Violenza nel centro d’accoglienza: esercizio arbitrario delle proprie ragioni o sequestro di persona?

Il reato di sequestro di persona, laddove sia finalizzato ad ottenere in modi arbitrari la soddisfazione di una pretesa economica legittima, può qualificarsi ai sensi degli artt. 393 e 605 c.p

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47949/16 depositata l’11 novembre. La vicenda. Il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta sostituiva la misura cautelare del collocamento in comunità con la custodia in carcere, previa riqualificazione, ex artt. 309 c.p.p., dell’ipotesi di reato contestata all’imputato che, in concorso con altri due soggetti, privava della libertà di movimento gli operatori della struttura di accoglienza in cui era ospitato bloccando con una sbarra di ferro la porta d’ingresso alla stessa. L’azione criminosa, finalizzata ad ottenere la consegna immediata dei pocket money un bonus economico consegnato quotidianamente agli immigrati ospitati nel centro di accoglienza , veniva interrotta dal tempestivo intervento dei carabinieri, allertati dalle vittime. Il Giudice del riesame riteneva di procedere alla riqualificazione dei fatti come sequestro di persona ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni sul presupposto che la coartazione delle vittime non aveva raggiunto livelli d’intensità tali da superare i confini della violenza o minaccia, allo scopo di ottenere la soddisfazione di pretese illegittime. Azione intimidatoria e privazione della libertà. La Procura della Repubblica ricorre per la cassazione dell’ordinanza deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla riqualificazione dell’ipotesi di reato contestato. In particolare, il Tribunale avrebbe valutato incongruamente la condotta per quanto attiene all’ idoneità a coartare l’altrui volontà, attraverso la pressione intimidatoria esercitata nei confronti delle vittime poiché contradditorio il passaggio motivazionale in cui, a fronte della modesta capacità intimidatoria dell’azione criminosa, riteneva accertata la privazione della libertà delle persone offese dal reato. L’intensità della violenza. La Suprema Corte non condivide le argomentazioni addotte a sostegno del ricorso rilevando come il provvedimento impugnato correttamente si incentri sulle connotazioni di violenza e minaccia insite nell’azione contestata all’imputato. Ineccepibile si rileva infatti l’argomentazione del giudice laddove colloca l’episodio contestato in una più ampia manifestazione di protesta dei migranti caratterizzata dalla coartazione della volontà delle vittime che, per modalità e durata, non raggiungeva livelli tali da travalicare i confini della violenza e minaccia di cui alla fattispecie ex art. 393 c.p., in concorso formale con il reato di cui all’art. 605 c.p La giurisprudenza di legittimità è difatti ferma nel ritenere che, in relazione alla distinzione tra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, la privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire, come prezzo della liberazione, una prestazione patrimoniale eccedente il credito vantato nei confronti della vittima, rientra nella prima ipotesi delittuosa cfr. Cass. n. 45064/14 . Il provvedimento impugnato risulta dunque aver correttamente applicato il principio richiamato, essendo pacifico che un sequestro di persona finalizzato ad ottenere in modi arbitrari la soddisfazione di una pretesa economica legittima, possa qualificarsi ai sensi degli artt. 393 e 605 c.p Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 ottobre – 11 novembre, n. 47949 Presidente Di Tomassi – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 21/06/2016 il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, Sezione del riesame, pronunciandosi a norma dell’art. 309 cod. proc. pen., in parziale riforma dell’ordinanza di custodia in carcere applicata ad K.A. dal G.I.P. del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, previa riqualificazione dell’ipotesi di reato di cui al capo A della rubrica, così come contestata ai sensi dell’art. 630 cod. pen., nella fattispecie di cui agli artt. 110, 605 e 393 cod. pen., sostituiva la misura cautelare originariamente applicata con quella del collocamento in comunità. Secondo il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, Sezione del riesame, tra le ore 9.45 e le ore 10.10 del omissis , il K. , in concorso con altri due soggetti per i quali si procede