E’ rilevabile d’ufficio il vizio di costituzionalità sopravvenuto qualora si rifletta sulla legalità della pena da applicare

La sentenza in commento pone, in maniera piuttosto chiara, la necessità a che la pena in concreto da applicare al reo sia sempre conforme a costituzione e, quindi, pienamente legale.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 49325/16 depositata il 21 novembre. Nella specie, peraltro, non si è trattato di una illegalità evidente e lapalissiana, ma di valutare se gli aumenti per la recidiva ex art. 99 comma 5 c.p., un tempo legittimamente effettuabili in via automatica e senza alcuna considerazione sulla concreta pericolosità del soggetto, potessero essere censurati in Cassazione e d’ufficio anche nel caso di inammissibilità del ricorso salvo il caso di tardività dello stesso il tutto a seguito della sentenza n. 185/15 della Corte costituzionale, che ha imposto la necessità di un accertamento della significatività del nuovo episodio delittuoso al fine dell’applicazione degli aumenti di pena per la recidiva, di cui si tratta, e che non era certamente vigente al tempo della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello. La vicenda. Era accaduto, infatti, che la corte distrettuale aveva applicato ad alcuni imputati, in maniera automatica, l’aumento per la recidiva di cui all’art. 99, comma 5, c.p., avendo oltretutto riconosciuto gli imputati colpevoli del reato di rapina a mano armata, in quanto era stato utilizzato un dissuasore elettrico il così detto taser” , che deve farsi rientrare nel concetto di arma da sparo, posto che è tale anche il lanciarazzi e che il taser, appunto, lancia” piccoli dardi o razzi, che a contatto con la persona ne producono la temporanea immobilizzazione con effetti più o meno imponenti sul sistema cardiaco. Se non che nelle more del ricorso, era intervenuta la sentenza della Corte costituzionale sopra richiamata e si è quindi posto il problema della sua incidenza sui giudizi di legittimità pendenti. Il controllo di legalità costituzionale. La risposta fornita dalla Suprema Corte in merito è stata chiara la accresciuta sensibilità nei confronti della tutela dei diritti fondamentali della persona ha condotto la Corte di Cassazione a ritenere necessario il controllo della legalità costituzionale anche quando i profili di illegittimità non riguardino la norma incriminatrice, ma la sola sanzione e ciò perché l’illegittimità costituzionale limitata alla sola sanzione è destinata ad incidere sul giudicato sostanziale si tratta pur sempre di una pena la cui esistenza è stata eliminata dall’ordinamento in maniera irreversibile e definitiva, peraltro con effetti ex tunc , come se non fosse mai esistita. Sicché la sua intrinseca illegalità impone che il giudice dell’impugnazione, ancorché inammissibile, provveda a ripristinare una sanzione legale, basata, in questo caso, sui criteri edittali ripristinati per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale Cass. SS.UU. n. 33040/15 . Da qui la conclusione per cui la definizione del trattamento sanzionatorio compenetra la fattispecie incriminatrice e soggiace a tutte le garanzie che conseguono alla applicazione del principio di legalità, rendendo necessario un riallineamento della sanzione con i parametri di legalità sopravvenuti alla fase di merito, indipendentemente dal fatto che la violazione sia stata dedotta con i motivi di ricorso, e dalla circostanza che il ricorso si profili inammissibile, sebbene non tardivo . Stante i presupposti, la Corte non ha potuto che prendere atto della situazione e cassare, nella parte de qua la decisione impugnata, rinviando per un nuovo giudizio sugli aumenti di pena della recidiva. Conclusioni. La decisione in commento si pone, per la parte qui evidenziata, nel solco di una nuova sensibilità per il concetto di pena legale o, meglio, di pena conforme ai canoni costituzionali. Non è un caso, del resto, che in motivazione si è fatto espresso riferimento alla sentenza Gatto” delle Sezioni unite Cass. Pen. SS.UU. n. 42858/14 , nella quale si è riferito come la concezione tradizionale del giudicato [] ha cominciato a essere posta in discussione con la proclamazione dei diritti fondamentali, che ha dato l’avvio ad una mutazione del fondamento e della stessa forza della cosa giudicata , in quanto l’interesse collettivo alla certezza dei rapporti giuridici cede di fronte alla necessità di tutelare il diritto individuale alla pena costituzionale , se del caso, anche in fase esecutiva. Un simile indirizzo non può che essere oggetto di plauso e va sostenuto con dovizia di argomenti e di riflessioni, poiché molti degli equilibri futuri si