritto obiettivo fenomeno è destinato quindi, come tale, ad incidere dall’esterno sull’operato dei giudici o ancora pur originando da quest’ultimo - ed è questo il caso - ad essere avvertito in esterno, dalla comunità, come espressione di una minata imparzialità dei magistrati operanti all’interno di una sede. 3. Premessi gli indicati principi, nel merito della vicenda in esame. Appartiene al terreno della dialettica processuale quanto rappresentato dal richiedente in ordine a decisioni adottate ed iniziative assunte nei suoi confronti dalla magistratura giudicante ed inquirente del distretto di Cagliari. La richiesta segnala irregolarità ed improprietà di condotte processuali assunte da singoli magistrati nel corso dei procedimenti che hanno visto l’avvocato A. quale indagato ed imputato così per le posizioni del Gip, dott. Al. del P.m., dott. G. del Presidente del Collegio giudicante del giudizio per cui è richiesta, dott. P. . Manca, nella pur fitta esposizione di vicende processuali contenuta nella richiesta - che prospetta errori, improprietà giuridiche e personali animosità dei magistrati impegnati -, una situazione ambientale di legittimo sospetto o di pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo. Tale non sarebbe la prospettata relazione di univoca e negativa influenza tra la persona del Presidente del Collegio giudicante e gli altri magistrati, componenti del medesimo organo o comunque chiamati a sindacare le decisioni del primo situazione dedotta con riferimento ad erronee soluzioni giuridiche adottate in sede cautelare che hanno trovato fisiologica correzione all’interno del processo. Né riesce ad esserlo la decisione di rigetto dell’istanza di ricusazione di quel Presidente adottata dalla Corte di appello cagliaritana. Quest’ultima evidenza vale di per sé infatti come argomento spendibile all’interno di un ordinario esercizio dei poteri di controllo e non corrobora l’esistenza di una situazione di legittimo sospetto non altrimenti sostenuta. Le indicate vicende e, ancora, le posizioni assunte dall’avvocato A. , che negli anni, si deduce, si è segnalato come difensore dei privati, autori di esposti e denunce contro i magistrati del distretto di Cagliari, non danno conto di un compromesso rapporto del richiedente con tutti i magistrati operanti nel distretto. La pluralità delle segnalate vicende giudiziarie non vale infatti a coprire l’ambito soggettivo di riferimento che, essendo a base distrettuale postula, per ciò stesso, il prodursi di un fenomeno di non contenuta consistenza, senza che il limitato indice di ricambio dei magistrati della sede isolana, pure portato a sostegno della richiesta, valga, come dedotto, a sottolineare del primo una piena pervasività. Di quest’ultima oggettiva circostanza non danno conto le produzioni della stampa locale curate dal richiedente. Queste ultime, da individuarsi peraltro negli stretti contenuti di cui alle originarie allegazioni curate dall’istante in sede di deposito della richiesta presso il Tribunale di Cagliari, registrandosi altrimenti un’alterazione del meccanismo di interlocuzione tra le parti del giudizio a quo che l’art. 46, comma 1, cod. proc. pen. mira a preservare proprio con lo stabilire il deposito presso la cancelleria del giudice, in una alla richiesta, dei documenti che alla richiesta stessa si riferiscono - segnalano un’attenzione al processo ed alle posizioni dell’A. all’interno di una più articolata e complessa vicenda personale. 4. Né a differenti conclusioni consente di pervenire quanto da questa Corte affermato in una precedente decisione, pure richiamata in sede di discussione dal difensore dell’A. Sez. 6, Ordinanza n. 18647 del 28/04/2015, Alongi . In quest’ultimo caso, infatti, la pervasiva alterazione di contesto per intrecci in essere tra i difensori - che millantavano credito presso la magistratura dei luoghi e che dello stesso si avvalevano per effettuare pressioni sugli esponenti della locale politica - e l’operare dei magistrati che, con i primi imputati per abuso di ufficio, subivano l’avvio di procedimenti disciplinari e la trasmissione degli atti ad opera della Procura generale della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 54-quater cod. proc. pen., è stata ritenuta sostenere, nell’ambito di una piccola realtà giudiziaria, una fondata preoccupazione sull’imparzialità dei magistrati. I necessari tratti di distinzione dell’odierna e dell’indicata fattispecie consentono di apprezzare come fermo il sopra richiamato principio quanto all’ipotesi in esame. 5. In via conclusiva, la richiesta proposta da A.C. va dichiarata inammissibile. 6. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del richiedente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., nel testo modificato dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186. P.Q.M. Dichiara inammissibile l’istanza e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.