separatamente, dando seguito a un’iniziativa intrapresa da L.B. , privava della libertà di movimento gli operatori della struttura di accoglienza nella quale si trovavano ospitati da qualche giorno - il Centro di accoglienza IPAB omissis - bloccando la porta d’ingresso con una sbarra di ferro e danneggiando alcuni arredi dell’immobile. Questa azione criminosa veniva interrotta dal tempestivo sopraggiungere dei Carabinieri, allertati telefonicamente dalle vittime, che sbloccavano la porta di accesso della struttura di accoglienza, liberando tutti i soggetti che si trovavano al suo interno e arrestando gli autori dell’azione delittuosa in contestazione. Nell’immediatezza dei fatti, inoltre, i Carabinieri intervenuti provvedevano a raccogliere le dichiarazioni delle vittime dell’attività di coartazione posta in essere dai tre minori, che chiarivano le ragioni e la dinamica dei fatti in contestazione. In questo contesto processuale, il Giudice del riesame riteneva incontroversa la dinamica degli accadimenti criminosi e riteneva di procedere alla riqualificazione dei fatti delittuosi, ai sensi degli artt. 110, 605 e 393 cod. pen., sul presupposto che la coartazione posta in essere dalle vittime - identificate in M.E. , Ma.Ma. , Me.La.Ma.Ve. , S.C. , L.M. , Se.Fr. e Mo.An. - non aveva raggiunto, per intensità e durata, livelli tali da indurre ad affermare che erano stati travalicati i limiti della violenza e della minaccia, allo scopo di ottenere la soddisfazione di pretese illegittime. Queste pretese, fin dalla prima fase delle indagini preliminari, venivano individuate nella consegna dei pocket money - che costituiscono un bonus economico giornaliero che viene consegnato ai migranti ospitati nei centri di accoglienza - e nella rivendicazione di un trattamento complessivo migliore rispetto a quello ricevuto all’interno della struttura dove i minori erano ospitati. Sulla scorta di questo compendio indiziario il provvedimento cautelare genetico, previa riqualificazione dei fatti illeciti contestati al K. , a norma degli artt. 110, 605 e 393 cod. pen., veniva riformato nei termini processuali che si sono richiamati. 2. Avverso tale ordinanza la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla configurazione dell’ipotesi di reato contestata al K. , così come riqualificata ai sensi degli artt. 110, 605 e 393 cod. pen. Si evidenziava, in proposito, che il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, Sezione del riesame, aveva valutato in termini incongrui la condotta del K. sotto il profilo della sua idoneità a coartare l’altrui volontà, attraverso la pressione intimidatoria esercitata nei confronti delle vittime, trascurando gli univoci elementi indiziari che imponevano di ritenere corretta l’originaria qualificazione dei fatti delittuosi ascritti all’indagato al capo A , tenuto conto dell’ingiustizia delle pretese economiche perseguite mediante l’esercizio di tali forme di intimidazione. Tra questi elementi indiziari, in particolare, si richiamavano l’elevato numero delle persone sequestrate e l’arco di tempo nel quale si protraeva l’azione criminosa, peraltro valutato dallo stesso Giudice del riesame in termini di apprezzabilità la circostanza che il K. , allo scopo di dare maggiore risonanza alla sua azione coercitiva aveva danneggiato alcuni arredi della struttura di accoglienza nella quale si trovava unitamente agli altri minori l’ulteriore circostanza che gli accadimenti criminosi, così come concordemente riferito dalle persone offese dal reato, si inserivano in un più ampio scenario criminale, conseguente al fatto che la protesta era stata organizzata da quattordici ospiti del centro di accoglienza. L’incongruità del percorso motivazionale, al contempo, veniva resa evidente dal fatto che il Giudice del riesame, pur escludendo la ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 630 cod. pen., sul presupposto della modesta forza intimidatoria dell’azione posta in essere dal K. e dai suoi complici, non riqualificava i fatti ai sensi dell’art. 393 cod. pen., ma ai sensi degli artt. 110, 605 e 393 cod. pen., dimostrando in tal modo che l’attività di coartazione - quale che fosse l’intensità dell’azione posta dall’indagato e dai suoi complici - aveva comunque determinato la privazione della libertà delle vittime per un arco temporale significativo. In questa cornice, la parte ricorrente riteneva palesemente contraddittorio il passaggio motivazionale