giocheranno sul piano del valore del giudicato penale. Ad ogni modo, non è questa la sede per affrontare simili delicate questioni, ma porre una domanda semplice, che pure trova una risposta chiara nella decisione in oggetto. Ma se il ricorso è inammissibile, come può ammettersi sul piano formale un annullamento di una decisione che dovrebbe essere ritenuta, sul piano logico, già definita e definitiva? Il fatto è che la sentenza non si intende passata in giudicato, se non con la effettiva dichiarazione di inammissibilità del ricorso [] e che il trattamento sanzionatorio definisce l’illecito penale compenetrandosi con la norma strictu sensu incriminatrice” e, come tale, soggiace al principio di obbligatoria applicazione della lex mitior vigente prima del passaggio in giudicato . Il passaggio in giudicato, insomma, è un effetto collegato ad un giudizio, che, fino a quando non viene emesso, non esiste e, dunque, non può determinare alcuna preclusione. In altri termini, il giudizio di Cassazione, anche quando ha per oggetto ricorsi inammissibili”, è pur sempre un giudizio e, fino a che non si è concluso, nulla impedisce al giudice anche di legittimità di ben giudicare e di vagliare se la statuizione impugnata sia o meno conforme ai canoni legali e della costituzione. Dopo tutto, il giudice è soggetto alla legge e la legge è soggetta alla Costituzione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 25 ottobre – 21 novembre 2016, n. 49325 Presidente Davigo – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bari confermava la sentenza di condanna emessa nei confronti degli imputati per il reato di concorso in rapina aggravata, detenzione di arma comune da sparo e lesioni personali. 2. Proponevano ricorso per cassazione con atti distinti, ma sovrapponibili quanto ai primi tre motivi i difensori del R. , del D.S. e del C. , che nell’interesse degli imputati deducevano 2.1. vizio di legge e di motivazione in quanto non sarebbero stati affrontati gli argomenti proposti con l’atto di appello 2.2. vizio di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento degli elementi costitutivi del delitto di rapina non vi sarebbe prova dell’uso del paralizzatore elettrico, che non emergerebbe né dalle dichiarazioni della persona offesa, né dalla documentazione sanitaria, che indicherebbe solo la presenza di uno stato di agitazione e di stress mancherebbe pertanto la prova dell’esercizio della violenza 2.3. vizio di legge e di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità in ordine al reato di lesioni mancherebbe la prova della lesione che non emergerebbe dai referti medici acquisiti. 3. Nell’interesse del D.S. e del R. veniva dedotto altresì vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del concorso anomalo previsto dall’art. 116 cod. pen. gli imputati avrebbero programmato ed accettato la partecipazione alla consumazione di un furto e non al più grave reato di rapina 4. nell’interesse del solo R. veniva dedotto vizio di legge e di motivazione in relazione al diniego di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale sarebbe stata illegittimamente negata l’acquisizione dei dati ricavabili dal GPS presente sull’auto in uso all’imputato, che avrebbero dimostrato che il R. aveva percorso strade diverse da quelle indicate dagli investigatori la decisione sarebbe inoltre in contrasto con le indicazioni offerte dalla Corte di Strasburgo in materia di rivalutazione della attendibilità della testimonianza decisiva. 5. Proponeva ricorso per cassazione personalmente il C. che deduceva 5.1. vizio di legge per mancata qualificazione del fatto come furto con strappo e vizio di legge in relazione all’accertamento di responsabilità per il reato di lesioni, motivi reiterativi di quelli dedotti nel ricorso proposto dal difensore nell’interesse dello stesso C. 5.3. vizio di legge in relazione all’accertamento di responsabilità per il reato di porto di arma comune da sparo non sarebbe stata considerato che la circolare del Ministero degli interni n. omissis del omissis faceva riferimento a due prototipi di storditori elettrici tra i quali non rientrava il dissuasore elettrico rinvenuto nella disponibilità degli imputati, che peraltro era di libera vendita e che pertanto doveva essere riconosciuto l’errore scusabile. 