Il giudice d’appello e la sentenza rafforzata

Il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova.

In questo senso la S.C. con la sentenza n. 50082/2016 del 25 novembre. Il caso. La Corte d’appello, in riforma della pronuncia del Tribunale, assolveva l’imputato dai reati di cui agli artt. 575 e 582 c.p., perché il fatto non sussiste. Il giudizio era fondato sulla ritenuta inattendibilità della persona offesa, e sul fatto che costei era stata smentita in riferimento ad un episodio, non trovando per il resto le sue dichiarazioni idonea conferma in quelle della figlia minorenne e nelle fotografie delle lesioni asseritamente provocate dall’imputato. Propone ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, deducendo violazione della legge penale in relazione all’art. 605 c.p. e all’art. 6 CEDU agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p., e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. . Il ricorrente segnala infatti che la Corte aveva omesso di confrontarsi con la motivazione della sentenza di prime cure e di fornire una motivazione rafforzata la Corte aveva formulato un’aprioristica valutazione di inverosimiglianza delle dichiarazioni della vittima, senza però poi valutale la documentazione sanitaria e fotografica. Accanto al Procuratore Generale, propone ricorso anche la persona offesa. Sentenza rafforzata. Costituisce ius receptum il principio per cui il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova Cass. n. 21008/14 . Tale principio, peraltro, si collega a quanto già affermato nel 1992 dalla sentenza n. 6682, secondo cui, se per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice d’appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni . L’attendibilità della persona offesa. Nel caso di specie l’inattendibilità della persona offesa è stata ricostruita attraverso le dichiarazioni delle testi a discarico, ma così facendo è stato trascurato l’opposto giudizio al riguardo formulato dal giudice di prime cure, che aveva dedicato al racconto fornito dalle testi a discarico e alla loro attendibilità un’ampia analisi, ponendo in luce profili di contraddittorietà, incertezze, imprecisione ravvisabili in quelle dichiarazioni. La motivazione in merito all’attendibilità della persona offesa, evidentemente, risulta in radice viziata dalla sua incompletezza e dal mancato confronto con gli argomenti dedotti dal primo giudice. Continuità dei maltrattamenti. Carenza di motivazione si rileva poi in relazione alla continuità delle condotte di maltrattamenti, per la quale la Corte territoriale ha formulato un giudizio che non si confronta in alcun modo con le valutazioni effettuate dal giudice di primo grado. Tali vizi di motivazione impongono l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello la quale, in merito alla valutabilità ed utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dovrà considerare che in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la verifica della veste processuale del dichiarante, è onere della parte interessata ad opporsi all’assunzione della testimonianza di allegare, prima dell’assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perché questi si attivi d’ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art. 493 c.p.p., ovvero in ragione dell’assoluta necessità di disporre l’escussione del dichiarante, ai sensi dell’art. 507 dello stesso codice Cass. n. 12379/2016 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 ottobre – 25 novembre 2016, n. 50082 Presidente Conti – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23/11/2015 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma di quella del Tribunale di Paola in data 4/6/2015, ha assolto S.C. dai reati di cui agli artt. 572 cod. pen. e 582 cod. pen. in danno di C.A. , perché il fatto non sussiste. La Corte ha in particolare fondato il suo giudizio sulla ritenuta inattendibilità della C. , costituitasi parte civile, e sul fatto che costei era stata smentita in riferimento ad un episodio, non trovando per il resto le sue dichiarazioni idonea conferma in quelle della figlia minorenne S.F. e nelle fotografie delle lesioni asseritamente provocate dall’imputato in data OMISSIS . 2. Ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro, deducendo violazione della legge penale in relazione all’art. 605 cod. proc. pen. e all’art. 6 C.e.d.u. agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen Ha in particolare segnalato il ricorrente che la Corte territoriale aveva omesso di confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado e di fornire una motivazione rafforzata, fondata su un esaustivo vaglio di tutte le emergenze assunte e non limitata all’enucleazione di quelle risultanze che apparivano funzionali al successivo discorso critico contrastante con quello della sentenza appellata. La Corte aveva formulato un’aprioristica valutazione di inverosimiglianza delle dichiarazioni della vittima, nel presupposto che le stesse fossero state rese in maniera graduale, in un crescendo di aggiunte e in un contesto interpretabile quale espressione di conflittualità tra le parti, sfociata anche in procedimenti a carico della persona offesa. Ma non aveva poi valutato la documentazione sanitaria e fotografica, rilevando la tardività della produzione ma senza considerare la sovrapponibilità tra le lesioni risultanti dalle fotografie, le indicazioni contenute nella certificazione medica e le dichiarazioni della vittima e soprattutto senza giungere a prospettare la natura calunniosa delle accuse. Per contro la Corte non aveva sottoposto a specifica critica le valutazioni offerte dal primo Giudice, limitandosi ad un giudizio apoditticamente formulato in merito all’episodio dal quale sarebbero derivate le lesioni. Inoltre era stata smentita l’attendibilità della persona offesa sulla base delle dichiarazioni di altri testi, B.A. e M.M. , in ordine alla cui attendibilità non si sarebbe potuto dubitare, senza considerare le ragioni per cui il primo giudice aveva fornito al riguardo un opposto giudizio. Indebitamente la Corte aveva ritenuto non integrata l’abitualità della condotta di maltrattamenti, rilevando che gli episodi sarebbero stati isolati e inseribili in un contesto di conflittualità reciproca, in ordine alla gestione della minore. Ma in tal modo non si era tenuto conto del narrato della vittima, incentrato fra l’altro sulla quotidianità degli insulti, delle minacce e delle vessazioni, gradualmente degenerate anche in atti di violenza, senza che ciò fosse circoscrivibile alla sola diatriba nata successivamente alla separazione in merito all’affidamento della figlia minore, a fronte di un atteggiamento violento e prevaricatore dell’imputato, che aveva indotto la vittima alla scelta della separazione. La Corte aveva altresì reputato inidoneo il narrato della figlia minore a confermare gli assunti accusatori, in quanto inficiato dalle interferenze materne, giudizio che aveva ignorato quanto emerso circa gli apprezzamenti formulati dalla bimba sul conto del padre alla neuropsichiatra nominata consulente in sede civile. Inoltre indebitamente, tanto più in presenza di una parte civile, si era ribaltato il giudizio del primo giudice circa l’attendibilità della minore, dando rilievo a dati lessicali riportati nella trascrizione, senza procedere ad una rinnovazione dell’audizione della teste, anche in osservanza dell’art. 6 C.e.d.u. nel caso di diversa valutazione di attendibilità di dichiaranti. 3. Ha presentato ricorso anche la parte civile C.A. , in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulla figlia S.F. . 3.1. Con il primo motivo deduce violazione delle regole sulla prova e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen La Corte di appello aveva apoditticamente reputato inattendibile la persona offesa, giungendo a prospettare mendace il suo racconto in merito all’episodio dell’aggressione sfociata nelle lesioni personali, censurando stralci della deposizione senza valutare le dichiarazioni nel loro complesso e senza svolgere un ragionamento critico nei confronti della sentenza di primo grado. Il ragionamento della Corte si era basato anche sulla valutazione di inattendibilità della minore F. , fondato su segni di interpunzione inseriti dal trascrittore e dunque sulla forma interrogativa di alcune risposte, peraltro senza esaminare l’attendibilità delle testimoni a discarico, in ordine alla quale aveva sottolineato solo che non se ne sarebbe potuto dubitare. La Corte aveva indebitamente svalutato il certificato attestante le lesioni, solo perché era stato rilasciato dopo più di 24 ore dal fatto, e la documentazione fotografica, che costituiva lo strumento per rafforzare la validità del