L’istanza di revisione è ammissibile anche in caso di proscioglimento

La richiesta di revisione proposta ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c , c.p.c. avverso la sentenza del giudice dell’appello che abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato confermando contestualmente la condanna delle stesso al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, deve considerarsi ammissibile.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46707/16 depositata l’8 novembre. Il caso. La Corte d’appello di Ancona dichiarava inammissibile l’istanza di revisione della pronuncia di assoluzione proposta dall’imputato che era stato assolto per non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione del reato di bancarotta semplice, con conferma delle statuizioni civili adottate in prime cure. La pronuncia viene impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione dall’imputato che si duole per la ritenuta inammissibilità dell’istanza di revisione perché promossa avverso una sentenza di proscioglimento. L’orientamento originario. La consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che la richiesta di revisione della sentenza è inammissibile anche quando il proscioglimento non sia completamente liberatorio, come nel caso in cui, rilevata l’estinzione del reato, il giudice d’appello abbia confermato le statuizioni civili adottate in primo grado. Sulla base delle deduzioni fornite dal ricorrente, il Collegio ritiene di dover rivisitare tale orientamento. Azione penale e civile. In considerazione del quadro normativo delineato dall’art. 629 c.p.p., che ammette in ogni tempo la revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali a favore dei condannati, e dall’art. 632 che nell’individuare i soggetti legittimati evoca la figura generica del condannato”, gli Ermellini allargano la visuale in tema di azione civile esercitata nel processo penale, ritenendo che anche nel caso in cui l’imputato risulti soccombente rispetto alla richiesta della parte civile egli possa comunque essere considerato condannato” alle restituzioni e al risarcimento del danno. In tal senso dunque i confini soggettivi ed oggettivi dell’ammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza non possono essere arbitrariamente scandite in ragione del tipo di condanna subita dall’imputato , in quanto il solo fatto di essere stato convenuto in giudizio, sia per l’azione penale che per l’azione civile, comporta il necessario riconoscimento di identici diritti processuali, salvo espresse distinzioni normative tra i due profili. Revisione della sentenza di proscioglimento. In conclusione, la Corte afferma il principio di diritto per cui è ammissibile la richiesta di revisione proposta ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c , c.p.c. avverso la sentenza del giudice dell’appello che abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato confermando contestualmente la condanna delle stesso al risarcimento del danno nei confronti della parte civile . La Corte annulla dunque l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello territorialmente competente per un nuovo esame della richiesta del concorrente.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 ottobre – 8 novembre 2016, n. 46707 Presidente Palla – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata la Corte d’appello di Ancona ha dichiarato inammissibile ex art. 634 in riferimento all’art. 629 c.p.p., in quanto proposta avverso una sentenza di proscioglimento, l’istanza di revisione proposta da P.G. avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta prescrizione in riferimento al reato di bancarotta impropria semplice - così riqualificata l’originaria contestazione di bancarotta fraudolenta, reato per cui il P. era stato condannato in prime cure - confermando, seppure rimodulandole, le statuizioni civili adottate dal Tribunale. 