5.4. vizio di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 6. Proponeva ricorso per cassazione personalmente il M. che deduceva 6.1. vizio di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità gli elementi di prova non sarebbero indicativi della responsabilità dell’imputato, in particolare sarebbe fallace il riconoscimento dello scooter utilizzato dal C. per la fuga in quello del M. quest’ultimo il omissis si sarebbe trovato in via omissis solo perché abitava al civico n. 5 peraltro l’imputato frequentava il centro commerciale al solo fine di usare il wifi 6.2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze generiche nonostante fossero emersi elementi che ne avrebbero giustificato il riconoscimento 6.3. vizio di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto che avrebbe dovuto essere inquadrato come furto con strappo, tenuto conto che non era emersa la prova dell’uso del paralizzatore elettrico 6.4. vizio di legge in relazione all’accertamento di responsabilità per il reato di cui agli artt. 2,4 e 5 della L. 895 del 1967 non sarebbe stata considerata la circolare del Ministero degli interni n. [], [] del omissis che faceva riferimento a due prototipi di storditori elettrici tra i quali non rientra il dissuasore elettrico utilizzato per l’azione delittuosa 6.5. si deduceva altresì il mancato riconoscimento dell’errore scusabile. 7. Con motivi aggiunti la difesa del D.S. evidenziava l’illegittimità nel riconoscimento della recidiva ex art. 99 comma 5 cod. pen. dopo l’intervento della pronuncia di incostituzionalità della norma con sentenza n. 185 del 2015. Considerato in diritto 1. I motivi comuni ai ricorsi del R. , al D.S. ed al C. sono manifestamente infondati. 1.1. Il motivo di ricorso con cui si deduce l’omessa motivazione in relazione alle doglianze proposte con i motivi di appello è manifestamente infondato in quanto generico. Secondo l’orientamento della Corte di cassazione, che il collegio condivide, per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo lett. c e 591 comma primo lett. c del codice di rito comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame Cass. Sez. 6 sent. 13261 del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195 Cass. sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Rv. 241477 Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528 . 1.2. Il motivo che deduce l’assenza degli elementi costitutivi del reato di rapina poiché non vi sarebbe la prova dell’uso del paralizzatore elettrico, come anche il motivo che deduce l’inesistenza di elementi a supporto dell’accertamento di responsabilità in relazione al reato di lesioni sono manifestamente infondati in quanto si risolvono nella proposta di una lettura alternativa delle emergenze processuali, senza che siano individuate fratture logiche manifeste e decisive del percorso argomentativo offerto dalla Corte territoriale. Entrambe le sentenze di merito accertavano l’uso del paralizzatore elettrico nei confronti del Ri. che avvertiva immediatamente una puntura al petto successivamente i sanitari refertavano cardiopalma e stato di agitazione reattivo, ovvero esiti ritenuti, in aderenza alle emergenze processuali immediatamente riconducibili al patimento della scarica elettrica. Le allegazioni difensive risultano, in sintesi, dirette a proporre una lettura alternativa delle prove inammissibile in sede di legittimità. Il collegio ribadisce, sul punto, che esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’ iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354 . 2. Anche il motivo di ricorso, proposto nell’interesse del R. e del D.S. che lamenta la mancata valutazione della possibilità di riconoscere il concorso anomalo è manifestamente infondato. La doglianza non veniva proposta con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva ed inammissibilità del motivo. Né rileva la asserita proposizione della doglianza in sede di discussione sul punto il collegio ribadisce che l’effetto devolutivo dell’appello è determinato dal contenuto dei motivi di impugnazione, e non anche dalle richieste, in questi non contenute, ma proposte nella discussione orale innanzi al giudice di secondo grado Cass. sez. 2, n. 10247 del 12/04/1983, rv. 161467 . Peraltro dalla motivazione della sentenza impugnata emerge la valutazione circa l’esistenza dell’ incontrovertibile prova del collettivo coinvolgimento nell’azione senza possibilità per alcuno di chiamarsene fuori pag. 3 della sentenza impugnata si tratta di una valutazione che implicitamente respinge la doglianza tardivamente proposta in sede di discussione orale. 3. Manifestamente infondato è anche il motivo, proposto nell’interesse del R. che denuncia l’illegittimità del mancato rinnovo dell’istruttoria dibattimentale. Il collegio ribadisce che per prova decisiva sia da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia Cass. sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Rv. 259323 Cass. sez. 2, n. 16354 del 28/04/2006 Rv. 234752 . La prova richiesta deve dunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile. Tale valutazione rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimità. Nel caso di specie, con apprezzamento di merito privo di fratture logiche, la Corte di appello riteneva superflua l’integrazione volta a ricostruire i percorsi della Fiat Bravo in quanto il percorso era stato ricostruito dalla polizia giudiziaria pag. 4 della sentenza impugnata . 