Gli Ermellini delineano i confini del cd. ergastolo ostativo, chiarendo lo scopo del principio di specialità in materia di estradizione

La Corte di Cassazione interviene in una tematica caratterizzata da un alto tasso tecnico e che è fonte costante di contenzioso, per il nostro Paese, in sede europea.

La I Sezione, con la sentenza n. 47935/2016, lo fa, peraltro, nell’ambito di un processo nel quale agli ordinari fattori di complessità si sommano quelli derivanti dall’estradizione dal Regno di Spagna del condannato, gravato dalla massima pena detentiva prevista dal nostro ordinamento. Proprio per questa ragione, la decisione si concentra anche sulle restrittive limitazioni dell’accesso ai benefici penitenziari di ristretti per reati che, per scelta legislativa, implicano una presunzione relativa di pericolosità sociale, declinate alla luce dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo. Il caso. Il giudizio a quo pendeva nei confronti di un soggetto condannato per numerosissimi gravi reati, inclusa l’associazione a delinquere di stampo mafioso, catturato e poi estradato in Italia. Nel corso dell’esecuzione intramuraria, costui domandava la concessione di un permesso premio, che gli era negata dal Magistrato di Sorveglianza di Ancona il suo successivo reclamo era rigettato dal competente Tribunale. Il Collegio specializzato riteneva che non potessero superarsi i fattori ostativi previsti dall’ordinamento e, più in dettaglio, che non fosse provata l’impossibilità o l’inesigibilità della collaborazione con la giustizia negava, al contempo, la dedotta violazione del principio di specialità e la fondatezza della denunciata questione di legittimità costituzionale, per supposto contrasto degli artt. 27, comma terzo, Cost. e 3 CEDU. Ricorre per Cassazione l’imputato, tramite impugnazione del difensore di fiducia, lamentando, anche con successiva memoria di argomentazione violazione di legge penale e carenze motivazionali, poiché l’accesso ad un regime detentivo più tenue sarebbe stato previsto dalla stessa sentenza di condanna, che riportava il testo delle disposizioni di riferimento, indicate all’autorità giudiziaria spagnola dal Ministro della Giustizia italiano error in procedendo ed illogicità della motivazione, che non avrebbe interpretato in senso costituzionalmente conforme la normativa penitenziaria concernente i cc.dd. detenuti non collaboranti violazione o erronea interpretazione del c.d. artt. 4 bis , 30 bis , 30 ter o.p. e 3 CEDU – cui consegue la riproposizione della quaestio costituzionale già eccepita – per non aver tratto le dovute conseguenze sul regime applicato dalla già avvenuta qualificazione dell’ergastolo come pena inumana e degradante”. La Corte – su parere conforme del Procuratore generale, espresso mediante il deposito di requisitoria scritta – rigetta il ricorso, condannando il proponente al pagamento delle spese processuali. Nella parte motiva, la cui lettura è complicata dai numerosi indispensabili richiami alla legislazione speciale, l’Estensore si districa con disinvoltura tra le diverse doglianze, giungendo a dichiararne l’infondatezza. L’esito finale dello scrutinio si correla non solo alla in validità giuridica degli argomenti avanzati, ma a due circostanze, che corre l’obbligo di introdurre diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, infatti, le autorità iberiche avevano accordato l’estradizione senza porre alcun limite di pena e senza richiedere alcuna garanzia circa la non applicazione della pena dell’ergastolo secondariamente, la pretesa violazione della clausola di specialità avrebbe dovuto essere devoluta al giudice dell’esecuzione, come correttamente osservato nell’impugnata ordinanza. Il principio di specialità in sede di estradizione. Malgrado ciò, gli Ermellini esaminano il tema, precisando come l’asserita difformità del titolo non riguardi ne l’irrogazione di pena differente ne, tanto meno, l’individuazione di un reato diverso per il quale accertare la responsabilità non c’è, dunque, alcuna violazione del principio previsto da Convenzione europea di estradizione ed art. 721 c.p.p. Le preclusioni per l’accesso alle misure premiali. Quanto alla valutazione dei requisiti di legge, pur senza entrare nel merito, si rileva come la loro previsione, oltre