del provvedimento impugnato nel quale, a fronte della modesta o insufficiente capacità intimidatoria dell’azione criminosa posta in essere dal K. e dai suoi complici, tale da ricondurla al solco applicativo dell’art. 630 cod. pen., si riteneva la condotta delittuosa contestata comunque idonea a determinare la privazione della libertà delle persone offese dal reato, com’è reso evidente dalla riqualificazione del reato ai sensi degli artt. 110, 605 e 393 cod. pen Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta è infondato e deve essere rigettato, pur ponendosi ai limiti dell’inammissibilità. Deve, in proposito, rilevarsi che costituisce ius receptum della giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare non può essere basata sul mero concetto di soccombenza delle parti e neppure può essere identificata nel mero interesse al rispetto di una norma di legge da parte dell’ordinamento giuridico cfr. Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv. 251693 . L’interesse a impugnare, piuttosto, deve essere individuato in una prospettiva giurisdizionale di natura eminentemente utilitaristica, consistente nelle finalità concretamente perseguita dal soggetto impugnante, tendente a rimuovere una situazione derivante da una decisione giudiziale, cui si collega il conseguimento di un’utilità, costituita da un provvedimento più vantaggioso rispetto a quello impugnato. Ne consegue che non sussiste l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. nel ricorso del pubblico ministero volto a ottenere solamente l’esatta applicazione della legge, senza l’indicazione di come da tale rettificazione possa derivare per il soggetto impugnante un risultato praticamente e concretamente favorevole cfr. Sez. 5, n. 43983 del 15/07/2009, D’Ingeo, Rv. 245100 . In questo contesto processuale, per ritenere l’impugnazione del pubblico ministero supportata da un interesse a impugnare, è necessario che tale soggetto processuale risulti titolare di un interesse concreto ed effettivo all’eliminazione del provvedimento pregiudizievole, indispensabile allo scopo di conseguire una decisione più favorevole, che non si verifica quando nell’eventuale giudizio di rinvio sarebbe comunque raggiunto un risultato non diverso da quello statuito con l’ordinanza impugnata. In questa cornice, deve osservarsi che il ricorso proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta non indica esplicitamente le finalità processuali perseguite con l’impugnazione, limitandosi a censurare la qualificazione giuridica dei fatti contestati al K. , ai sensi degli artt. 110, 393 e 605 cod. pen., pur potendo tali finalità desumersi implicitamente dal contenuto dell’impugnazione, sotto il profilo del differente regime dei termini di custodia cautelare applicabili a seconda della qualificazione del reato contestato al ricorrente. Tale possibilità di desumere implicitamente le finalità utilitaristiche perseguite dall’impugnazione proposta impedisce di ritenere inammissibile il ricorso in esame e impone di esaminare nel merito le censure sollevate dalla parte ricorrente. 2. Fatta questa indispensabile premessa, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata incentrava correttamente la sua decisione sulle connotazioni di violenza e minaccia insite nell’azione criminosa posta in essere dal K. e dai suoi complici in danno del personale del Centro di accoglienza IPAB Santa Lucia di Enna, individuando nelle finalità dell’azione coercitiva esercitata l’elemento indispensabile ai fini dell’inquadramento della condotta delittuosa contestata e disponendo conseguentemente la riqualificazione della fattispecie di cui al capo A , ai sensi agli artt. 110, 605 e 393 cod. pen Per giungere a queste conclusioni, il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, Sezione del riesame, seguiva un percorso argomentativo ineccepibile, evidenziando che il K. si limitava a privare le vittime della loro libertà personale, nel limitato arco temporale compreso tra le ore 9.45 e le ore 10.10 del omissis , chiudendo la porta d’ingresso del centro di accoglienza ennese con una sbarra di ferro e ponendo in essere un’attività di coercizione nell’ambito della quale la richiesta finalizzata a ottenere la consegna immediata dei pocket money - corrisposti discrezionalmente agli ospiti della struttura assistenziale con cadenza periodica - risultava inserita in una più ampia manifestazione di protesta contro le