4. Sia il M. che il C. deducevano l’illegittimità della qualificazione del dissuasore elettrico utilizzato per la consumazione della rapina come arma comune da sparo. Entrambi invocavano altresì il riconoscimento dell’errore scusabile. Si tratta di doglianza infondata. I dissuasore elettrico, o taser, ha il funzionamento tipico delle armi da sparo, in quanto lancia due proiettili che, nel pungere l’offeso, scaricano energia elettrica. Quando viene azionato, il taser proietta due piccoli dardi con traiettorie non parallele in modo da aumentare la distanza tra i due, dato che l’efficacia aumenta quanto più i dardi sono distanti tra loro. I dardi sono collegati tramite dei fili elettrici al resto del dispositivo, il quale produce una scarica ad alta tensione e bassa intensità di corrente, rilasciata in brevissimi impulsi. Secondo l’art. 2 comma 3 della Legge n. 110 del 1975 sono armi comuni da sparo le armi ad aria compressa, i cui proiettili erogano una energia cinetica superiore a 7,5 joule nonché gli strumenti lanciarazzi, non destinati alla pesca ed alla caccia, dei quali non sia stata esclusa la idoneità a recare offesa alla persona. La norma consente dunque di inquadrare come arma comune da sparo ogni dispositivo che esplode proiettili dotati di una significativa energia cinetica, nonché i dispositivi lanciarazzi idonei a recare danno alla persona. Mentre la capacità di recare danno del proiettile dipende dalla energia cinetica erogata, diversamente i dispositivi lanciarazzi si presumono idonei all’offesa salvo che tale capacità non sia stata espressamente esclusa dall’autorità competente Banco nazionale di prova . Il taser con sistema di lancio ad aria compressa o ad innesco elettrico lancia appunto piccoli dardi, o razzi, che a contatto con la persona ne producono la temporanea immobilizzazione con effetti più o meno imponenti sul sistema cardiaco. È dunque un dispositivo la cui idoneità a recare a recare danno non dipende dall’energia cinetica dei dardi, essendo l’idoneità all’offesa dipendente dalla scarica elettrica, come dimostrato, nel caso di specie, dall’accertamento delle lesioni patite dalla vittima. Pertanto, per l’inquadramento del taser come arma comune da sparo non è necessario che venga misurata la energia cinetica di emissione del dardo, ma solo che, come nel caso di specie non sia stata esplicitamente esclusa la loro idoneità all’offesa. Né assume rilievo la circostanza che la circolare ministeriale del 1997 non faccia riferimento allo specifico modello di dissuasore elettrico rinvenuto nella disponibilità degli imputati si tratta infatti di circolare emessa in risposta ad alcuni quesiti su determinati modelli di dissuasori, dunque priva di caratteristiche di generalità. Le caratteristiche dell’arma e la sua nota direzione all’offesa consentono di ritenere manifestamente infondati anche i motivi diretti al riconoscimento dell’errore scusabile. Si ribadisce sul punto che a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosidetto dovere di informazione , attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto Cass. sez. un. n. 8154 del 10/06/1994 Rv. 197885 . Nel caso di specie non si rinvengono gli elementi per il riconoscimento dell’errore data la manifesta direzione all’offesa del taser. 5. Sia il difensore del M. che il C. personalmente deducevano altresì l’illegittimità del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Si tratta di doglianze manifestamente infondate in quanto non tengono conto della consolidata giurisprudenza secondo cui nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 Rv. 248244 Cass. Sez. 1^ sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994, rv 196880 . La concessione delle attenuanti generiche richiede infatti l’apprezzamento di elementi positivi, nel caso di specie non rinvenuti, che orientino la discrezionalità affidata al giudice nella definizione del trattamento sanzionatorio verso la attribuzione di una sanzione meno afflittiva. 