Minorenne ricorre all’aborto illegale per paura della reazione della madre. Condannata la coppia che le ha fornito la “pillola”

Un ragazza minorenne, superati i 90 giorni-limite per l’interruzione di gravidanza, si rivolgeva a una coppia rumena che, illegalmente, le forniva la pillola abortiva. Inutile il ricorso in Cassazione dei due imputati, ritenuti colpevoli e condannati per il fatto.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 24 novembre 2016, n. 50059. Il caso. Gli imputati cagionavano l’interruzione della gravidanza di una minore dopo i 90 giorni-limite ed al di fuori dei casi previsti dalla legge, con conseguenti lesioni gravi alla minore endiometria settica con rischio di diffusione dell’infezione in grado di compromettere le funzioni vitali e pericolo di vita. Per tali fatti venivano condannati alla pena ritenuta di giustizia dal gip, confermata poi dalla Corte d’appello. Il primo degli imputati, ricorrendo in Cassazione, lamenta vizio di motivazione, in quanto il Giudice dell’appello, a detta sua, lo aveva erroneamente ritenuto concorrente nel reato che, in pratica, era stato commesso e perfezionato solo da sua moglie, coimputata. La Suprema Corte ritiene che invece la sentenza di primo grado aveva basato l’affermazione del concorso del ricorrente e del suo contributo causale sul fatto che il di lui numero di telefono era memorizzato nella rubrica del cellulare della persona offesa si rilevava inoltre un elevato traffico telefonico tra essi la persona offesa aveva peraltro dichiarato che, ricevuta dal ricorrente e dalla moglie, era stata quest’ultima a fornirle le pillole e ad indicarle come assumerle, mentre il marito aveva ricevuto nelle sue mani la somma di 50€ a titolo di compenso” per la prestazione”. Infine, in sede di interrogatorio di garanzia, lo stesso ricorrente aveva affermato che sia lui che la moglie erano consapevoli della minore età della ragazza. Se la minore non sembra minorenne. Anche la moglie ricorre in Cassazione, denunciando il vizio di motivazione ritenendo insufficiente la prova della consapevolezza della ricorrente della minore età della persona offesa, attesa che detta circostanza integra ipotesi autonoma di reato. Alla luce delle dichiarazioni rese dalla ginecologa del consultorio poi, che non aveva compreso la minore età della ragazza dal suo aspetto fisico, non risulterebbe superato il ragionevole dubbio, anche considerando il fatto che il superamento dei 90 giorni aveva comportato l’esigenza di ricorrere ad un aborto illegale. La Corte di Cassazione ricorda però che, come già affermato dal giudice di merito, la minore età della ragazza fosse desumibile evidentemente da tutto il discorso che ella aveva fatto ai ricorrenti per convincerli a darle il farmaco che avrebbe provocato l’interruzione di gravidanza, richiamando espressamente la sua paura che la madre potesse scoprire la gravidanza e reagire in maniera tanto violenta da cacciarla di casa considerazioni e preoccupazioni tipiche di una minorenne. I ricorsi sono ritenuti inammissibili.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 ottobre – 24 novembre 2016, n. 50059 Presidente Sabeone – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1. Con sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia in data 19/12/2013, con cui il C.C. e la A.M.O. erano stati ritenuti colpevoli e condannati a pena di giustizia in relazione al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 19, co. 1, 3, 5, 6, 7 legge 194/1978, per aver cagionato l'interruzione della gravidanza della minore S.M., dopo i 90 giorni ed al di fuori dei casi previsti dalla legge, con conseguenti lesioni gravi per la minore, consistite in endiometria settica con rischio di diffusione del fattore infettivo in grado di compromettere le funzioni vitali, e con pericolo di vita il 08/05/2013. 2. Con ricorso depositato il 17/11/2015 il C.C., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Carla Giordano, ricorre per violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 lett. b ed e , cod. proc. pen., in quanto dalla motivazione della sentenza si comprende come tutte le fasi della vicenda fossero state seguite dalla sola coimputata, compagna del C.C., la quale aveva consegnato alla minore le pasticche, fornendole indicazioni sul come utilizzarle e, successivamente, su cosa fare a seguito dell'emorragia verificatasi, laddove il ricorrente era solo stato presente al momento in cui la minore ed il di lei ragazzo avevano illustrato la loro situazione quanto alla ricezione della somma di euro 50,00 da parte del ricorrente, ci si duole della omessa motivazione, da parte della Corte territoriale, nonostante il motivo di appello sul punto concernente l'irrilevanza della circostanza consistita nell'essere stata la somma di denaro lasciata sul tavolo dell'abitazione degli imputati non sarebbe stata chiarita, inoltre, la differenza tra la connivenza ed il concorso, alla luce dell'irrilevanza della mera presenza fisica del ricorrente, pur consapevole della illiceità della condotta di un terzo, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità che si cita in ricorso, in assenza, da parte del C.C., che si trovava legittimamente nella propria abitazione, della titolarità di qualsivoglia posizione di garanzia ai fini della configurabilità di un concorso per omissione. 