a rendere il sistema costituzionalmente e convenzionalmente conforme – per la possibilità, coerente con la logica rieducativa, di premiare” anche i destinatari della sanzione più severa – non possa tradursi nella semplice dimostrazione di una condotta carceraria rispettosa del regolamento, ma debba consistere nella prova di fattiva collaborazione, o, alternativamente, dell’impossibilità di rendere un utile apporto alle indagini o ai processi, con la derogabilità, solo in tal caso, del divieto assoluto di fruizione. Ciò non era accaduto nel caso di specie e, conseguentemente, nessuna critica poteva validamente muoversi all’operato del Tribunale marchigiano. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’impostazione appena delineata trova conforto non solo nei precedenti di legittimità, ma anche nell’orientamento espresso dalla Corte europea, per la quale agli Stati contraenti è riconosciuto un margine di apprezzamento nel decidere la durata appropriata di una pena detentiva per reati particolarmente gravi, comprese le pene perpetue inflitte a delinquenti adulti, a condizione che le stesse siano riducibili, nel senso che al detenuto l’ordinamento deve riconoscere una qualche prospettiva di liberazione vd. Corte EDU, Grande Camera, 9.7.2013, Vinter ed altri contro Regno Unito, nn. 66069/09, 130/10 e 3896/13 . Il noto art. 4 bis pertanto, pur particolarmente afflittivo, non determina alcun vulnus per i diritti umani riconosciuti dalle convenzioni internazionali. Conclusioni. La pronuncia in commento espone chiaramente l’ iter logico seguito dai Giudici capitolini riepilogando, altresì, i punti essenziali dell’esegesi accreditata a livello internazionale, che legittima la condanna al carcere a vita”. Al di là del ragionamento concretamente operato, giuridicamente ineccepibile, resta il dubbio sulla effettiva rispondenza allo spirito della Carta del c.d. ergastolo ostativo, istituto a più riprese criticato – a ragione – dalla dottrina, non solo processual-penalistica cfr., fra gli altri, B. SPRICIGO, La riflessione critica sul reato” e l’automatismo ostativo dell’art. 4- bis O.P., in Criminalia, 2014, pp. 619-641 e MUSUMECI C. PUGIOTTO A., Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, 2015, ESI .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 ottobre – 11 novembre 2016, n. 47935 Presidente Siotto – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 18 marzo 2015 il Tribunale di sorveglianza di Ancona respingeva il reclamo proposto dal condannato C.C. avverso decreto del Magistrato di sorveglianza di Ancona in data 19 novembre 2014, che aveva dichiarato inammissibile la sua istanza di concessione di un permesso premio. 1.1 A fondamento della decisione il Tribunale confermava l’esclusione del reclamante, - già condannato alla pena dell’ergastolo di cui al provvedimento di cumulo emesso in data 18 novembre 2013 dalla Procura della Repubblica di Taranto per associazione di stampo mafioso, omicidio aggravato continuato, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, danneggiamento aggravato, rapina aggravata, estorsione tentata ed altro -, dalla possibilità di accesso al beneficio richiesto, stante la natura dei reati commessi per finalità mafiose, rientranti nella previsione di cui al primo comma dell’art. 4-bis ord. pen. e la non ricorrenza delle condizioni per superare tale preclusione previste dall’art. 58-ter ord. pen. o dal comma 1-bis dello stesso art. 4-bis ord. pen., ossia della collaborazione con la giustizia o della collaborazione impossibile o inesigibile negava altresì la violazione del principio di specialità, posto che lo Stato italiano aveva ottenuto l’estradizione del condannato dalla Spagna in relazione ai reati per i quali egli stava scontando pena detentiva perpetua, non rilevando il regime penitenziario applicabile che riguarda modalità di esecuzione e non le fattispecie di reato giudicate e la pena irrogabile. Respingeva, infine, la questione di illegittimità costituzionale, sollevata dalla difesa del C. in relazione al disposto dell’art. 4-bis ord. pen. per contrasto con gli artt. 27 Cost., comma 3, e 3 CEDU, poiché la disposizione non vieta in assoluto al condannato per i reati di prima fascia l’accesso ai benefici penitenziari, ma lo subordina a condizioni affidate alle sue scelte di collaborare o meno con la giustizia, oppure all’accertamento dell’impossibilità o inesigibilità di detta collaborazione. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi a violazione e/o erronea interpretazione degli artt. 14 Convenzione Europea di estrazione, degli artt. 4-bis, 30-bis e 30-ter ord. pen., carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. I giudici di sorveglianza sono incorsi nell’errore di ritenere che l’ergastolano condannato per uno dei reati inseriti nell’elenco di cui all’art. 4-bis possa accedere ai benefici penitenziari a condizione che si penta , ma non ha tenuto conto che l’ammissione del C. alle misure di alleggerimento del regime detentivo è stata prevista direttamente nella sentenza che lo ha condannato, la quale ha riportato il testo delle disposizioni di ordinamento penitenziario, come indicate nella memoria del Ministro della Giustizia prodotta all’Autorità giudiziaria spagnola per ottenere l’estensione dell’estradizione. Nell’originario provvedimento di estradizione, emesso per altro procedimento, era stato fatto espresso divieto di applicazione dell’ergastolo, divieto superato soltanto in funzione delle garanzie date dal Ministro della Giustizia, di cui nell’ordinanza impugnata non si è tenuto conto e la stessa è incorsa nella violazione del principio di specialità di cui all’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione. La ritenuta appartenenza alla competenza del giudice dell’esecuzione della questione sulla violazione del principio di specialità non è comprensibile poiché in materia di permesso premio la competenza spetta al magistrato di sorveglianza in prima istanza e quindi al tribunale di sorveglianza investito dal reclamo, sicché tali giudici avrebbero potuto respingere la domanda volta ad ottenere il permesso premio, ma non dichiararla inammissibile per la ritenuta ostatività del reato per il quale l’istante ha riportato condanna per tali ragioni non è pertinente il richiamo al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. tanto più che nel caso del C. l’ergastolo ostativo costituisce una pena diversa da quella cui poteva essere assoggettato l’estradato dal momento che nell’ordinamento spagnolo l’ergastolo non è previsto. b Violazione e/o erronea interpretazione degli artt. 4-bis e 30-ter ord. pen., carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. In dottrina si è osservato che gli artt. 21, 30-ter, comma 4 lett. c , 50, comma 2, ord. pen. come modificati dalla legge n. 94/2009, prevedendo requisiti più rigorosi per l’accesso ai relativi benefici penitenziari, sono da ritenersi norme speciali rispetto all’art. 4-bis, comma 1, ord.pen. e comunque prevalenti per ragioni temporali rispetto al medesimo art. 4-bis, comma 1 modificato dalla legge n. 28/2009 e vanno applicati anche ai detenuti non collaboranti condannati per i delitti di prima fascia , posto che l’applicazione ai soli detenuti collaboranti renderebbe inutile la modifica, dal momento che nei riguardi di questi ultimi i limiti temporali più severi sono esclusi dall’art. 58-ter ord. pen Una diversa interpretazione abrogherebbe la possibilità di ammettere alla liberazione anticipata anche gli ergastolani per reati ostativi. La Corte Costituzionale ha individuato nella liberazione anticipata l’istituto che consente di salvaguardare la legittimità dell’ergastolo rispetto alla funzione rieducativa della pena inoltre, deve richiamarsi l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’accesso alla semilibertà da parte dei condannati per reati di cui all’art. 4-bis, comma 1-ter, ord. pen., consentito dopo l’espiazione di due terzi della pena e se non risultino collegamenti con la criminalità organizzata nel caso della pena dell’ergastolo l’art. 30-ter comma 4 lett. d , ne prevede la fruibilità dopo dieci anni di reclusione, che il C. ha già espiato. c Violazione e/o erronea interpretazione degli artt. 4-bis e 30-bis e 30-ter ord. pen. violazione dell’art. 3 CEDU carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte EDU ha già ritenuto l’ergastolo pena inumana e degradante che viola i diritti fondamentali della persona, il che da fondamento all’eccezione d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 30-ter ord. pen. in riferimento all’art. 27 Cost., comma 3. 