6. È manifestamente infondato anche il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse del M. che sì risolve nella proposta di una lettura alternativa delle prove inammissibile in sede di legittimità. Il collegio ribadisce che esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’ iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354 . Con apprezzamento di merito privo di fratture logiche ed aderente alle emergenze processuali la Corte territoriale confermava l’accertamento di responsabilità effettuato dal Tribunale evidenziando che la contestuale presenza degli imputati nel centro commerciale nei giorni precedenti il delitto e la loro compresenza nelle vetture prima e dopo la rapina, al seguito del motorino su cui era fuggito il C. , all’evidente fine di recuperare il complice e la refurtiva, sono incontrovertibile prova del collettivo coinvolgimento nell’azione pag. 3 della sentenza impugnata . Si tratta di una valutazione di merito prova di fratture logiche manifeste e decisive ed aderente alle emergenze processuali che non risulta intaccata dai rilievi difensivi. 7. Il motivo aggiunto proposto nell’interesse del D.S. è invece fondato. Allo stesso veniva riconosciuta la recidiva obbligatoria prevista dall’art. 99 comma 5 cod. pen. automaticamente , senza che risultasse valutata, neanche implicitamente, la concreta incidenza sulla pericolosità dell’imputato del nuovo reato accertato. Si tratta di una valutazione in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 185 del 2015. La Consulta ha infatti stabilito che la previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo del reato, senza alcun accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso, era in contrasto con il principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed entità dell’offesa, dall’altra, in quanto la preclusione dell’accertamento della sussistenza delle condizioni che dovrebbero legittimare l’applicazione della recidiva poteva rendere la pena palesemente sproporzionata. Sul punto la sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata con rinvio alla Corte di appello che dovrà valutare se la recidiva debba essere o meno riconosciuto tenendo conto delle indicazioni della Consulta. Il giudizio sulla responsabilità passa, invece, in giudicato, essendo l’annullamento limitato, nei limiti indicati alla definizione del trattamento sanzionatorio. 8. Anche al R. veniva applicato automaticamente l’aumento per la recidiva obbligatoria prevista dall’art. 99 comma 5 cod. pen 8.1. Tale forma di recidiva, come già rilevato in relazione allo specifico motivo di ricorso proposto nell’interesse del D.S. ha perso la sua connotazione obbligatoria in seguito all’intervento della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 185 del 23 luglio 2015 ha dichiarato l’illegittimità della norma rilevando l’irragionevolezza del rigido automatismo applicativo previsto dal legislatore, che si risolveva in una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza non compatibile con la Costituzione. Il rigido automatismo sanzionatorio cui dava luogo la norma censurata stato considerato privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo . Irragionevolezza che, secondo la Consulta, è ancora più accentuata, se si considera che l’elenco dei delitti che comportano l’obbligatorietà della recidiva concerne reati eterogenei, collegati dal legislatore solo in funzione di esigenze processuali e in particolare del termine di durata massima delle indagini preliminari, dunque inidonei ad esprimere elemento comune significativo ai fini dell’applicazione della recidiva. Pertanto la previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo del reato, senza alcun accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso, è stato ritenuto in contrasto con il principio di proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed entità dell’offesa, dall’altra, in quanto la preclusione dell’accertamento della sussistenza delle condizioni che dovrebbero legittimare l’applicazione della recidiva poteva rendere la pena palesemente sproporzionata. 8.2. Nel caso di specie i giudici di merito applicavano l’aggravante senza effettuare alcuna valutazione in ordine alla sua possibile escludibilità, avendo come riferimento la norma nella configurazione antecedente alla dichiarazione di incostituzionalità, che prevedeva appunto la obbligatorietà del riconoscimento della recidiva ove si versasse nei casi previsti dal V comma dell’art. 99 cod.pen., ovvero una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza. La pena veniva cioè definita sulla base di parametri, che per quanto legittimi all’epoca della loro applicazione, sono stati successivamente dichiarati incompatibili con la Carta. Né dal corpo della motivazione si rinviene alcuna analisi circa la effettiva incidenza della recidiva sul disvalore del fatto che consentirebbe, come rilevato da giurisprudenza che si condivide, di ritenere comunque legittima la determinazione della pena, determinata di fatto in conformità con le indicazioni della Corte costituzionale Cass. sez. 2 n. 20205 del 26/04/2016, Rv. 266679 . 