Maestra d’asilo violenta: i profili della responsabilità penale

L’intento educativo e correttivo non consente la qualificazione degli atti di violenza sistematicamente posti in essere da un’insegnante in danno di alunni minori come abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, dovendosi invece ravvisare la più grave fattispecie di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 48703 depositata il 17 novembre 2016. La violenza sui bimbi in asilo. La cronaca ci restituisce con sempre più preoccupante frequenza la descrizione di condotte violente poste in essere contro gli indifesi ad opera di coloro che dovrebbero proteggerli e accudirli. Siano essi bambini in tenera età, anziani o disabili la sensazione di sgomento, di angoscia annerisce l’animo di chi ascolta queste tristi storie. Fatte salve, ovviamente, le evoluzioni giudiziarie dei vari casi – con i loro esiti condannatori o assolutori – rimane pur vero che la fenomenologia della violenza nelle comunità scolastiche o nei luoghi di cura impensierisce non poco. Sia per gli effetti devastanti che produce su chi la subisce, sia per l’inspiegabile lontananza dalla natura umana degli istinti di chi le pone in essere. Oggi ci occupiamo della fredda analisi di una importantissima sentenza della Cassazione che ricostruisce – ottimamente, possiamo dire – i confini della qualificazione giuridica di fatti del genere, tagliando senza pietà la strada a derive interpretative minimizzanti. I bambini non si educano con la violenza. Può sembrare un monito retorico, eppure non lo è affatto. La vicenda che esaminiamo ha le sue radici in una nota indagine per episodi di violenza cui sarebbero stati sottoposti bimbi di tre anni in un asilo nido ad opera di una loro maestra. La decisione della Suprema Corte che ci è sottoposta è generata dall’impugnazione dell’ordinanza del tribunale della libertà che aveva a sua volta annullato il provvedimento cautelare applicativo degli arresti domiciliari disposti per l’indagata. A proporre ricorso è il Procuratore della Repubblica, che non aveva digerito affatto né la sostenuta carenza indiziaria, né la prospettata riqualificazione dei fatti da maltrattamenti verso fanciulli ad abuso dei mezzi di correzione o disciplina. Gli Ermellini danno ragione all’impugnante, e lo fanno con una secca decisione di annullamento con rinvio densa di plurimi richiami alla diversa obiettività giuridica delle due norme incriminatrici appena richiamate. Per sostenere la ricorrenza dell’ipotesi di reato meno grave – quella dell’abuso dei mezzi di correzione, per intenderci - occorrerebbe che la condotta posta in essere fosse comunque diretta alla educazione della persona affidata all’insegnante, il quale deve sempre calibrare l’intervento correttivo badando a non ledere l’incolumità fisica dell’alunno. Tale non può essere – nemmeno se l’intento perseguito fosse educativo – un comportamento sistematicamente violento o umiliante, consistito in strattonamenti e schiaffi sulle mani dei poveri bimbi, i quali – leggiamo – venivano anche sculacciati ripetutamente o bruscamente alzati”. Quindi, riassumendo a prescindere dalla intenzione pedagogica dell’agente, una condotta dolorosa, mortificante e violenta non può – e, ci sentiamo di aggiungere, non deve – essere ricondotta nella meno grave fattispecie di abuso di mezzi di correzione. E’, invece, una condotta maltrattante in piena regola. A sostegno di tale sacrosanta conclusione viene citata apposita giurisprudenza di legittimità. Del resto persino un Regio Decreto del 1928 aveva bandito la violenza fisica nelle scuole, vietando le punizioni corporali. E viene da sorridere amaramente, pensando a quanto tempo è passato da quel traguardo di civiltà pedagogica, raggiunto fra l’altro in pieno regime fascista la cui scuola di certo non brillava in quanto a permissivismo . Gli indizi vanno apprezzati globalmente. Altra bacchettata degli Ermellini, ai quali viene sottoposta una decisione che aveva escluso i gravi indizi di colpevolezza facendo leva sul mancato riscontro con altre fonti dichiarative di una testimonianza oculare delle condotte maltrattanti. Non serve alcun riscontro, scrivono in sostanza i giudici di Piazza Cavour le dichiarazioni di un teste oculare, se credibili, possono essere da sole sufficienti a dimostrare l’esistenza di un fatto storico e poco importa che alcuni testi abbiano riferito una circostanza e altri no. Puntuale arriva così il secondo principio di diritto quando si valutano i gravi indizi di colpevolezza i vari dati probatori non devono essere esaminati parcellizzandoli, ma essi vanno letti e apprezzati globalmente secondo logica comune”. La stessa che, per riportarci al tema centrale oggetto di questo nostro articolo, dovrebbe suggerire a chi vuol prendersi cura dei bambini propri e altrui come ci si deve comportare con chi ci viene affidato loro per essere educato e accudito.