referto. Segnalando il ritardo con cui la vittima aveva segnalato episodi di violenza del passato, la Corte aveva violato principi consolidati in merito alla valutazione cui sottoporre dichiarazioni rese da soggetti maltrattati. Del tutto apoditticamente era stata inoltre svalutata la ricostruzione dell’episodio produttivo di lesioni in base al racconto della vittima, a fronte della ritenuta inattendibilità della minore F. per una preconcetta adesione alla versione materna. In realtà la Corte si era sottratta all’obbligo di fornire una motivazione rafforzata circa le ragioni dell’operato ribaltamento del primo giudizio, essendosi limitata a fornire una lettura alternativa del compendio probatorio, non sorretta da argomenti dirimenti. 3.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 6 C.e.d.u. e vizio di motivazione. Il giudice di appello per addivenire ad un diverso apprezzamento di attendibilità della prova orale avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, necessaria anche nel caso di riforma di sentenza di condanna. 3.3. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 572 e 582 cod. pen. e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen La Corte aveva negato il carattere abituale delle vessazioni rilevando il contesto di conflittualità e segnalando il limitato numero di episodi nonché la loro distanza temporale. Peraltro aveva ignorato il principio per cui è configurabile il delitto di maltrattamenti anche a fronte di periodi di normalità e aveva altresì omesso di considerare che le forme più subdole di maltrattamenti venivano attuate giornalmente, come rilevato dal primo Giudice. Non condivisibile era la conclusione formulata in merito all’episodio culminato nelle lesioni, posto che la ricostruzione della Corte aveva omesso di valutare quanto risulta dal racconto della persona offesa secondo cui il marito l’aveva scaraventata contro il muro e poi contro il marmo che rivestiva l’ascensore, solo lungo le scale essendo seguiti calci e pugni. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati. 2. Deve preliminarmente rilevarsi che è privo di fondamento il motivo di ricorso incentrato sull’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa decisiva in relazione alla quale il giudice di appello abbia formulato un diverso giudizio sull’attendibilità il relativo obbligo di rinnovazione è infatti ravvisabile in caso di riforma di sentenza di assoluzione Cass. Sez. U. n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, rv. 267487 , ma non nel caso di riforma di sentenza di condanna sul punto nella citata sentenza n. 27620 del 2016, Dasgupta, si rileva che proprio in quanto non viene in questione il principio del ragionevole dubbio , non può condividersi l’orientamento secondo cui anche in caso di riforma della sentenza di condanna in senso assolutorio il giudice di appello, al di là di un dovere di motivazione rafforzata , deve previamente procedere a una rinnovazione della prova dichiarativa . 3. Ma proprio il riferimento contenuto nel passo citato della sentenza Dasgupta all’obbligo di motivazione rafforzata consente di apprezzare il vizio che inficia la sentenza impugnata. 4. Ed invero costituisce ius receptum il principio secondo cui il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova Cass. Sez. 5, 21008 del 6/5/2014, Barzaghi, rv. 260582 analogamente Cass. Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, rv. 261327, secondo cui In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma . Tale principio si ricollega a quanto già rilevato da Cass. Sez. U. n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, rv. 191229, secondo cui, se per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni . 5. Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha ribaltato il giudizio di primo grado sulla base di due direttrici fondamentali, la ritenuta inattendibilità della persona offesa C.A. , in quanto smentita con riguardo all’episodio del 28/6/2009, e la riconducibilità delle frizioni con l’imputato non ad una continuativa attività vessatoria di lui, ma a singoli episodi legati, in un quadro di conflittualità reciproca, alla gestione della minore F. , oggetto prima di conflitto intrafamiliare e poi di contesa tra coniugi separati . 