L’assegno di mantenimento alla luce dello stato di bisogno e della disponibilità di risorse

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, come si compenetrano le opposte valutazioni circa lo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo e la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell’obbligato?

A questa domanda dà risposta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 50075/16 depositata il 25 novembre. Il caso. Il padre di un minorenne, non avendo mai versato la somma dovuta per il mantenimento né contribuito alle spese sostenute dalla madre, veniva condannato in secondo grado a sette mesi di reclusione per violazione dell’art. 570 c.p Quest’ultima, inoltre, lamentava la responsabilità dell’imputato di aver fatto mancare anche la dovuta assistenza morale, a lei e al figlio, non essendosi mai interessato di lui ed avendolo visto solo due volte nel corso del primo anno di vita . Avverso la condanna viene esperito ricorso in Cassazione ad opera del padre. Il genitore che non vuole e quello non può. Tra i numerosi motivi di doglianza i due che interessano maggiormente ai fini del commento sono i seguenti da un lato, l’errata valutazione circa la sussistenza dei due requisiti essenziali del reato di cui trattasi, costituiti dallo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo” e dalla disponibilità delle risorse sufficienti da parte dell’imputato” dall’altro, la violazione del principio dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”, in ordine alla ritenuta disponibilità di risorse sufficienti in capo all’odierno ricorrente, onde far fronte all’obbligo a suo carico . Gli elementi costitutivi del reato. La Corte di Cassazione sottolinea che, se il reato è commesso in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest’ultimo è in re ipsa , salvo la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione . Ad abundantiam , la deposizione della madre del minore, in cui essa racconta la necessità di ricorrere all’aiuto di terzi per far fronte ai bisogni del figlio, corrobora ulteriormente la suddetta presunzione, ancorché non ve ne fosse necessità . La disponibilità economica dell’obbligato. Il padre del minore aveva prodotto in giudizio la sentenza dichiarativa del fallimento dell’impresa di cui era titolare, al fine di giustificare la mancata corresponsione dell’assegno familiare e, anzi, di assolverlo totalmente dall’obbligazione ma l’onere probatorio che incombe sull’imputato, secondo il Giudice di legittimità, non può essere assolto in maniera così immediata” e, comunque, non giustifica il soggetto per il mancato apporto economico precedente rispetto al fallimento della sua ditta. Per i motivi sopraindicati la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 ottobre – 25 novembre 2016, n. 50075 Presidente Carcano – Relatore Tronci Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 25.09.2015, la Corte di appello di Perugia confermava la condanna alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede in favore della costituita parte civile cui era assegnata una provvisionale dell’ammontare di Euro 60.000,00 , irrogata a C.F. dal giudice monocratico del Tribunale del capoluogo umbro - sezione di Foligno, a seguito della declaratoria di colpevolezza dell’imputato per violazione dell’art. 570 cod. pen. reato allo stesso contestato per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore D. , non avendo mai corrisposto la somma mensile di Euro 300,00, stabilita per il suo mantenimento con pronuncia definitiva del Tribunale per i minorenni di Perugia, né l’importo di Euro 2.500,00 a titolo di contributo per le spese sostenute dalla madre del ragazzo, D.T. , così privando lo stesso anche della dovuta assistenza morale, non essendosi mai interessato di lui ed ad avendolo visto solo due volte nel corso del primo anno di vita condotta posta in essere dal 21.07.2007 fino al 24.02.2010, data di presentazione dell’ultima integrazione di querela . 2. Avverso la menzionata pronuncia il difensore di fiducia del CURRELI ha interposto ricorso per cassazione, articolata in otto profili di doglianza così strutturati 2.1 nullità del decreto di citazione a giudizio per genericità, ex artt. 179 e 552 co. 1 lett. c del codice di rito, stante la mancata specificazione di quale delle tre ipotesi contemplate dal contestato art. 570 cod. pen. dovesse ritenersi ascritta a carico del prevenuto 2.2 violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., per via della mancata valutazione dell’attendibilità della teste D. , sulla cui sola parola si assume basata la statuizione di condanna a carico dell’odierno ricorrente 2.3 errata applicazione dell’art. 570 cod. pen. e, insieme, vizio di motivazione, in ordine alla sussistenza dei due requisiti essenziali del reato di cui trattasi, costituiti dallo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo e dalla disponibilità risorse sufficienti da parte dell’imputato 2.4 inosservanza del disposto dell’art. 533 cod. proc. pen., in forza della violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio , con peculiare riferimento alla ritenuta disponibilità di risorse sufficienti in capo all’odierno ricorrente, onde far fronte all’obbligo a suo carico 2.5 carenza di motivazione, quanto alla omessa concessione dell’invocato beneficio della sospensione condizionale della pena 2.6 insufficienza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche 2.7 analogamente, insufficienza di motivazione in relazione al rigetto dell’istanza di conversione della pena detentiva, ai sensi della legge 689/81 2.8 inosservanza dell’art. 599 cov. cod. proc. pen., alla luce del denunciato difetto di indicazione dei criteri di quantificazione utilizzati per pervenire alla determinazione della somma liquidata a titolo di provvisionale, dovendo anzi reputarsi del tutto mancante la prova del danno esistenziale lamentato ex adverso . 3. Il ricorso proposto consiste nella pedissequa ripetizione delle identiche doglianze poste a base dell’impugnazione formalizzata innanzi alla Corte territoriale e dalla stessa motivatamente disattese, onde va dichiarato senz’altro inammissibile. 