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 ottobre – 17 novembre 2016, n. 48703 Presidente Ippolito – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini ricorre avverso l’ordinanza in epigrafe, con la quale il Tribunale del Riesame di Bologna ha annullato l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Rimini che aveva applicato a P.L. la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 572 cod. pen., contestato alla P. per aver maltrattato gli alunni della sezione cuccioli , composta da bimbi di tre anni, a lei affidati in qualità di maestra della scuola dell’infanzia omissis . Il Tribunale rilevava al riguardo la mancanza di gravità indiziaria derivante, quanto all’episodio del 25.11.2016, dalla mancata conferma da parte di altre testi oculari delle dichiarazioni al riguardo rese dall’operatrice scolastica R.P. , la quale aveva riferito di aver visto nell’occasione la P. colpire ripetutamente con forti sculaccioni il bimbo G.L. , e, quanto alle condotte contestate come commesse nel periodo dal 19 febbraio al 17 marzo 2016, dal fatto che la durata complessiva dei sedici episodi in cui si sarebbero verificati i comportamenti contestati alla P. sarebbe pari a poco più di un minuto, a fonte di videoriprese protrattesi per centinaia di ore, non evidenziandosi condotte violente o denotanti una particolare aggressività da parte della stessa P. , condotte tuttalpiù caratterizzate, talvolta, da un fare brusco, senza che fossero prodotti reliquati obiettivamente constatabili e venisse in luce una volontà persecutoria nei confronti dei minori. Il Tribunale osservava infine che, poiché il delitto di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 cod. pen. non consente l’adozione di alcuna misura cautelare, non risultava necessario in questa sede verificare se quanto contestato alla P. integrasse o meno detto reato. 2. Il p.m. ricorrente censura l’ordinanza impugnata lamentando a Violazione dell’art. 572 cod. pen. in relazione all’art. 571 cod. pen. e vizi di motivazione, nonché errore di fatto in relazione all’episodio descritto al capo Al e alla ritenuta mancanza di conferma da parte delle insegnanti G.S. e B.M. delle dichiarazioni rese al riguardo dalla denunciante R.P. , operatrice scolastica, la quale aveva riferito di aver visto nell’occasione contestata la P. colpire ripetutamente con forti sculaccioni il bimbo G.L. . Il Tribunale avrebbe inoltre omesso di considerare le dichiarazioni rese a s.i.t. dai genitori dei bambini ed in particolare quelle della madre di G.L. , alla quale il figlio aveva riferito a più riprese, ed anche in momento antecedente all’esecuzione della misura cautelare de qua che la maestra P. lo colpiva con schiaffi dietro alla testa, con ciò confermando le dichiarazioni della denunciante R.P. . b Violazione dell’art. 572 cod. pen. in relazione all’art. 571 cod. pen. e vizi di motivazione, nonché errore di fatto in relazione alle condotte descritte al capo A2, invero risultanti da intercettazioni ambientali audio-video e consistenti in abituali comportamenti violenti e minacciosi della maestra P. nei confronti dei bambini affidati alle sue cure, come anche fatto palese dalle valutazioni espresse al riguardo dal consulente tecnico del p.m. dott.ssa C.C. , secondo la quale in taluni momenti l’abuso di comportamenti volti alla correzione educativa sfocia in pratiche connotate da un certo tipo di aggressività violenta da parte dell’educatrice che possono creare nel bambino sentimenti di umiliazione che mal definiscono la costruzione di senso e il significato emotivo del bambino stesso , particolarmente diseducativa e individuabile nella categoria dei maltrattamenti apparendo la pratica consistente nello strattonare i bambini e di alzarli da terra per dare perentorietà alle indicazioni educative. 3. In data 26.9.2016 è stata depositata nell’interesse di P.L. memoria difensiva con la quale si sostiene l’inammissibilità o comunque l’infondatezza del ricorso del pubblico ministero. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Va al riguardo premesso che in tema di rapporti tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, deve escludersi che l’intento educativo e correttivo dell’agente costituisca un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all’art. 571 cod. pen. Ne consegue che l’esercizio del potere di correzione al di fuori dei casi consentiti, o con mezzi di per sé illeciti o contrari allo scopo, deve ritenersi escluso dalla predetta ipotesi di abuso e va inquadrato nell’ambito di diverse fattispecie incriminatrici. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010, Rv. 249216, in fattispecie nella quale è stata censurata la pronuncia di merito, ravvisando il delitto di maltrattamenti nei confronti dei bambini affidati ad un asilo . L’abuso dei mezzi di correzione da parte di un insegnante è del resto sicuramente integrato non solo dall’uso di sanzioni corporali, vietato espressamente dal R.D. 26 aprile 1928 n. 1297, ma anche da qualunque condotta di coartazione fisica o morale che renda dolorose e mortificanti le relazioni tra l’insegnante e la classe o i singoli discenti attuata consapevolmente, foss’anche per finalità educative astrattamente accettabili Sez. 6, n. 8314 del 25/06/1996, Rv. 206131 . Il termine correzione va infatti assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo e non può ritenersi tale l’uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice, conseguendo da ciò che l’eccesso di mezzi di correzione violenti concretizza il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. e non rientra nella fattispecie di cui all’art. 571 cod. pen. neppure ove sostenuto da animus corrigendi Sez. 6, 10.5.2012, Ciasca Sez. 6, 2.5.2013, Banfi , poiché l’intenzione soggettiva non è idonea a far rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti, in rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche Sez. 6, 14.6.2013, Giusa . Va altresì ricordato che nel momento in cui è chiamato a verificare la persistenza del requisito della gravità degli indizi di colpevolezza, il Tribunale non può procedere ad una valutazione parcellizzata dei vari dati probatori, ma secondo il consolidato insegnamento di questa Corte - deve verificare se l’insieme degli elementi sottoposti al proprio vaglio, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, sia tale da assumere la valenza richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. ex multis, Cass. Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012, Della Costa, Rv. 254871 . 2. Di tali principi non ha fatto buon governo, nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Bologna. Ed invero, ed in primo luogo, erra il Tribunale nel ritenere mancante, quanto all’episodio descritto al capo A1, la conferma da parte delle insegnanti G.S. e B.M. delle dichiarazioni rese al riguardo dalla denunciante R.P. , operatrice scolastica, che ha riferito di aver visto nell’occasione contestata la P. colpire ripetutamente con forti sculaccioni il bimbo G.L. . Va infatti al proposito rilevato che le dichiarazioni di un teste oculare - cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di un fatto, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto. Giova inoltre ricordare che in tema di valutazione di una pluralità di prove testimoniali concernenti un medesimo fatto, la valenza probatoria delle dichiarazioni non è compromessa dal fatto che una o più circostanze siano riferite da alcuni testimoni e non da altri, se non a condizione che sia rigorosamente dimostrato che tutte le fonti orali, presenti in loco criminis , abbiano avuto la completa percezione del fatto nella interezza di tutti i segmenti dell’azione delittuosa Sez. 1, n. 34473 del 27/05/2015, P.C. in proc. Bottigliero e altro, Rv. 264276 . Pertanto, in mancanza di una qualsivoglia valutazione critica della credibilità soggettiva della R. e dell’attendibilità intrinseca del suo dettagliato racconto tale non potendosi ritenere il semplice riferimento alle s.i.t. rese da dalle insegnanti G. e B. , delle quali non si giustifica in alcun modo la completa percezione del fatto nella interezza di tutti i segmenti - non pare lecito dubitarsi della veridicità della ricostruzione di quel fatto offerta dalla stessa R. , la quale ha fatto stato di aver visto nell’occasione contestata la P. colpire ripetutamente con forti sculaccioni il bimbo G.L. . Tanto più che anche le s.i.t. rese dalla B. riferiscono di un’ingiustificata reazione violenta della P. in danno del bambino, che per tale motivo piangeva, senza che la dichiarante conoscesse il motivo scatenante di quella reazione. Del resto utili alla valutazione della gravità del compendio indiziario relativo a quell’accaduto appaiono, alla stregua di quanto precede, le dichiarazioni rese a s.i.t. dai genitori dei bambini ed in particolare quelle della madre del piccolo L. , alla quale il figlio aveva riferito a più riprese, ed anche in momento antecedente all’esecuzione della misura cautelare de qua, che la maestra P. lo colpiva con schiaffi dietro alla testa. 