6. Sta di fatto che l’inattendibilità è stata desunta dalla ricostruzione dell’episodio del 28/6/2009, propiziata soprattutto dalle dichiarazioni delle testi a discarico B.A. e Maritato Linda, in ordine alle quali è stato rilevato che della loro attendibilità non v’è motivo di dubitare pag. 7 . Ma in tal modo è stato del tutto trascurato l’opposto giudizio al riguardo formulato dal primo Giudice che aveva dedicato al racconto fornito dalle testi a discarico e alla loro attendibilità un’ampia analisi pagg. 8 e 9 , ponendo in luce profili di contraddittorietà, incertezze, imprecisioni ravvisabili in quelle dichiarazioni. Inoltre il cruciale episodio del 28/6/2009 è stato valutato dalla Corte territoriale del tutto a prescindere dalla testimonianza di Penta Fulvia, le cui dichiarazioni erano state ritenute in linea con quelle della persona offesa e soprattutto tali da costituire un riscontro dell’inattendibilità di B.A. pag. 9 . Come se non bastasse del racconto della persona offesa è stata valorizzata una parte, ma non l’intero sviluppo dell’episodio con l’aggressione consistita nella spinta contro il muro e contro il marmo dell’ascensore pag. 4 della sentenza di primo grado . È dunque evidente come la motivazione in merito all’attendibilità della persona offesa, espressa con un giudizio totalizzante, originato dalla ricostruzione dell’episodio del 28/6/2009, risulti in radice viziata dalla sua incompletezza e dal mancato confronto, al contrario necessario, con gli argomenti utilizzati dal primo Giudice. 7. Quanto poi alla continuità delle condotte di maltrattamenti, il primo Giudice aveva dato rilievo all’ampio racconto della persona offesa, dal quale risultava pagg. 2, 3 e 4 che l’imputato aveva a partire dal 2004 mutato il proprio atteggiamento, palesando un comportamento minaccioso e rivolgendosi alla moglie con espressioni ingiuriose, progressivamente rendendosi protagonista di episodi maggiormente aggressivi e violenti, fino a quando in una circostanza, nel 2008, l’uomo aveva chiesto scusa alla moglie, promettendole che in futuro non si sarebbero più verificati episodi del genere, ma la donna aveva deciso già allora di contattare associazioni specializzate nel prevenire la violenza di genere. Senza alcuna specifica analisi complessiva, riferita al merito di quel racconto, ma limitandosi a focalizzare solo taluni episodi, la Corte territoriale ha dunque formulato un giudizio che non si confronta in alcun modo con le valutazioni e gli argomenti del primo Giudice in merito all’esatta configurabilità del reato di maltrattamenti in rapporto ad una continuativa e non solo episodica attività vessatoria e soprattutto in rapporto al fatto che non si trattasse solo di conflittualità inerente alla gestione della figlia minore, peraltro indicata come spesso presente e testimone delle condotte del padre. 8. I rilevati vizi di motivazione travolgono l’intero impianto della sentenza della Corte di appello e ne impongono l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio, con assorbimento degli ulteriori profili dedotti nei motivi di ricorso. 9. In sede di giudizio saranno puntualmente valutati, alla luce dei rilievi fin qui formulati, gli originari motivi di appello. Deve peraltro escludersi che il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. sia già estinto per intervenuta prescrizione, in quanto lo stesso è ravvisabile ed è stato nella specie ravvisato dal primo Giudice anche dopo la cessazione della convivenza, in quanto l’autore del reato e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione Cass. Sez. 6, n. 33882 del 8/7/2014, C., rv. 262078 Cass. Sez. 6, n. 7369 del 13/11/2012, dep. nel 2013, M., rv. 254026 . Inoltre, per scongiurare sul punto possibili incertezze, si dovrà considerare, in ordine alla valutabilità ed utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la verifica della veste processuale del dichiarante, è onere della parte interessata ad opporsi all’assunzione della testimonianza di allegare, prima della assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perché questi si attivi d’ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art. 493 cod. prov. pen, ovvero in ragione dell’assoluta necessità di disporre l’escussione del dichiarante, ai sensi dell’art. 507 dello stesso codice Cass. Sez. 6, n. 12379 del 26/2/2016, Picciolo, rv. 266422 . Provvederà il giudice del rinvio anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.