Il discrimine tra il delitto di rapina e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.

È quanto affermato dalla S.C. con la sentenza n. 48936 depositata il 18 novembre 2016. Il caso. Il gup del Tribunale per i minorenni di Brescia, riqualificando il reato di cui all’art. 393 c.p. le condotte ascritte all’imputato, dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto per essere il reato estinto per intervenuta remissione di querela. Il Procuratore Generale della Repubblica propone ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione degli artt. 393, 612 e 628 c.p. e deducendo che dalla sentenza impugnata emerge che l’imputato si era recato a casa della persona offesa accusando il figlio di questa di avergli rubato 2 telefoni cellulari e, appreso che lo stesso non abitava più in quel luogo, aveva iniziato ad inveire e profferire minacce, tentando di asportare tutto ciò che gli capitava, non riuscendo nell’intento solo grazie all’intervento della propria madre, sopraggiunta nel frattempo tornava poi indietro reiterando una condotta simile, ancora una volta bloccato dalla madre e dai vicini e, in seguito, colpiva con calci e pugni l’abitazione della persona offesa, profferendo minacce di morte nei confronti della sua famiglia. Esercizio arbitrario delle proprie ragioni o rapina? Il ricorso è fondato, avendo la sentenza impugnata ravvisato un’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con riferimento a condotte che nella stessa sentenza vengono descritte con modalità in alcun modo riconducibili a tale figura criminosa. Secondo la consolidata giurisprudenza, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato come già affermato da Cass. n. 2819/14 . L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce per procurarsi un profitto ingiusto, consapevole che ciò che pretende in realtà non gli spetta, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa. Inoltre, il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone non può configurarsi quando l’azione è rivolta nei confronti di soggetto estraneo al rapporto con l’agente su cui si fonda la pretesa creditoria. La sentenza viene dunque annullata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 ottobre – 18 novembre 2016, n. 48936 Presidente Diotallevi – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Brescia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in data 9/3/2016 con la quale il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Brescia, riqualificando nel reato di cui all’art. 393 cod. pen. le condotte ascritte a K.R. - già contestategli come configuranti due distinti reati di cui agli artt. 56 e 628 comma 1 cod. pen. ed all’art. 612 comma 2 cod. pen. - ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto per essere il reato estinto per intervenuta remissione di querela. Lamenta il ricorrente l’erronea applicazione degli artt. 393, 612 e 628 cod. pen. e deduce a tal fine che dalla sentenza impugnata emerge come accertato che l’imputato si era recato a casa della persona offesa accusando il figlio di questa di avergli rubato due telefoni cellulari e, appreso che lo stesso non abitava più in quel luogo, aveva iniziato ad inveire e profferire minacce, tentando di asportare tutto quel che gli capitava, non riuscendo nell’intento solo grazie all’intervento della propria madre, nel frattempo sopraggiunta era poi tornato indietro reiterando simile condotta, ancora una volta bloccato dalla madre e dai vicini e, subito dopo, aveva colpito con calci e pugni l’abitazione della persona offesa, profferendo minacce di morte nei confronti della sua famiglia. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti lamenta l’ufficio ricorrente che a la pretesa arbitrariamente agita dall’agente non corrisponde perfettamente a quella oggetto di possibile tutela da parte del giudice, avendo il K. diritto unicamente alla restituzione dei cellulari e non all’apprensione di altri beni b la condotta dell’imputato non si è rivolta nei confronti del destinatario della pretesa azionabile dinanzi al giudice, bensì nei confronti della madre del presunto autore del furto c il K. era ben consapevole di non poter vantare alcun diritto nei confronti della persona offesa e dei beni esistenti nell’abitazione di questa d le ulteriori minacce contestate ai sensi dell’art. 612 comma 2 cod. pen. erano autonome rispetto alla precedente condotta, e quindi non assorbibili nella stessa, pur erroneamente riqualificata in sentenza. Con memoria depositata in data 4/10/2016 la difesa contesta la fondatezza del ricorso, del quale chiede il rigetto, deducendo che il K. ha agito nella coscienza di essere portatore di un diritto nei confronti del figlio della signora G. , che abitava con lui, accecato dalla volontà di farsi giustizia da solo, consapevole del fatto che si trattasse della stessa abitazione del responsabile del furto . Considerato in diritto Il ricorso è fondato, in quanto la sentenza impugnata ha ravvisato un’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con riferimento a condotte che nella stessa sentenza vengono descritte con modalità in alcun modo riconducibili a tale figura criminosa. 1. Giova ricordare, infatti, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, condivisa dal collegio, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, Rv. 263589 sez. 5, n. 38820 del 26/10/2006, Rv. 235765 nel caso di specie, invece, la sentenza impugnata riferisce che il K. si era recato presso l’abitazione della G. per lamentare che il figlio di questa gli aveva sottratto il cellulare e chiedendo, pertanto, la riparazione di tale torto, sicché il tentativo di asportare un computer portatile era rivolto all’acquisizione di bene diverso da quello che avrebbe potuto ottenere con un’eventuale azione giudiziaria. Sotto tale profilo, si è anche rilevato che l’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa Sez. 6, n. 23678 del 01/04/2015, Rv. 263840 sez. 2, n. 43325 del 18/10/2007, Rv. 238309 . 2. In coerenza con quanto rilevato in ordine all’elemento soggettivo del reato, la giurisprudenza di questa corte ha anche chiarito che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone non può configurarsi quando l’azione è rivolta nei confronti di soggetto estraneo al rapporto con l’agente su cui si fonda la pretesa creditoria sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, Rv. 264967 , sicché osta alla qualificazione giuridica operata dalla Corte territoriale anche la direzione dell’azione criminosa, in quanto nel caso di specie rivolta non già verso il soggetto che si assume avrebbe sottratto il telefonino al K. , bensì alla madre dello stesso. 3. Anche l’ultimo motivo di impugnazione è fondato, in quanto dalla motivazione della sentenza emerge che il secondo capo di imputazione aveva ad oggetto minacce diverse da quelle con le quali era stata perpetrata l’azione criminosa volta all’apprensione di beni dall’abitazione della G. , e profferite, invece, quando il ricorrente era stato ormai bloccato e trascinato fuori da tale abitazione, sicché si tratta di minacce successive all’attività rivolta all’impossessamento di beni della persona offesa ed in alcun modo funzionali alla stessa e, pertanto, erroneamente sono state ritenute assorbite nella condotta contestata nel primo capo di imputazione. 4. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al tribunale per i minorenni di Brescia per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale per i Minorenni di Brescia per nuovo esame. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.