Procedimento cautelare, riesame e materiale probatorio: qualche ""dritta"" da Piazza Cavour

L'art. 291, comma 1, c.p.p. non pone in capo al pm l'onere di trasmettere al giudice tutti gli atti di indagine posti in essere, integralmente. Nè l'art. 309 c.p.p., nè alcuna altra norma impone una discovery anticipata ed indifferenziata.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46228/16, depositata il 3 novembre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Trieste, confermando l'ordinanza del gip presso il Tribunale di Pordenone, sottoponeva alla misura della custodia cautelare in carcere un indagato per il reato di omicidio aggravato artt. 575, 576 c.p. e per delitti in materia di armi. In particolare, all'interessato dal provvedimento cautelare, veniva rimproverato il duplice omicidio di un caporalmaggiore dell'esercito e della sua convivente, realizzato attraverso l'esplosione, a distanza ravvicinata, di numerosi colpi di arma da fuoco. L'imputato ricorreva per cassazione avverso l'ordinanza, lamentandone la nullità per violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p. riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva nello specifico, l'impugnante contestava l'omessa trasmissione al gip degli hard disk contenenti le videoriprese e le copie forensi relative ai supporti informatici sequestrati, ai sensi dell'art. 291, comma 1, c.p.p. e 100 disp.att Gli stessi erano stati prodotti, rilevava l'interessato, soltanto in sede di riesame, con conseguente violazione del diritto di difesa dell'indagato e del principio di simmetria tra il materiale probatorio a supporto dell'ordinanza applicativa della misura cautelare e il materiale prodotto nella fase successiva di riesame. Il ricorrente, inoltre, contestava la nullità dell'ordinanza impugnata per violazione dell'obbligo di considerazione di elementi probatori favorevoli a favore dell'indagato, di cui all'art. 309, comma 9, c.p.p., e contraddittorietà della motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Discovery e obblighi di trasmissione del pm. La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso. Gli Ermellini, in relazione all'eccezione di violazione di legge per omessa trasmissione degli hard disk dal pm al gip, hanno ricordato che l'art. 291, comma 1, c.p.p. non pone in capo al pm l'onere di trasmettere al giudice tutti gli atti di indagine posti in essere, integralmente ciò risulta, infatti, necessario soltanto ai fini di eventuali indizi di reitá o per le esigenze cautelari. E' compito della parte che richiede la misura coercitiva fornire, unitamente all'istanza, un quadro illustrativo degli elementi probatori, ma questa attività si denota per un ampio potere di selezione in capo a chi la esercita determinati atti, ha precisato il Collegio, possono essere esclusi o trasmessi soltanto parzialmente, ove ciò sia funzionale a tutelare la fruttuosità del prosieguo delle investigazioni o altri soggetti non coinvolti . Nè l'art. 309 c.p.p., nè alcuna altra norma impone una discovery anticipata ed indifferenziata, hanno sottolineato i Giudici di Piazza Cavour. L'obbligo del pm sussiste esclusivamente in relazione agli elementi favorevoli all'indagato, per finalità di tutela dei diritti di libertà del medesimo. Supporti informatici e brogliacci. Il Collegio ha poi evidenziato che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, nel disposto dell'art. 309, comma 9, c.p.p. devono essere ricompresi anche gli elementi di prova sfavorevoli all'indagato, tanto nuovi, quanto preesistenti all'applicazione della misura. Su ispirazione delle Sezioni Unite, è stato affermato che, per assicurare una effettiva partecipazione dell'imputato alla discussione, il tribunale del riesame, in caso di nuove produzioni, deve garantire il rispetto del contraddittorio tra le parti, con l'assegnazione di un termine a difesa, a pena di nullità. Gli Ermellini hanno, inoltre, rilevato che l'art. 291 c.p.p. non prescrive l'obbligo di trasmissione, ex art. 309, comma 5, c.p.p., dei supporti informatici contenenti captazioni o videoriprese utilizzate ai fini dell'imposizione delle misure cautelari quando i relativi esiti siano riportati nell'annotazione di polizia giudiziaria o nei brogliacci, intesi quali sintesi informali e sommarie del contenuto delle conversazioni o delle immagini registrate . Tali risultati, infatti, sono utilizzabili, anche senza l'allegazione, da parte del pm, dei relativi supporti. I Giudici di