2. Avverso l’ordinanza ricorre il P. a mezzo del proprio difensore articolando due motivi. Con il primo deduce violazione di legge, lamentando in tal senso che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere inammissibile l’istanza di revisione in quanto proposta avverso una sentenza di proscioglimento. Secondo il ricorrente, infatti, una lettura costituzionalmente orientata degli artt. 629 e 634 c.p.p. imporrebbe di estendere l’operatività dell’istituto anche alle sentenze di proscioglimento non pienamente liberatorie, in quanto, muovendo in ogni caso da un accertamento di responsabilità, contengano statuizioni fortemente pregiudizievoli per il prosciolto come nel caso di specie in cui nei confronti del P. è stata pronunziata condanna generica al risarcimento dei danni ed al pagamento di una provvisionale. Con il secondo motivo il ricorrente solleva in via subordinata eccezione di illegittimità costituzionale del menzionato art. 629 c.p.p. nella parte in cui non consente la proposizione dell’istanza di revisione avverso le pronunzie che, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, confermino le statuizioni civili a carico del prosciolto, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nonché dell’art. 4 comma 2 del Settimo Protocollo alla CEDU quale parametro interposto ex art. 117 Cost. Il 15 settembre 2016, infine, il difensore del P. ha depositato memoria di replica alle conclusioni del PG confutandone le argomentazioni svolte. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. 2. In particolare è fondato il primo motivo di ricorso, il cui accoglimento comporta l’assorbimento del secondo. 2.1 Come ricordato nel provvedimento impugnato che alla stessa si è ispirato, la giurisprudenza di questa Corte si è effettivamente consolidata nel senso dell’inammissibilità della richiesta di revisione della sentenze definitiva di proscioglimento anche quando non pienamente liberatoria, come nel caso in cui, rilevata l’estinzione del reato agli effetti penali, il giudice dell’impugnazione confermi le statuizioni civili adottate in prime cure Sez. 6, n. 4231/93 del 30 novembre 1992, Melis, Rv. 193457 Sez. 5, n. 2393/11 del 2 dicembre 2010, Pavesi, Rv. 249781 Sez. 3, n. 24155 del 3 marzo 2011, Bernardelli, Rv. 250631 Sez. 2 n. 8864 del 23 febbraio 2016, Martelli, non massimata . È peraltro opinione del Collegio che tale orientamento meriti di essere rivisitato alla luce delle obiezioni svolte dal ricorrente. 2.2 L’art. 629 c.p.p. stabilisce che è ammessa in ogni tempo, a favore dei condannati e nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali facoltà poi estesa alle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con L. 12 giugno 2003. Non è dunque in dubbio che la revisione sia un mezzo, sia pur straordinario, di impugnazione e che essa sia dunque soggetta al principio di tassatività di cui all’art. 568 comma 1 c.p.p. Ed è altrettanto indiscutibile che, riguardando l’art. 629 c.p.p. soltanto le sentenze di condanna e di patteggiamento, quelle di proscioglimento non siano suscettibili di revisione, come per l’appunto costantemente ribadito da questa Corte per il principio generale ex multis Sez. 5, n. 15973 del 24 febbraio 2004, Decio, Rv. 228763 . 2.3 Ciò che non appare condivisibile è invece ritenere che la sentenza di proscioglimento non possa essere sottoposta a revisione qualora con la stessa si sia provveduto in maniera pregiudizievole per l’imputato in ordine alle richieste della parte civile. Infatti l’impossibilità di accedere al rimedio straordinario in questa ipotesi è stata tralaticiamente affermata come necessaria conseguenza del difetto di legittimazione dell’interessato ad ottenere la rivisitazione agli effetti penali della sentenza di proscioglimento e sulla base dell’implicito assunto che l’art. 629 c.p.p., nell’individuare i provvedimenti soggetti a revisione, si riferisca esclusivamente a quelli che abbiano affermato in maniera definitiva la responsabilità dell’imputato agli stessi effetti. In tal senso il principio di tassatività delle impugnazioni, il carattere straordinario del rimedio ed il conseguente obbligo di stretta interpretazione delle disposizioni che lo configurano, impedirebbero altresì letture estensive della norma da ultima citata. 2.4 In realtà una attenta lettura del compendio normativo di riferimento consente di giungere a conclusioni diverse. 2.4.1 Va infatti osservato come il citato art. 629 c.p.p. indichi tra i provvedimenti soggetti a revisione le sentenze di condanna , senza precisare ulteriormente l’oggetto delle stesse e come, simmetricamente, il successivo art. 632, nell’individuare i soggetti legittimati a proporre la richiesta di revisione, evochi in maniera altrettanto generica la figura del condannato . Allargando la visuale alle disposizioni che disciplinano la decisione sull’azione civile esercitata nel processo penale, non è poi dubitabile che la soccombenza dell’imputato nei confronti della parte civile venga veicolata da una pronunzia di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato, come espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 c.p.p. e che, dunque, lo tesso imputato sia condannato alle restituzioni ed al risarcimento del danno. 