3. Con requisitoria scritta depositata il 7 gennaio 2015 il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Enrico Delehaye, ha chiesto il rigetto del ricorso. 4. Con successiva memoria pervenuta in data 5 ottobre 2016 la difesa ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. Il primo motivo ripropone argomentazione incentrata sul contenuto del provvedimento emesso dall’Autorità giudiziaria del Regno di Spagna, che aveva consentito l’estensione dell’estradizione del ricorrente perché si procedesse nei suoi riguardi per il delitto di omicidio aggravato, commesso in danno di Q.N. , oggetto di procedimento penale pendente presso la Corte di Assise di appello di Taranto e diverso rispetto a quelli per i quali la sua estradizione era stata già autorizzata in precedenza assume dunque che la sentenza di condanna emessa in quel processo in data 30 settembre 2011, in coerenza con il contenuto del provvedimento di estensione dell’estradizione e con le garanzie espressamente offerte dal Ministro della Giustizia nella propria richiesta, aveva già riconosciuto la concedibilità al condannato estradato dei benefici penitenziari e che a tale riconoscimento pregresso i giudici di sorveglianza avrebbero dovuto uniformarsi, rilevando in ogni caso la violazione del principio di specialità per essere stato disatteso il provvedimento di estradizione. 1.1 La deduzione difensiva non può trovare seguito perché travisa sostanzialmente le argomentazioni contenute nella sentenza di condanna, emessa nella fase di cognizione ed incorre in un errore di diritto. 1.1.1 In primo luogo la motivazione della sentenza della Corte di Assise di appello di Taranto si è occupata del tema posto con l’impugnazione all’odierno esame nell’ambito della delibazione dell’eccezione sollevata dalla difesa in ordine all’assenza della condizione di procedibilità dell’azione penale per la nullità del provvedimento di estensione dell’estradizione emesso dal Giudice spagnolo il 28 novembre 2009 e dell’ordinanza n. 28/99 emessa dall’Audencia National di Madrid, eccezione respinta per la regolarità formale del procedimento seguito e comunque per l’insindacabilità da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato richiedente delle eventualità irregolarità denunciate in merito al procedimento celebrato innanzi all’autorità dello Stato richiesto dell’estradizione, statuizioni entrambe confermate dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 12919 del 2014 che ha reso definitiva la condanna del C. . Inoltre, la citata pronuncia dei giudici di appello ha escluso impedimenti all’applicazione della pena dell’ergastolo poiché le autorità spagnole, prima quella giudiziaria, quindi quella politica, avevano accordato nei suoi confronti l’estensione dell’estradizione senza porre alcun limite di pena e senza richiedere alcuna garanzia circa la non applicazione della pena dell’ergastolo . Ha rilevato al riguardo che il Ministro della Giustizia in precedente procedimento estradizionale, che aveva riguardato il C. per i delitti di duplice omicidio aggravato in danno di M.C. e C.L. e dei connessi reati, nel respingere la richiesta di prestare garanzia di non sottoporre l’estradando a pena a vita, con nota del 10 luglio 1995 aveva illustrato la disciplina dell’ergastolo nell’ordinamento italiano, come temperata dalla possibile ammissione a benefici in grado di escludere la perpetuità della detenzione ed assicurato che nel caso specifico l’esecuzione della pena dell’ergastolo sarebbe avvenuta nel rigoroso rispetto di tutti i principi e regole indicate . Tale specifica garanzia non era stata ripetuta per il procedimento per l’omicidio di Q.N. , perché non pretesa dalle autorità spagnole che nel frattempo avevano mutato orientamento e si erano determinate a non richiedere più nei confronti dell’Italia la condizione della mancata applicazione della pena perpetua. 