3. Con ricorso depositato il 07/01/2016 la A.M.O., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Fabio Spaziani, ricorre per 3.1. vizio di motivazione, ex art. 606 lett. e , cod. proc. pen., in relazione all'art. 19, comma 5, legge 194/1978 ed all'esc usione dell'aggravante di cui al comma 6 della detta norma, essendo insufficiente la prova della consapevolezza della ricorrente della minore età della Sapasu, atteso che detta circostanza integra una ipotesi autonoma di reato, richiedendo, quindi, un accertamento particolarmente pregnante nel caso in esame, alla luce delle dichiarazioni rese dalla ginecologa del consultorio - che aveva affermato di non aver compreso la minore età della ragazza dal suo aspetti fisico -, non apparirebbe superabile il ragionevole dubbio, anche considerato che l'esigenza di ricorrere ad un aborto illegale era stato giustificato con il superamento del termine di 90 giorni 3.2. violazione di legge, ex art. 606, lett. b , cod. proc. pen., in riferimento alla determinazione della pena. Considerato in diritto I ricorsi sono entrambi inammissibili. 1. Quanto al C.C., va detto che la sentenza dì primo grado - la cui descrizione del fatto è stata riprodotta dalla sentenza impugnata, alla pag. 3 - basa l'affermazione del concorso del ricorrente e del suo contributo causale sulle circostanza che il suo numero di cellulare era memorizzato nella rubrica del cellulare della persona offesa, la quale aveva dichiarato di essere stata ricevuta tanto dal ricorrente che dalla moglie di questi, e che, mentre la donna le aveva consegnato le pillole, indicandole come assumerle, l'uomo aveva ricevuto nelle sue mani la somma di euro 50,00 inoltre è stato messo in risalto, nella sentenza di primo grado, l'intenso traffico telefonico tra il cellulare della persona offesa, quello del lei ragazzo e le utenze mobili di entrambi gli imputati infine è stato dato rilievo alle dichiarazioni confessorie del ricorrente, il quale aveva affermato, in sede di interrogatorio di garanzia, che sia lui e la moglie erano consapevoli della minore età della ragazza. Risulta, quindi, palesemente contraddetta dalla motivazione del primo giudice, condivisa dalla Corte di merito, la circostanza sostenuta dalla difesa, secondo cui la somma di denaro sarebbe stata lasciata sul tavolo dell'abitazione degli imputati, a dimostrazione dell'estraneità ai fatti del Constantin inoltre, non pare affatto che la difesa si sia confrontata con le ulteriori argomentazioni poste a base dell'affermazione della penale responsabilità del ricorrente, con conseguente genericità del ricorso. 2. Quanto alla A.M.O., oltre alle ammissioni da parte del Constantin della consapevolezza da parte di entrambi della età minore della ragazza e le altre circostanze in precedenza descritte, va detto che la Corte di merito ha ricordato, altresì, come la minore età della ragazza fosse desumibile evidentemente da tutto il discorso che ella aveva fatto ad entrambi gli imputati per convincerli a darle il farmaco funzionale all'interruzione di gravidanza, richiamando espressamente la sua paura che la madre potesse scoprire la gravidanza e reagire violentemente, fino a cacciarla da casa, preoccupazioni tipiche di una minorenne, secondo la valutazione della Corte di merito. Le indicate circostanze, quindi, danno compiutamente conto di una ricostruzione logicamente non censurabile, a fronte della quale la difesa si è limitata a riprodurre pedissequamente i motivi di gravame, con conseguente genericità del ricorso. 3. Parimenti inammissibile appare la doglianza sulla determinazione della pena, individuata sulla scorta della gravità oggettiva della condotta, avendo la Corte di merito evidenziato la minore età della ragazza, le gravi conseguenze alla salute della stessa derivanti dalla condotta degli imputati ed il periodo - oltre tre mesi dall'inizio della gravidanza - in cui era stato procurato l'aborto detta motivazione - che comunque deve essere coordinata con la concessione, in sede di giudizio di primo grado, ad entrambi i ricorrenti, delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti - appare parimenti incensurabile in sede di legittimità. Risulta, infatti, pacifico il principio secondo cui deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. Sez. 1, sentenza n. 3155 del 25/09/2013, dep. 23/01/2014, Waychey ed altri, Rv. 258410 Sez. 6, sentenza n. 9120 del 02/07/1988, Urrata S. ed altri, Rv. 211582 . Dalla inammissibilità dei ricorsi discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ex art. 616 cod. proc. pen. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gi altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 198/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 198/03 in quanto imposto dalla legge.