2.4.2 Le locuzioni che delimitano soggettivamente ed oggettivamente la sfera di applicabilità del rimedio straordinario di cui si tratta, non possono allora essere arbitrariamente scandite in ragione del tipo di condanna subita dall’imputato, giacché l’essere stato costui convenuto in giudizio tanto sulla base della azione penale quanto in forza della azione civile esercitata nel processo penale, non può che comportare una ontologica identità di diritti processuali, a meno che la legge espressamente non distingua i due profili. Ma di tale distinzione non v’è traccia nel testo dell’art. 629 c.p.p., né può dirsi ricavabile una qualsiasi incompatibilità logica o strutturale della norma a consentire la revisione al condannato solo per gli interessi civili. In definitiva non è necessario ricorrere all’analogia od evocare la potenziale incoerenza costituzionale del dettato normativo di riferimento per ammettere che la condanna per la responsabilità civile pronunziata nel processo penale sia assoggettabile a revisione secondo le regole del rito penale, atteso che tale eventualità già discende dalla stessa lettera della legge processuale. 2.4.3 Ad ulteriore conforto delle conclusioni rassegnate soccorrono poi le analoghe considerazioni svolte dalle Sezioni Unite per affermare la legittimazione del prosciolto condannato agli effetti civili ad esperire il ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p., disposizione che parimenti evoca, per l’appunto, la figura del condannato senza precisare oltre Sez. Un., n. 28719 del 21 giugno 2012, Marani, Rv. 252695 Sez. Un., n. 28718 del 21 giugno 2012, Cappiello, non massimata . Significativo è in particolare come l’orientamento contrario a riconoscere la possibilità di attivare il ricorso straordinario nella fattispecie descritta facesse leva proprio sulla soluzione adottata con riguardo all’ipotesi della revisione, sottolineando l’analogia tra i due istituti nel limitare l’accesso all’impugnazione straordinaria. Analogia che anche il Supremo Collegio, pur sconfessando il citato orientamento, ha ritenuto effettivamente percebile . 2.4.4 È poi opportuno ricordare come il giudice dell’appello possa essere chiamato non già a confermare le statuizioni civili adottate nel primo grado di giudizio contestualmente alla condanna penale dell’imputato, bensì a pronunziarsi in maniera inedita ed esclusiva in favore della parte civile, senza essere contestualmente investito agli effetti penali della questione relativa alla responsabilità del presunto autore del fatto di reato. Si tratta ovviamente dell’ipotesi disciplinata dall’art. 576 c.p.p., disposizione che, secondo l’oramai consolidato insegnamento di questa Corte avvallato anche dal giudice delle leggi v. Corte Cost. n. 3/2008, 154/2008, 155/2008 e 256/2008 , legittima la parte civile, anche quando il pubblico ministero non l’abbia impugnata, ad appellare la sentenza di proscioglimento per ottenere la condanna agli effetti civili dell’imputato, conferendo al giudice dell’impugnazione penale il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto ex multis Sez. Un., n. 25083 del 11 luglio 2006, Negri ed altro, Rv. 233918 . Il carattere inedito ed autonomo rispetto al proscioglimento oramai definitivo agli effetti penali della decisione assunta dal giudice dell’appello nel caso descritto si riflette inevitabilmente sull’accesso alla revisione. Infatti in tal caso il rimedio verrebbe esperito non già contro una sentenza anche di proscioglimento, bensì esclusivamente di condanna, a meno di non voler considerare quella pronunziata dal giudice dell’appello ai soli effetti civili come un ibrido tertium genus , del quale, come detto, non vi è prima di tutto traccia nel lessico codicistico. Singolare, allora, sarebbe dover concludere che il legislatore abbia di fatto consentito la revisione della condanna per la responsabilità civile solo nell’ipotesi di cui si tratta e non anche in quella di conferma delle statuizioni civili in occasione del proscioglimento agli effetti penali. Singolare ed ovviamente problematico sul piano della compatibilità di tali conclusioni con i principi dell’art. 3 Cost. 2.5 Plurimi dunque sono gli indici normativi che convincono della necessità di discostarsi dall’orientamento consolidatosi sulla quaestio iuris proposta dal ricorrente. Per contro non appaiono decisive le obiezioni che possono muoversi alla soluzione qui adottata. 