1.1.2 Ebbene, tanto premesso, in base a quanto emerge dagli accertamenti già condotti dalla Corte di Assise di appello di Taranto, ritenuti ineccepibili dalla Corte di cassazione, resta escluso qualsiasi profilo di illegalità nella sottoposizione del ricorrente alla pena dell’ergastolo per violazione del provvedimento estradizionale, questione già affrontata e risolta con sentenza passata in giudicato e non ulteriormente controvertibile si è già affermato nella giurisprudenza di questa Corte che la violazione della clausola di specialità, operante quale condizione di procedibilità, una volta intervenuto il giudicato per non essere stata fatta valere la relativa questione o per essere la stessa stata respinta nel giudizio di cognizione, impedisce la sua riproposizione o deduzione per la prima volta in sede esecutiva Cass. Sez. 1, n. 43095 del 22/10/2012, Di Noia, rv. 253706 sez. 1, n. 35267 del 07/06/2006, Criaco, rv. 235085 Sez. U, n. 11971 del 29/11/2007, Pazienza, rv. 238953 , nella quale resta precluso sollevare questioni che avrebbero potuto e dovuto essere oggetto di contestazione con i mezzi di impugnazione e le uniche problematiche deducibili riguardano l’esistenza del giudicato e la validità formale del titolo che dà luogo ad esecuzione. È in ogni caso giuridicamente corretta l’osservazione contenuta nell’ordinanza impugnata, per la quale l’eventuale violazione del principio di specialità in riferimento alla pena irrogata in concreto al condannato, siccome difforme da quella prevista nel provvedimento di estradizione, è questione che avrebbe dovuto essere devoluta al giudice dell’esecuzione, coinvolgendo il contenuto del titolo esecutivo, e non essere proposta in via incidentale in sede di reclamo avverso il diniego di un beneficio penitenziario. 1.1.3 Resta poi escluso che il rilievo, operato dalla Corte di secondo grado nel giudizio di cognizione sulla possibilità di accesso del condannato agli istituti dell’ordinamento penitenziario che alleggeriscono o abbreviano la durata della pena perpetua, possa essere considerato quale valutazione pregiudiziale e vincolante nel procedimento di sorveglianza, cui doversi uniformare all’atto di valutare se il condannato abbia o meno diritto di accedere a permesso premio trattasi di osservazione di carattere generale ed astratto, frutto della considerazione dell’assetto regolamentativo dell’esecuzione della pena, proprio della legislazione penitenziaria italiana, che non può equivalere, sia per il suo contenuto in sé, sia per la limitata competenza dell’organo giudiziario da cui proviene, sia per il principio generale di soggezione del giudice soltanto alla legge, art. 101 Cost., ad un positivo e concreto riconoscimento delle condizioni di fruizione dei relativi benefici. 1.1.4 Né a conclusioni diverse può pervenirsi in riferimento alle condizioni detentive in concreto applicate sebbene, il diniego di accesso al permesso premio differisca in sé dalle limitazioni imposte ai condannati sottoposti a regime differenziato di cui all’art. 41-bis ord. pen., ciò nonostante è riferibile anche al caso in esame l’affermazione di principio secondo la quale le modalità di esecuzione della pena da scontare per il reato in relazione al quale l’estradizione è stata chiesta e concessa, non riguardando l’individuazione di un reato diverso per il quale accertare la responsabilità, né di pena difforme da quella a cui poteva essere assoggettato l’estradato nell’altro Stato, non dà luogo a violazione del principio di specialità, previsto dalla Convenzione Europea di estradizione e dall’art. 721 cod. proc. pen. Cass. sez. 1, n. 31659 del 08/07/2004, Cava, non massimata sez. 1, n. 52054 del 29/04/2014, Polverino, rv. 261808 . 2. Il secondo motivo non ha parimenti alcun pregio. L’ordinanza in verifica ha correttamente rilevato che il C. ha riportato condanna, fra l’altro, per omicidio aggravato dalla finalità di agevolare organizzazione di stampo mafioso, fattispecie di reato ostativa all’ammissione al beneficio richiesto secondo la previsione di cui all’art. 4-bis ord. pen., comma 1 nell’assenza delle condizioni che consentono di superare tale esclusione, posto che egli non ha collaborato con la giustizia e che nei giudizi di cognizione era emerso il suo ruolo determinante sia nella deliberazione dell’omicidio, sia nella direzione delle attività dell’organizzazione di appartenenza. Non è dunque corretto denunciare che per il Tribunale di sorveglianza l’unico presupposto per fruire del permesso premio sarebbe consistito nel pentimento del condannato il provvedimento impugnato ha offerto corretta applicazione del combinato