8.3. Il vizio non risulta tuttavia eccepito. In materia di rilevabilità d’ufficio del vizio di costituzionalità sopravvenuto si sono espresse autorevolmente, le Sezioni unite che hanno stabilito che nel giudizio di legittimità l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo Cass. sez. un. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207 . La accresciuta sensibilità nei confronti della tutela dei diritti fondamentali della persona ha condotto la Corte di cassazione a ritenere necessario il controllo della legalità costituzionale anche quando i profili di illegittimità non riguardino la norma incriminatrice, ma la sola sanzione. Le Sezioni Unite hanno stabilito che deve riconoscersi che anche l’illegittimità costituzionale limitata alla sola sanzione è destinata ad incidere sul giudicato sostanziale si tratta pur sempre di una pena la cui esistenza è stata eliminata dall’ordinamento in maniera irreversibile e definitiva, peraltro con effetti ex tunc , come se non fosse mai esistita. Sicché la sua intrinseca illegalità impone che il giudice dell’impugnazione, ancorché inammissibile, provveda a ripristinare una sanzione legale, basata, in questo caso, sui criteri edittali ripristinati per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Del resto, che il giudice della cognizione, in presenza di un ricorso inammissibile, debba provvedere alla rideterminazione della pena illegale derivante da pronuncia di incostituzionalità, deriva anche dall’osservazione che anche in questo caso si verifica la possibilità che lo stesso intervento può essere posto in essere in sede di esecuzione, come affermato recentemente, seppure in una ipotesi leggermente differente, dalle Sezioni unite. Infatti, in presenza di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, che incida comunque sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudice dell’esecuzione è chiamato a rideterminare la pena in favore del condannato Sez. U, n. 42858 del 29/5/2014, Gatto Cass. sez. un. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207 . Come rilevato dalla Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione l’onere di conformare il giudizio ai parametri costituzionali incombe non solo sul giudice della cognizione, ma anche su quello della esecuzione, che nel caso in cui sopravvenga l’illegittimità costituzionale di norme che regolano il trattamento sanzionatorio è tenuto al riallineamento della pena ai nuovi parametri. Si legge nella pronuncia Gatto delle Sezioni Unite la concezione tradizionale del giudicato ha dominato incontrastata per decenni nella giurisprudenza e nella cultura giuridica penalistica, influenzate dall’affermato ed egemone primato del potere statuale su qualsiasi diritto della persona ha cominciato a essere posta in discussione con la proclamazione dei diritti fondamentali, che ha dato l’avvio ad una mutazione del fondamento e della stessa forza della cosa giudicata. La Costituzione della Repubblica e, successivamente, il nuovo codice di procedura penale hanno ridimensionato profondamente il significato totalizzante attribuito all’intangibilità del giudicato quale espressione della tradizionale concezione autoritaria dello Stato e ne hanno, per contro, rafforzato la valenza di garanzia individuale Cass. Sez. un, n. 42858 del 29/5/2014, Gatto, Rv 260697 . In sintesi l’interesse collettivo alla certezza dei rapporti giuridici cede di fronte alla necessità di tutelare il diritto individuale alla pena costituzionale anche in fase esecutiva. Se la legge del caso concreto , il giudicato, risulta viziata anch’essa e deve essere ricondotta nell’alveo della legalità attraverso un intervento di rimodulazione in fase esecutiva. La pronuncia Gatto , cui si riferiscono i passaggi riportati è centrata sul tema della legalità costituzionale, ma prosegue il percorso avviato dalla sentenza emessa nel caso Ercolano Cass. sez. un., n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258649 che, invece, aveva affrontato il tema della legalità convenzionale trattando il caso di un condannato al quale era stata applicata la pena dell’ergastolo invece che dei trent’anni di reclusione , in violazione del principio di legalità convenzionale come interpretato nel noto caso Scoppola c. Italia. Si legge nella sentenza Ercolano l’istanza di legalità della pena, per il vero, è un tema che, in fase esecutiva,deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolata dal dato formale della c.d. situazione