2.5.1 Già si è detto di come non appaia corretto interpretare il riferimento operato dall’art. 629 c.p.p. alla condanna in senso restrittivo per limitare l’ambito della revisione alle sole sentenze che abbiano irrogato una sanzione penale in via definitiva. In proposito vale la pena aggiungere che indici idonei a giustificare una tale limitazione non solo non si rinvengono nella disposizione citata, ma nemmeno nella legge delega del nuovo codice di rito l. n. 81/1987 , posto che la direttiva n. 99 dell’art. 2 nulla prevedeva in tal senso. Né può risultare dirimente il fatto che lo stesso art. 629 consenta la revisione della condanna a pena eseguita od estinta. È invero arbitrario inferire da tale indicazione la volontà del legislatore di delimitare l’ambito oggettivo dell’impugnazione straordinaria, piuttosto che l’intenzione di rimarcare in ogni caso la sussistenza di un comunque necessario interesse del condannato a rimuovere il giudicato a risarcimento morale di una condanna ingiusta . Insomma, come ha avuto modo di sottolineare il giudice delle leggi v. Corte Cost. n. 28/1969 , l’intenzione di assicurare l’alto valore etico della tutela dell’innocente. 2.5.2 Parimenti non è possibile ricavare dal testo dell’art. 631 c.p.p. argomenti contrari alle conclusioni qui propugnate. Se è vero infatti che agli effetti penali l’imputato è già stato prosciolto, è altrettanto vero che ciò è avvenuto per una causa diversa da quelle elencate negli artt. 529 e 530 c.p.p., che altrimenti non sarebbe stato possibile affermare la sua responsabilità ai fini civili. E se l’assenza delle condizioni previste dai due articoli menzionati è il presupposto per la condanna agli effetti civili, la dimostrazione che l’imputato doveva essere prosciolto per una causa diversa da quella invece riconosciuta è logico presupposto per la rimozione del giudicato, anche agli effetti civili. 2.5.3 Non può poi condividersi l’argomentazione sviluppata dalla Corte territoriale per cui il prosciolto ingiustamente condannato agli effetti civili non sarebbe invero privo di tutela, potendo comunque ricorrere all’istituto della revocazione civile previsto dall’art. 395 c.p.c., apparendo, a tacer d’altro, impraticabile, in difetto di una espressa previsione normativa e stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l’ipotesi della revoca della sentenza pronunziata dal giudice penale da parte di quello civile. Né, dai diversi e più ristretti limiti che caratterizzano il suddetto istituto, può ricavarsi eventualmente argomento fondato sulla disparità di trattamento riservata al danneggiato a seconda che l’azione risarcitoria venga esercitata nella sede propria o in quella penale. Infatti, innovando profondamente la disciplina previgente, il codice del 1988 ha attribuito a quest’ultimo il monopolio sulla scelta della sede in cui vedere accertate le proprie pretese. Scelta che implica l’accettazione delle regole proprie del rito opzionato. 3. In conclusione deve essere affermato il principio per cui è ammissibile la richiesta di revisione proposta ai sensi dell’art. 630 comma 1 lett. c c.p.p. avverso la sentenza del giudice dell’appello che abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato confermando contestualmente la condanna dello stesso al risarcimento del danno nei confronti della parte civile. Conseguentemente l’ordinanza impugnata, che a tale principio non si è attenuta, deve essere annullata senza rinvio e gli atti trasmessi alla Corte d’appello di Perugia per nuovo esame della richiesta del ricorrente, fermo restando che l’astratta ammissibilità della stessa ai sensi dell’art. 629 c.p.p. non esime il nuovo giudice dal valutare la sua ammissibilità in concreto in riferimento alla sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 630, 631, 632, 633 e 641 dello stesso codice. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’appello di Perugia per nuovo esame.