3. Il Tribunale ha poi proceduto ad una valutazione illogica e parcellizzata dei vari dati probatori con riferimento alle condotte descritte al capo A2, risultanti da intercettazioni ambientali audio-video, e delle quali il giudice del riesame sottolinea in maniera del tutto incongrua il mero dato quantitativo della durata delle condotte incriminate, depurata dalle fasi precedenti, messo in relazione alla durata delle riprese, protrattasi per centinaia di ore. L’inconsistenza di tale dato quantitativo rispetto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti accertati si rivela evidente laddove il Tribunale, in maniera oggettivamente travisante p. 11 , derubrica a critiche puntute e aspre riguardo le pratiche educative della prevenuta che non giungono all’individuazione di elementi da cui poter inferire che i minori hanno subito effettivamente dei maltrattamenti le valutazioni espresse dal consulente tecnico del p.m. dott.ssa C.C. , la quale, all’esito di un articolato esame dei comportamenti tenuti dalla maestra P. nei confronti dei bambini di tre anni affidati alle sue cure, conclude che in taluni momenti l’abuso di comportamenti volti alla correzione educativa sfocia in pratiche connotate da un certo tipo di aggressività violenta da parte dell’educatrice , foriere di potenziale danno per lo sviluppo affettivo e la dignità del bambino, particolarmente diseducativa e individuabile nella categoria dei maltrattamenti apparendo la pratica consistente nello strattonare i bambini e di alzarli da terra per dare perentorietà alle indicazioni educative. 4. Gravemente viziato risulta dunque, dal punto di vista fattuale, logico e giuridico, il percorso argomentativo ad esito del quale il Tribunale del riesame è pervenuto a negare la gravità indiziaria del reato di maltrattamenti affermata nell’ordinanza genetica della misura cautelare originariamente applicata alla P. e ad ipotizzare l’eventuale sussistenza della diversa fattispecie di cui all’art. 571, comma 1, cod. pen., pur a fronte di comportamenti non isolati, ma ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di minori affidati alla propria cura, suscettibili di costituire risposte sproporzionate rispetto alle cause ed alle finalità perseguite, a causa dell’uso di metodi di natura fisica, psicologica e morale esorbitanti dai limiti del mero rinforzo della proibizione o del messaggio educativo, in ragione dell’arbitrarietà dei presupposti, dell’eccesso nella misura della risposta correttiva - anche tenuto conto della tenera età delle persone offese -, nonché del non infrequente ricorso a condotte oggettivamente violente, quali gli strattonamenti, il fatto di alzare i bimbi in maniera brusca o gli schiaffi sulle mani. Condotte queste che travalicano i limiti dell’uso dei mezzi di correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla propria cura e, quindi, allo sviluppo armonico della personalità, sensibile ai valori della tolleranza e della pacifica convivenza, senza trasmodare nel ricorso sistematico a mezzi violenti che tali fini formativi contraddicono. Il Collegio non può che ribadire che l’uso della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi , non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti Cass. Sez. 6, n. 36564 del 10/05/2012, C., Rv. 253463 Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, C., Rv. 205033 . Ed invero, affinché possa essere configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di maltrattamenti, la risposta educativa dell’istituzione scolastica deve essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell’alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore Cass. Sez. 6 del 14/06/2012, n. 34492, V.G., Rv. 253654 . Né l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione di cui all’art. 571 cod. pen. anziché in quella dell’art. 572 cod. pen. Cass. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010, P.G. in proc. C. e altri, Rv. 249216 . Ed invero, l’intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell’ambito della fattispecie meno grave dell’art. 571 cod. pen. ciò che oggettivamente ne è escluso, in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall’ordinamento giuridico e non già dalla intenzione dell’agente Cass. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, C., Rv. 205034 . Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Bologna perché, in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità, proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, colmando - nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito - le indicate lacune e discrasie della motivazione. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame.