Il giudice d’appello non deve sostituirsi al pm!

La Corte territoriale non può allargare il capo d’imputazione, inserendovi elementi mai oggetto di esame nel corso del processo e su cui l’imputato non aveva spiegato alcuna difesa.

Così la Cassazione con la sentenza n. 48276/16 del 16 novembre. Il caso. La Corte d’appello confermava la condanna dell’imputata per il delitto di diffamazione a mezzo stampa. Questa presenta ricorso per cassazione. Il primo motivo, poi ritenuto sufficiente per l’annullamento della sentenza, denuncia violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in merito all’affermazione di responsabilità. La Corte territoriale avrebbe ampliato la portata della frase asseritamente diffamatoria, inserendo nel testo della sentenza l’intero periodo in cui era compresa la frase incriminata in conseguenza di tale scorretta operazione la condanna era intervenuta per affermazioni non richiamate nel capo di imputazione, con evidente lesione del diritto di difesa , conseguendone un vizio di motivazione. Il capo d’imputazione. Il ricorso è fondato. La S.C. premette che il processo ha una sua specificità, poiché le persone offese, parti civili, non risultano mai menzionate nel testo del libro incriminato e l’imputazione stessa è stata formulata in modo originale, avendo esplicitato al suo interno le ragioni per le quali i prossimi congiunti del defunto avevano recepito le notizie contenute nel libro come diffamatorie nei confronti di quest’ultimo. Infatti, secondo l’accusa, l’imputata, nel libro da lei scritto sulla banda della Magliana, aveva offeso la reputazione dei querelanti, avendo attribuito l’acquisto di un hotel ad un camorrista, mentre la struttura era stata acquistata nel 1978 dalla società di cui il defunto era stato amministratore, fatto ritenuto diffamante poiché teso a rappresentare il defunto come prestanome del camorrista. La peculiarità del capo d’imputazione ha influito negativamente sulla motivazione impugnata poiché essa, dopo aver dato atto dell’effetto ampliativo derivante dal metodo di redazione dell’addebito e dopo aver sottolineato che le espressioni in imputazione ritenute lesive dell’onorabilità del defunto non erano state scritte dall’imputata nel suo libro, non ne ha tratto le logiche conseguenze. L’”invasione di campo” della Corte d’appello. I Giudici d’appello hanno però invaso il campo di attribuzioni proprie del pm, cui incombeva l’obbligo di un’imputazione enunciata in forma chiara e precisa. La sentenza ha dovuto quindi collegare la brevissima frase incriminata, riferita al camorrista, come scoprì la Finanzasi comprò pure l’ omissis , all’intero periodo in cui era inseriva, così facendo riferimento ai rapporti finanziari della banda della Magliana con il camorrista, relativi a proventi di furti e rapine alle iniziative imprenditoriali di costui, tra le quali l’acquisizione dell’hotel. In tale modo si allargava il tema di accusa in senso sfavorevole all’imputata, con inevitabile lesione del suo diritto di difesa. L’indebito richiamo a dati estranei al campo di imputazione, mai oggetto di esame nel corso del processo e su cui l’imputato non aveva spiegato alcuna difesa, sono dunque ritenuti dalla Suprema Corte sufficienti ad integrare il vizio di illogicità di motivazione, comportando l’annullamento della sentenza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 luglio – 16 novembre 2016, n. 48276 Presidente Sabeone – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Roma ha riformato la decisione di primo grado, revocando la provvisionale a carico dell'imputata e del responsabile civile e confermando la condanna alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danno, per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, nei confronti dell'imputata e del responsabile civile Editori riuniti sri reato del Novembre 2009. 