disposto della L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 4-bis e 58-ter e della L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 2, avendo ritenuto insufficiente la corretta condotta carceraria a fronte della necessità, pretesa per legge, della collaborazione prestata con la giustizia, oppure della collaborazione inesigibile o impossibile. Questa Corte ha già affermato al riguardo che quando il condannato chieda di fruire dei benefici penitenziari deve prospettare nella propria istanza, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione tanto da consentire il superamento delle condizioni ostative alla luce dei principi espressi nelle sentenze n. 306 del 1993, 357 del 1994 e 68 del 1995 della Corte costituzionale, non essendovi dubbio che solo in tal caso è possibile valutare se la collaborazione del condannato sia impossibile perché fatti e responsabilità sono già stati completamente acclarati, o irrilevante perché la posizione marginale nell’organizzazione criminale non consente di conoscere fatti e compartecipi pertinenti a livello superiore Cass., sez. 1, n. 10427 del 24/02/2010, P.M. in proc. C., rv. 246397 sez. 1, n. 18658 del 12/2/2008, Sanfilippo, rv. 240177 sez. 1, n. n. 3034 del 18/5/1995, Zito, rv. 202082 . Si è altresì specificato con condivisibile affermazione di principio che Ai fini dell’ammissione a benefici penitenziari che presuppongano la prova della collaborazione con la giustizia dell’interessato, gli elementi che qualificano tale collaborazione devono essere accertati dal giudice anche d’ufficio, ma la parte ha l’onere di allegare e di prospettare le circostanze idonee a dimostrare l’impossibilità della utile collaborazione. Cass. sez. 1, n. 29217 del 06/06/2013, Imparato, rv. 256796 in senso conforme sez. 1, n. 39795 del 26/09/2007, Gioco, rv. 237741 . Nulla al riguardo ha dedotto il ricorrente per contrastare la constatazione della mancata allegazione delle condizioni necessarie al superamento del divieto di legge. Inoltre, anche il richiamo, operato in ricorso, all’opinione dottrinale, secondo la quale i limiti temporali prescritti dall’art. 30-ter ord. pen. devono essere applicati anche ai condannati per delitti di prima fascia di cui al comma 1 dell’art. 4-bis citato che non siano collaboranti per la natura di norma speciale, non tiene conto delle motivazioni del provvedimento impugnato, che non hanno negato il permesso premio per mancata espiazione del periodo minimo previsto per legge, ma per la presenza di altro impedimento normativo. In ogni caso va ribadito che in tema di assegnazione al lavoro all’esterno, di permessi premio e di misure alternative alla detenzione, non sussiste alcuna incompatibilità tra l’art. 4-bis, comma primo, ord. pen., così come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38, e l’art. 30-ter, comma secondo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, operando quest’ultima norma nel solo caso in cui il condannato per reati particolarmente gravi, cosiddetti di prima fascia, per l’attività di collaborazione già svolta o per l’impossibilità di fornirla utilmente, possa ritenersi affrancato dal divieto assoluto di fruizione Cass. sez. 1, n. 38464 del 19/09/2012, Musumeci, rv. 252983 sez. 1, n. 40044 del 05/07/2013, Calasso, rv. 257409 . 3. Il terzo motivo ripropone in modo acritico e non argomentato l’eccezione d’incostituzionalità dell’art. 30-ter e dell’art. 4-bis ord. pen., sollevata per violazione degli artt. 3 CEDU e 27 Cost Il Tribunale di sorveglianza ha già riscontrato la manifesta infondatezza dell’incidente e questa Corte non può non richiamare il proprio orientamento consolidato, secondo il quale È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma primo, e 58-ter della legge 25 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui subordinano la concessione dei benefici penitenziari nella specie, permessi premio ai condannati alla pena dell’ergastolo per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis, comma primo, cit. alla collaborazione con la giustizia, poiché tale disposizione consente al detenuto di scegliere se collaborare o meno, nonché di modificare la propria scelta, in ogni caso fruendo delle garanzie previste dagli art. 210 e 197 bis cod. proc. pen., e trova, inoltre, un limite