Niente stipendio, non punibili i messaggi rancorosi all’ex datore di lavoro

Confermata l’assoluzione nei confronti del lavoratore. Comprensibile la sua reazione, per quanto poco ortodossa, alla condotta dell’imprenditore.

Retribuzione mai percepita. Scontata la reazione del dipendente nei confronti del suo ex datore di lavoro, bombardato con messaggi pieni di rancore. Per quanto la condotta tenuta dal lavoratore sia poco elegante, essa non è punibile Cassazione, sentenza n. 48245/2016, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Reazione. Il contenuto degli scritti ricevuti sul proprio cellulare è stato valutato dal datore di lavoro come minaccioso . Ecco spiegata la citazione in giudizio nei confronti del suo ex dipendente, finito sotto accusa per i delitti di ingiuria minaccia . A sorpresa, però, sia il Giudice di pace che il Tribunale ritengono non punibile il lavoratore. In sostanza, i magistrati ritengono impossibile parlare di reali minacce ai danni dell’imprenditore, da un lato, e, dall’altro, spiegano che la condotta tenuta dall’ex dipendente è stata frutto di uno sfogo incontrollato, derivante da una situazione esacerbata e quindi va valutata come reazione a una provocazione . E questa visione è condivisa ora dai giudici della Cassazione, che confermano l’assoluzione del lavoratore. Decisiva la ricostruzione della vicenda. In sintesi, dopo un accordo definito informale , l’imprenditore ha corrisposto un assegno per l’importo di 5mila euro all’ex dipendente, che però non ha potuto incassarlo, essendo esso risultato irregolare . Tale situazione, secondo i magistrati, rende comprensibile la reazione del lavoratore, reazione concretizzatasi, come detto, nei messaggi astiosi inviati al vecchio datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 giugno – 15 novembre 2016, n. 48245 Presidente Savani – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata il Tribunale di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti dell'imputato C., che lo aveva assolto dai delitti di ingiuria e minaccia ai danni dei suo ex datore di lavoro, C., per la scriminante della provocazione riguardo al primo e perché il fatto non costituisce reato per il secondo fatti compiuti tra Luglio e Settembre 2012. 1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa della parte civile, C., lamentando coi primo motivo l'erronea applicazione dell'art 599 cp e coi secondo l'illogicità della motivazione, poiché le frasi erano state ritenute in astratto minacciose ma frutto di uno sfogo incontrollato derivante da una situazione esacerbata al contrario il delitto era da ritenere integrato poiché allo scopo non è necessario che l'intimidazione si verifichi in concreto. In data 30 Maggio 2016 è pervenuta memoria difensiva da parte della difesa dell'imputato a sostegno delle ragioni della sentenza assolutoria. All'odierna udienza il difensore il PG, drssa D.N., ha concluso per il rigetto ed il difensore dell'imputato si è associato riportandosi alla memoria. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Deve sintetizzarsi la vicenda oggetto del processo per come emerge dalla sentenza impugnata, secondo la quale la parte civile C., aveva avuto alle proprie dipendenze l'imputato C. nel corso dell'anno 2010 ma non lo aveva retribuito dopo un accordo definito informale, gli aveva corrisposto un assegno per l'importo di 5000 euro, che C. non aveva potuto incassare perché irregolare. Dopo questo fatto C. aveva inviato all'ex datore di lavoro una serie di sms con le frasi descritte in imputazione, definite in sentenza rancorose. 1.1 La Corte ha sottolineato la vicinanza temporale tra il dovuto ma mancato pagamento delle prestazioni a C., qualificato comportamento oggettivamente ingiusto e la sua reazione, concretizzatasi nei messaggi astiosi, convalidando la soluzione data dal primo Giudice circa la sussistenza della causa di non punibilità ex art 599 cpp per il reato di ingiuria. 1.2 Quanto alle minacce, la sentenza ne ha escluso l'effettiva carica intimidatrice, inserendole nel contesto dei rapporto estremamente conflittuale creatosi tra l'ex datore di lavoro e l'ex dipendente, in cui il secondo aveva voluto manifestare al primo con rabbia il suo sdegno, piuttosto che esprimere una concreta volontà di ritorsione violenta ai suoi danni. 2. La motivazione censurata per illogicità appare, al contrario, plausibile e corretta dal punto di vista giuridico, poiché, in armonia con gli indirizzi di questa Corte in tema di delitto di minaccia, ha valutato le concrete circostanze in cui il fatto si era verificato, giudicandolo privo di effettive potenzialità minatorie. In tal senso Sez. 5, Sentenza n. 644 del 06/11/2013 Ud. dep. 10/01/2014 Rv. 257951 Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 cod. pen. - che ha natura di reato di pericolo - è necessario che la minaccia - da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto - sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto. Né il ricorrente ha prospettato eventi e/o situazioni da valutare in ordine alla potenzialità delle minacce di produrre turbamento psichico nella parte civile. 2.1 Per quanto riguarda la ritenuta sussistenza della causa di non punibilità, va osservato che il ricorso ha criticato il merito dell'apprezzamento decisionale della Corte, limitandosi ad enunciare che il lasso di tempo trascorso dall'ipotizzato fatto ingiusto alle ingiurie e minacce è certamente considerevole e tale da non giustificare la reazione senza svolgere censure puntuali sulla tenuta logica dell'apparato motivazionale criticato, che ha razionalmente posto in rilievo la prossimità dei mancato incasso dell'assegno di Luglio 2012 e l'inizio degli sms incriminati datato al 27 Luglio dello stesso anno. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di euro mille in favore della cassa delle ammende.