1.Ha presentato ricorso la difesa dell'imputata, che col primo motivo ha lamentato la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità. Il Giudice di secondo grado avrebbe ampliato la portata della frase asseritamente diffamatoria, inserendo nel testo della sentenza l'intero periodo in cui era compresa la frase incriminata in conseguenza di tale scorretta operazione la condanna era intervenuta per affermazioni non richiamate nel capo di imputazione, con evidente lesione del diritto di difesa, conseguendone, altresì, un tipico vizio di motivazione. 1.1 Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione di legge sulla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. Nel testo dell'intero libro e men che meno nel passo incriminato mai era stato menzionato M.O. e la società Mercati, né il alcun modo vi si trovavano notizie per considerare O. come un soggetto dedito a tutelare, anche indirettamente, gli interessi illeciti del camorrista M A questo scopo la sentenza aveva rappresentato che era noto in un determinato ambiente che O. fosse titolare di A.P e, pertanto, nel propalare la notizia che dietro l'albergo vi fosse la malavita, automaticamente si ledeva la reputazione dei vero proprietario. Sostiene il ricorrente che la categoria del fatto notorio usata dai Giudici non può essere allargata oltre misura e nel caso di specie non poteva colmare l'assenza di ogni riferimento nel testo ad O 1.2 Tramite il terzo motivo è stata criticata la decisione per violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo della diffamazione. Infatti, il brano del libro oggetto di imputazione era inserito in una sezione di esso dedicata alla figura del noto esponente della banda della M., E.N. e le notizie che la scrittrice voleva comunicare erano inerenti le vicende di costui, senza che in tale contesto assumesse rilievo specifico la sorte dell'Hotel A Esse, pertanto, nella loro sostanza riguardavano la storia criminale di N. ed in questa prospettiva erano vere, mentre il riferimento alla proprietà dell'Albergo, per di più attribuita ad un terzo soggetto - M. in contatto con la banda romana - costituiva una inesattezza marginale, di nessuna rilevanza nell'ambito dei racconto e per questo inidonea a veicolare un'informazione lesiva della reputazione delle parti offese. 1.2.1 La critica sui ritenuto elemento soggettivo del reato è stata incentrata sulla mancanza di risposta esplicita nella sentenza d'appello al relativo motivo e sulla motivazione dei primo Giudice, evidentemente condivisa in secondo grado. Quest'ultima aveva valorizzato la qualità professionale dell'imputata, cui non poteva sfuggire la portata diffamante delle sue espressioni ed il fatto che la sua narrazione aveva attribuito a M. l'acquisto negli anni ottanta dell'albergo tramite prestanomi, conseguendone per logica la qualifica di prestanome di M. dei proprietari di quel tempo. A parere del ricorrente il suddetto sillogismo era incompatibile col fatto che mai l'imputata aveva sostenuto che l'acquisto dell'albergo in parola fosse avvenuto tramite prestanomi. 1.3 La violazione di legge e l'omessa motivazione sul mancato giudizio di prevalenza delle circostanze generiche e sul trattamento sanzionatorio sono state oggetto del quarto motivo, poiché la sentenza d'appello aveva omesso di rispondere ai due motivi di impugnazione, respingendo le richieste ma senza alcuna giustificazione. 1.4 Il quinto motivo ha lamentato violazione di legge e carenza di motivazione riguardo la soluzione della questione della tempestività della querela. La parte civile aveva dichiarato in udienza di essere venuta a conoscenza del contenuto dei libro nel 2010 e, considerando che lo stesso giunse nelle librerie nel Novembre 2009, il riferimento temporale non poteva che essere ai primi mesi dei 2010 di conseguenza tardiva apparirebbe la querela presentata il 30 Giugno 2010. All'odierna udienza il Pg, dr O., ha concluso per il rigetto e la difesa dell'imputata, avvocato A., ha insistito per l'accoglimento dei ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1.Deve premettersi che il processo - come già osservato dalla Corte territoriale - presenta una sua specificità, poiché le persone offese, costituitesi parti civili, non risultano mai menzionate nel testo dei libro incriminato e l'imputazione stessa è stata formulata