4. Indubbiamente tale è il primo profilo di doglianza innanzi tutto, l’eccezione risulta essere stata formalizzata per la prima volta in sede d’appello e, ad abundantiam , essa risulta anche manifestamente infondata, non potendo qui che ribadirsi - anche a voler per assurdo accedere al profilo della sua valutazione - le corrette osservazioni già sviluppate dalla sentenza impugnata, a proposito della puntuale descrizione della condotta ascritta al C. , il quale ha dunque avuto modo di esercitare il proprio diritto di difesa in modo pieno, senza limitazioni di sorta. 5. Identica valutazione, seppur in relazione al diverso profilo della genericità, s’impone in ordine al secondo motivo del ricorso. La Corte umbra ha osservato, in proposito, che il Tribunale ha debitamente compiuto la valutazione di attendibilità della parola della teste costituitasi parte civile, scaturita dalla constatazione della linearità e congruenza del narrato e dall’assenza in atti di qualsivoglia elemento di segno contrario. Ciò posto, l’atto d’impugnazione, per un verso, si limita all’apodittica negazione della sussistenza di tale verifica - dunque, in mancanza di un reale confronto con l’apparato argomentativo posto a supporto delle due convergenti decisioni di merito, che danno conto, senza alcun evidente salto logico, del convincimento maturato - e, per altro verso, evidenzia il difetto di elementi di riscontro esterni alla parola della D. , notoriamente non richiesti ai fini della valenza probatoria delle dichiarazioni testimoniali, ove pure provenienti da parte lesa. 6. Manifestamente infondati sono anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso, relativi alla pretesa carenza degli elementi costitutivi del reato previsto e punito dall’art. 570 cod. pen Invero, essendo stato commesso il reato ascritto in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest’ultimo è in re ipsa , salva la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione ne discende che la deposizione della madre del minore, circa il ricorso all’aiuto di terzi per far fronte alle esigenze del figlio, lungi dall’essere insufficiente - così come si assume dal ricorrente - altro non fa che corroborare ulteriormente, ancorché non ve ne fosse necessità, la presunzione anzidetta. Mentre, per ciò che concerne la disponibilità di risorse sufficienti in capo all’obbligato, la produzione della mera sentenza dichiarativa del fallimento della ditta di cui il C. era titolare non vale certo a ritenere assolto l’onere probatorio pacificamente incombente sull’imputato, a fronte del non contestato dato rappresentato dalla sentenza impugnata, nel senso dell’omessa corresponsione, da parte del C. , del benché minimo contributo economico e del totale disinteresse manifestato nei confronti del piccolo D. , che si sottolineano inoltre datare già da epoca precedente alla ricordata declaratoria di fallimento. 7. Inficiati da genericità sono il quinto ed il sesto motivo d’impugnazione la Corte ha ravvisato, non certo illogicamente, nella sistematicità e nella lunga ed ininterrotta durata del comportamento illecito dell’imputato, la presenza di elementi tali da imporre la formulazione di una prognosi negativa, quanto alla possibilità di una sua astensione futura dalla commissione di condotte dello stesso tipo, valorizzando gli elementi medesimi al fine della negazione del beneficio delle attenuanti generiche, in assenza di circostanze concrete apprezzabili a tale ultimo fine. 8. Altrettanto dicasi con riferimento al settimo motivo di doglianza, in tema di mancata sostituzione della pena detentiva inflitta con la corrispondente sanzione pecuniaria anche qui, infatti, si assiste ad un’apodittica contestazione della motivazione della Corte territoriale, che, ponendo l’accento sui plurimi precedenti penali a carico dell’imputato - come tali, ovviamente indicativi della sua negativa personalità - e sulla conseguente impossibilità, per la pena sostituita, di esplicare la funzione rieducativa sua propria, ha doverosamente effettuato la valutazione che l’art. 58 della legge n. 689/1981, attraverso il richiamo ai criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., impone sia compiuta, in funzione dell’applicazione dell’istituto di cui all’art. 53 della stessa legge. Si veda in proposito, in senso conforme, Cass. sez. 5, sent. n. 10941 del 26.01.2011, Rv. 249717, secondo cui Ai fini della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria il giudice ricorre ai criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficacia della sanzione. In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la motivazione con cui il giudice di appello - confermando la decisione del Gup che aveva condannato l’imputato alla pena di mesi due di reclusione per il reato di lesioni personali ha rigettato l’istanza di conversione, ritenendo la pena pecuniaria inadeguata alla gravità del fatto ed alla personalità dell’imputato, non esercitando la stessa efficacia afflittiva né rieducativa in presenza di un comportamento violento adde anche, ancor più di recente, Sez. 2, sent. n. 28707 del 03.04.2013, Rv. 256725, nonché, a contrario, Sez. 3, sent. n. 37814 del 06.06.2013, Rv. 256979 . 9. Non consentita, infine, è l’ottava censura, relativa alla quantificazione della provvisionale, poiché - giusta il consolidato insegnamento di questa Corte - Il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. Fattispecie relativa a rigetto di ricorso della parte civile avverso la decurtazione, operata in appello, della provvisionale riconosciuta dal giudice di primo grado così Cass. Sez. 6, sent. n. 50746 del 14.10.2014, Rv. 261536 conf. Sez. 3, sent. n. 18663 del 27.01.2015, Rv. 263486 . Ferma restando, dunque, la possibilità per l’imputato di far valere nell’apposita sede tutte le proprie ragioni eventuali in proposito. Seguono le statuizioni previste dall’art. 616 cod. proc. pen., nonché la condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende, nonché a rifondere alla parte civile D.T. le spese sostenute nel grado, liquidandole in Euro 2.000,00 oltre spese generali in misura del 15%, IVA e CPA, come per legge spese da versarsi allo Stato.