esaurita , che tale sostanzialmente non è, non potendosi tollerare che uno Stato democratico di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla CEDU e, quindi, alla Carta fondamentale. Non va sottaciuto, infatti, che la restrizione della libertà personale del condannato deve essere legittimata, durante l’intero arco della sua durata, da una legge conforme alla Costituzione artt. 13, comma secondo, 25, comma secondo e deve assolvere la funzione rieducativa imposta dall’art. 27, comma terzo, Cost., profili che vengono sicuramente vanificati dalla declaratoria d’incostituzionalità della normativa nazionale di riferimento, perché ritenuta in contrasto con la previsione convenzionale, quale parametro interposto dell’art. 117, comma primo, Cost. E, allora, s’impone un bilanciamento tra il valore costituzionale della intangibilità del giudicato e altri valori, pure costituzionalmente presidiati, quale il diritto fondamentale e inviolabile alla libertà personale, la cui tutela deve ragionevolmente prevalere sul primo Cass. sez. un., n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258649 . Anche nel caso Ercolano la Corte ha trattato un caso di sopravvenuta illegalità alta , ovvero di una violazione di parametri sopralegislativi, segnatamente convenzionali. La legittimazione dell’intervento di correzione sul giudicato fondato su una violazione della Convenzione EDU è stato agevolato, in tal caso dal fatto che la violazione della Convenzione Europea dei diritti umani fonte sovra legislativa ma sub costituzionale era stata certificata dall’intervento della Consulta che aveva dichiarato la violazione della convenzione Edu rilevante nel caso di specie Corte cost. n. 210 del 2013 . Diverso è il caso in cui il giudice comune si trovi di fronte al un contrasto della normativa interna con la giurisprudenza consolidata della CEDU in ossequio ai parametri che regolano l’onere di interpretazione conformativa prescritti dalla Consulta nella sentenza n. 49 del 2015 che non sia stato certificato da una pronuncia del Giudice delle leggi. I dubbi sulla rilevabilità d’ufficio della violazione convenzionale sono stati in parte risolti nel caso in cui venga in rilevo la violazione del diritto di difesa derivante dalla mancata rinnovazione del dibattimento in appello, con una inedita inclusione della legalità convenzionale nel vizio di motivazione Cass. sez. un n. 276216 del 28 aprile 2016 Dasgupta . Resta da chiarire se una patente violazione convenzionale non dichiarata dalla Corte sia sottoposta al controllo di legalità diffusa del giudice comune, sottraendosi così al vincolo di rispetto della catena devolutiva che governa il vizio di legge ordinario . 8.4. Ad oggi può comunque affermarsi che, in caso di illegittimità costituzionale di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio l’adeguamento della sanzione è un onere che incombe d’ufficio sul giudice della cognizione, essendo il controllo di costituzionalità, ovvero quello relativo ai parametri di legalità alta , implicito nell’esercizio della giurisdizione. La rilevazione di tali illegittimità sistemiche, non è infatti sottoposta al rispetto della catena devolutiva, ovvero all’obbligo di deduzione che caratterizza il vizio di legge ordinaria con le eccezioni che si rileveranno infra . Né osta alla rilevabilità di ufficio la inammissibilità del ricorso ove questa non dipenda dalla tardività nella proposizione dello stesso. Neanche l’obbligo di conformità ai parametri di legalità alta non può implicare, infatti, una perenne apertura della fase di cognizione. L’eventuale illegalità non denunciata tempestivamente non è tuttavia inemendabile, dato che, anche quando la conclusione del giudizio di cognizione consegua inesorabilmente alla mancata proposizione del ricorso nei termini, resta la possibilità per il condannato di far valere l’illegalità in sede di esecuzione. Come si è ricordato la violazione costituzionale può essere emendata anche post iudicatum , essendo stata esclusa la legalità di condanne fondate su norme dichiarate incostituzionali successivamente alla conclusione del processo Cass. sez. un. 42858 del 29 maggio 2014, Gatto , Rv 260697 e Cass. sez. un. n. 18821 del 24 ottobre 2013, dep 2014, Ercolano , Rv. 258650 . 8.5. Ma vi è di più. La valorizzazione della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo ha condotto la Corte di cassazione ad effettuare passi ulteriori, nella individuazione dei poteri d’ufficio. Così in caso di ricorso inammissibile la si è ritenuta rilevabile d’ufficio che l’illegittimità ordinaria del trattamento, ovvero quella derivante dall’intervento di norme di favore, entrate in vigore successivamente alla conclusione della fase di merito, la cui applicazione non era stata dedotta con i motivi di ricorso Cass. sez. un. n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111 . L’onere di attivare d’ufficio il riallineamento della pena ai più favorevoli parametri di legalità ordinaria ha trovato in tal caso giustificazione sulla base di due argomenti fondamentali. In primo luogo in modo innovativo si è valorizzato il fatto che la sentenza non si intende passata in giudicato, se non con la effettiva dichiarazione di inammissibilità del ricorso con conseguente legittima attivazione ufficiosa degli oneri di controllo della legalità imposti dall’art. 609 cod. proc. pen. durante il giudizio . Ma, soprattutto, si è evidenziato il fatto che il trattamento sanzionatorio definisce l’illecito penale compenetrandosi con la norma strictu sensu incriminatrice e, come tale, soggiace al principio di obbligatoria applicazione della lex mitior vigente prima del passaggio in giudicato. Il diritto alla applicazione della lex mitior secondo le sezioni unite trova copertura costituzionale nel principio di uguaglianza e nella funzione rieducativa della pena ed è inquadrabile nell’area dei diritti fondamentali della persona la cui tutela è affidata al controllo costante ed ufficioso anche dell’autorità giudiziaria. Si legge nella pronuncia citata che il diritto alla applicazione della legge sopravvenuta favorevole si inquadra tra le violazioni dei diritti fondamentali della persona che impongono anche al giudice, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di eliminare le conseguenze di tali violazioni e tra queste violazioni non può non essere inclusa, per le ragioni già indicate, quella di vedersi applicato un trattamento sanzionatorio sfavorevole in presenza di innovazioni normative che l’hanno mitigato Cass. sez. un. n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111 . L’evoluzione giurisprudenziale indica pertanto con chiarezza la necessità di tutelare i diritti fondamentali della persona, tanto più quando essi trovano una copertura diretta nelle norme di sistema, ovvero nella Costituzione e nelle norme sovranazionali di rango sovra legislativo . 8.6. Deve dunque essere affermato che la definizione del trattamento sanzionatorio compenetra la fattispecie incriminatrice e soggiace a tutte le garanzie che conseguono alla applicazione del principio di legalità, rendendo necessario un riallineamento della sanzione con i parametri di legalità sopravvenuti alla fase del merito, indipendentemente dal fatto che la violazione sia stata dedotta con i motivi di ricorso, e dalla circostanza che il ricorso si profili inammissibile, sebbene non tardivo. Tale interpretazione nel caso della violazione di legge alta ovvero di matrice costituzionale trova la sua ragione nella anomalia sistemica della sanzione che risulta irrogata sulla base di norme che la Corte costituzionale ha estratto dall’ordinamento con efficacia ex tunc dall’ordinamento l’effetto della pronuncia di incostituzionalità, già implicita nell’art. 136 Cost., è reso esplicito dall’art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87 che stabilisce che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione . Nel caso della violazione di legge ordinaria , ovvero di pena definita sulla base di parametri normativi non più attuali perché sostituiti da altri meno severi, la rilevabilità d’ufficio dell’illegittimità sopravvenuta della sanzione, anche in caso di ricorso inammissibile, trova la sua giustificazione nell’onere che incombe sull’autorità giudiziaria di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona, tra i quali si inquadra il diritto alla applicazione della lex mitior prima del giudicato. 8.7. Nel caso di specie l’automatico riconoscimento della recidiva prevista dall’art. 99 comma 5 cod. pen. non tiene conto della nuova conformazione dell’aggravante, nella dimensione che essa ha assunto dopo la pronuncia n. 185 del 2015 del Giudice delle leggi. Sul punto la sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata con rinvio alla Corte di appello che dovrà valutare se la recidiva debba essere o meno riconosciuto tenendo conto delle indicazioni della Consulta. Il giudizio sulla responsabilità passa in giudicato, essendo l’annullamento limitato, nei limiti indicati alla definizione del trattamento sanzionatorio. 9. Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1500,00. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva ritenuta nei confronti di D.S.A. e R.R. , con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto i ricorsi. Dichiara irrevocabile la sentenza in punto di responsabilità.