in modo originale, avendo esplicitato al suo interno le ragioni per le quali i prossimi congiunti di M.O. - deceduto - avevano recepito le notizie contenute nel libro come diffamatorie nei confronti di quest'ultimo. Infatti, secondo l'accusa accolta dai Giudici di merito, l'imputata nel libro da lei scritto sulla banda della M. aveva offeso la reputazione dei querelanti, avendo attribuito l'acquisto dell'Hotel A.P di Roma al noto camorrista Ciro M. mentre la struttura era stato acquistata nel 1978 da Mercato spa, di cui O. era stato amministratore, fatto ritenuto diffamante, poiché teso a rappresentare O. come prestanome di M 2. La peculiarità dei capo di imputazione ha influito in senso negativo sulla motivazione censurata in ricorso, poiché la stessa, dopo aver dato atto dell'effetto ampliativo derivante dal metodo di redazione dell'addebito, e dopo aver chiaramente sottolineato che le espressioni indicate in imputazione e ritenute lesive dell'onorabilità di O., non erano state scritte dall'imputata nel suo libro, non ne ha tratto le necessarie e logiche conseguenze. 2.1 Invero, i Giudici di appello si sono impegnati in una impropria e non consentita operazione ortopedica nei confronti dell'atto di incolpazione, invadendo il campo di attribuzioni proprie del Pubblico ministero, cui incombeva l'obbligo di enunciare l'imputazione in forma chiara e precisa. Allo scopo la sentenza ha dovuto collegare la brevissima frase incriminata, riferita al camorrista M. , come scoprì la Finanza si comprò pure l'A. palace , all'intero periodo in cui era stata inserita, così volendola interpretare in senso non atomistico e facendo riferimento ai rapporti finanziari della banda della M. con M., relativi a proventi di furti e rapine alle iniziative imprenditoriali di costui, tra le quali anche l'acquisizione dell'Hotel A., ed a quelle intraprese da N., che avrebbe usato soldi di M. per comprare uno stabilimento cinematografico. In tal modo, però, è stato allargato il tema di accusa in senso sfavorevole all'imputato, con inevitabile lesione dei suo diritto di difesa, poiché dal testo delle sentenze di merito non si ricava che l'istruttoria dibattimentale sia stata estesa anche ai suddetti aspetti dei fatto, sviluppo che avrebbe posto l'imputato nella condizione di difendersi anche riguardo ad essi ed avrebbe reso legittimo il riferimento a brani del libro non compresi nell'accusa. 2.2 Le specifiche critiche del ricorso, che hanno posto in luce l'indebito richiamo a dati estranei al capo di imputazione, mai oggetto di esame nel corso del processo e sui quali l'imputato non aveva, dunque, spiegato alcuna difesa, sono condivisibili e la sentenza deve essere annullata per il dedotto vizio di illogicità di motivazione, avendo la stessa argomentato su profili di fatto non presenti nel capo di imputazione, traendone ragioni decisive per la conferma della condanna in primo grado. 3. La infelice redazione del capo di accusa si riflette anche sulla valutazione del secondo motivo di ricorso,nonché sul profilo di gravame sub 1.2.1 ad esso correlabile. Invero, la decisione censurata ha ritenuto che in un determinato contesto imprenditoriale, costituito dai gestori degli alberghi di rilievo internazionale e dagli enti che con essi hanno a che fare, era noto che erano gli O. i titolari dell'attività e, dunque, in quell'ambiente la diffusione della notizia che dietro vi fosse la malavita, automaticamente ledeva la reputazione dei veri proprietari. 3.1 Anche in questo caso va osservato che la portata diffamatoria delle frasi oggetto dell'imputazione è stata dedotta dalla Corte attraverso un articolato, e non certo irragionevole, discorso argomentativo ma deve sottolinearsi che in tal modo risulta problematico giudicare integrata, come hanno fatto i Giudici romani, l'idoneità della frase incriminata, di per sé sola, a ledere la reputazione delle parti civili. Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma per nuovo esame. L'analisi degli altri i motivi di ricorso è assorbita. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma per nuovo esame.