quando la collaborazione è impossibile perché inesigibile o irrilevante Cass. sez. 1, n. 15982 del 17/09/2013, Greco, rv. 261990 in termini corrispondenti sez. 1, n. 40044 del 05/07/2013, Calasso, rv. 257409 . In perfetta aderenza con la giurisprudenza costituzionale sentenze n. 135/2003, n. 306/1993, n. 357/1994 e n. 68/1995 , si è già escluso che il regime limitativo prescritto dall’art. 4 bis, comma 1, con successive modificazioni, anche laddove subordina l’ammissione ai benefici penitenziari del condannato alla pena dell’ergastolo per uno dei delitti ivi previsti, alla collaborazione con la giustizia, violi i precetti costituzionali, dal momento che consente al condannato di scegliere se collaborare o meno ed eventualmente di modificare la propria scelta, sicché non si pone in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27 Cost., comma 3, considerato altresì che il divieto non opera nelle situazioni in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità rende comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia. Elementi a favore della tesi sostenuta con l’impugnazione non possono trarsi nemmeno dalla giurisprudenza della Corte EDU la sentenza della Grande Camera del 9/7/2013 nel caso Vinter ed altri contro Regno Unito, nn. 66069/09, 130/10 e 3896/13, nell’esaminare la conformità alla Convenzione delle disposizioni della legislazione britannica e gallese, che comminano l’ergastolo obbligatorio in caso di commissione dei più gravi reati, fra i quali l’omicidio, senza possibilità di riduzione, se non in casi eccezionali valutati dal ministro della giustizia ed accolti per motivi umanitari, in pratica limitati ai casi di malattia in fase terminale o d’invalidità grave, ha stabilito che agli Stati contraenti è riconosciuto un margine di apprezzamento nel decidere la durata appropriata di una pena detentiva per reati particolarmente gravi, comprese le pene perpetue inflitte a delinquenti adulti, a condizione che le stesse siano riducibili, nel senso che al detenuto l’ordinamento deve riconoscere una qualche prospettiva di liberazione. Se la legislazione nazionale garantisce la possibilità di riesame della pena dell’ergastolo effettivo e l’eventuale sua commutazione, sospensione o cessazione o comunque l’accesso alla liberazione su condizione, tanto è sufficiente a garantirne la conformità all’art. 3 della Convenzione. La pronuncia così riassunta, non soltanto ha condotto lo scrutinio di norme di ordinamento giuridico di altro paese, ma ha formulato principi più generali, che appaiono perfettamente rispettati dalla legislazione italiana, nella quale l’ergastolo quale pena perpetua è suscettibile di riduzione proprio per effetto della liberazione condizionale Corte EDU sez. 2, 11/10/2011, Schuchter c. Italia, n. 68476/10 Grande Camera, 12/2/2008, Kafkaris c. Cipro, n. 21906/04 , che garantisce di diritto e di fatto la trasformazione della pena di durata illimitata in temporanea ed offre al condannato aspettative di scarcerazione qualora presenti i requisiti pretesi dalle norme di riferimento. È comunque interessante riscontrare che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte sovranazionale ha riconosciuto che la condanna al carcere a vita non si pone di per sé in contrasto con l’art. 3 o con altre disposizioni della Convenzione, che non la vietano e non riconoscono al condannato il diritto ad ottenere la liberazione sotto condizione, né di vedere riesaminata la propria posizione in vista dell’applicazione di un condono o di una interruzione definitiva della pena, mentre il possibile conflitto con l’art. 3 è ravvisabile quando le previsioni normative configurino l’ergastolo come incompressibile , ossia immutabile nella durata perpetua e non abbreviabile nel corso dell’esecuzione per la negazione di qualsiasi prospettiva di successiva liberazione. Ciò che rileva è dunque l’astratta possibilità di riduzione del trattamento sanzionatorio alla stregua degli strumenti esecutivi previsti dalla legislazione interna, anche se non giurisdizionalizzati, ma affidati ad autorità amministrativa, non il rischio che, non ricorrendo in concreto i presupposti e le condizioni richiesti, la pena a vita sia effettivamente scontata per intero. Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.