condizioni nelle quali i migranti venivano ospitati nella struttura in questione. Il limitato arco temporale nel quale l’azione coercitiva veniva esercitata, del resto, risulta dimostrata dalla circostanza che i Carabinieri, allertati telefonicamente alle ore 9.58 dalle stesse vittime della manifestazione di protesta in esame, alle ore 10.10, irrompevano nei locali del centro di accoglienza e arrestavano il K. e gli altri minori che avevano inscenato la manifestazione di protesta. In altri termini, la coartazione della volontà delle vittime, per modalità e durata, non raggiungeva livelli di offensività tali da travalicare i confini della violenza e della minaccia sorretti dall’intento di ottenere la soddisfazione di una pretesa legittima, essendo collegata alle condizioni nelle quali i minori risultavano alloggiati nella struttura. I fatti in contestazione, dunque, sulla base del compendio indiziario acquisito, risultano riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen., in concorso formale con il reato di cui all’art. 605 cod. pen., atteso che la violenza esercitata dal K. si è tradotta, in concreto, nella temporanea privazione della libertà di movimento delle vittime, allo scopo di inscenare la manifestazione di protesta di cui si è detto. Ne discende che il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, Sezione del riesame, valutava in termini ineccepibili la condotta illecita del K. , facendo riferimento alle finalità di coartare la volontà delle vittime per gli scopi di protesta richiamati e valutando correttamente gli elementi indiziari acquisiti, che imponevano di ritenere corretta l’originaria qualificazione dei fatti delittuosi ascritti all’indagato al capo A , tenuto conto delle finalità perseguite mediante l’esercizio di tali forme di intimidazione. Su questo fondamentale passaggio della vicenda criminosa l’ordinanza impugnata, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 2, forniva una spiegazione congrua, osservando che l’azione coercitiva posta in essere dal K. e dai suoi complici in danno del personale del centro di accoglienza dove erano allocati trovava la propria giustificazione nell’azione di protesta rivolta a ottenere la soddisfazione di una pretesa legittima, la quale, peraltro, sembrerebbe individuarsi non soltanto in quella, a contenuto patrimoniale, della consegna dei pocket money, ma, verosimilmente, nella rivendicazione di un miglior trattamento generale all’interno della struttura . . Ricostruiti in questi termini gli accadimenti criminosi, il provvedimento impugnato appare armonico rispetto alla posizione ermeneutica affermata dalla giurisprudenza di legittimità - pur dovendosi dare atto di alcune divergenze interpretative non condivise da questa Corte - in relazione alla distinzione tra il reato di cui all’art. 630 cod. pen. e quello di cui agli artt. 393 e 605 cod. pen., secondo cui Integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’art. 630 cod. pen., e non il concorso del delitto di sequestro di persona con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone artt. 605 e 393 dello stesso codice , la privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire, come prezzo della liberazione, una prestazione patrimoniale eccedente il credito, azionabile in sede giudiziaria, vantato nei confronti della persona offesa cfr. Sez. 6, n. 45064 del 12/06/2014, Sevdari, Rv. 260662 . In questa cornice, il provvedimento impugnato risulta conferente rispetto alla posizione ermeneutica sopra richiamata, secondo la quale è ben possibile che un sequestro di persona finalizzato a ottenere in modi arbitrari la soddisfazione di una legittima pretesa economica possa qualificarsi ai sensi degli artt. 393 e 605 cod. pen. Quanto, poi, al fatto che la violenza o la minaccia utilizzate per porre in essere il sequestro possano manifestarsi in termini di particolare intensità, occorre evidenziare che tale profilo influisce sulle caratteristiche della condotta, ma non incide sulla connotazione di ingiustizia del profitto, indispensabile ai fini della configurazione della fattispecie di cui all’art. 630 cod. pen. cfr. Sez. 5, n. 9731 del 03/02/2009, Rovere, Rv. 243020 Sez. 5, n. 38438 del 20/09/2001, Welsch, Rv. 219977 . 3. Per queste ragioni processuali, il ricorso proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta deve essere rigettato. Deve, infine, rilevarsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.