Piazza Cavour hanno chiosato, evidenziando come la questione di legittimità degli artt. 291, comma 1 e 309, comma 5 e 10 c.p.p., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., sia stata dichiarata infondata. Peraltro, gli Ermellini hanno precisato che, nel caso di specie, deve essere esclusa una violazione dei diritti dell'indagato, poichè la produzione della documentazione ha avuto luogo mediante deposito presso la cancelleria del tribunale e nei tempi prescritti, con la conseguenza che era possibile per la difesa prenderne visione ed estrarne copia. Elementi favorevoli all'indagato e principio di simmetria. La Suprema Corte, quindi, ha chiarito che in tema di riesame delle misure cautelari, l'obbligo per l'autorità procedente di trasmettere tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta a indagini deriva dalla loro rilevanza ai fini difensivi la valutazione viene rimessa alla discrezionalità del pm e spetta, eventualmente, all'indagato allegare gli elementi a lui favorevoli contenuti negli atti non trasmessi. In relazione al principio di simmetria evocato dal ricorrente, il Collegio ha affermato che il carattere devolutivo della procedura di riesame della misura cautelare non contempla una simmetria rigorosa di poteri di cognizione con la decisione assunta all'atto dell'emissione del provvedimento riesaminato, simmetria non configurabile come obbligatoria nemmeno in riferimento al materiale probatorio, posto a base delle decisioni del gip e del tribunale del riesame . Gli Ermellini hanno, inoltre, ricordato la tesi della Corte Costituzionale secondo cui è diritto del difensore ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle intercettazioni, usate per ottenere la misura cautelare, anche ove non depositate. A chiosa di quanto sopra esposto, i Giudici del Palazzaccio hanno chiarito come il Tribunale del riesame possa legittimamente formulare delle valutazioni originali su fatti non considerati dal primo giudice, nel caso in cui siano necessarie per spiegare la decisione connessa ad elementi di prova non vagliati dal gip, ma prodotti in modo rituale in fase di riesame anche in considerazione dell'obbligo imposto dall'art. 309, comma 9, c.p.p., come riformato dalla l. n. 47/2015 . Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 settembre – 3 novembre 2016, n. 46228 Presidente Siotto – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 31 marzo 2016 il Tribunale del riesame di Trieste confermava l’ordinanza emessa il 7 marzo 2016 dal G.i.p. del Tribunale di Pordenone, che aveva sottoposto R.G. alla misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di omicidio aggravato in danno di Ra.Tr. e C.T. e dei connessi reati in materia di armi. 1.1 A fondamento della decisione il Tribunale ravvisava l’acquisizione di un compendio indiziario qualificato da gravità, considerato univocamente significativo dell’individuazione nel R. dell’esecutore materiale del duplice omicidio, avvenuto la sera del omissis , poco prima delle ore 20, nel parcheggio annesso al palazzetto dello sport omissis , ove all’interno della loro autovettura erano stati rinvenuti i corpi senza vita del caporalmaggiore dell’esercito Ra.Tr. e della fidanzata convivente C.T. , da poco usciti dalla palestra ove si erano allenati ed attinti ciascuno da plurimi colpi di arma da fuoco esplosi da soggetto approssimatosi da tergo, che aveva fatto uso di una pistola cal. 7,65 da distanza molto ravvicinata attraverso lo sportello anteriore sinistro del veicolo, ancora aperto dopo l’introduzione al suo interno del conducente Ra. . Secondo l’esposizione dell’andamento delle indagini, contenute nell’ordinanza del Tribunale, alcuni testi, frequentatori degli impianti sportivi dell’area, trovatisi nella zona destinata a parcheggio in orario prossimo all’omicidio, avevano riferito di avere avvertito una sequenza di colpi secchi ed avvistato un’automobile marca Audi A3 grigia, ferma in prossimità di una cabina contenente impianti tecnici tale veicolo, individuato in base ad alcuni elementi caratteristici, era stato filmato dagli impianti comunali di videosorveglianza per il controllo del traffico veicolare avvicinarsi alle ore 19.19 all’area del palazzetto dello sport, allontanarvisi verso il centro città alle ore 19.50 circa per poi sostare nel parcheggio che consente l’accesso al parco pubblico omissis , al cui interno vi è un laghetto circondato da vegetazione ed alberi, quindi alle ore 19.57 circa fare ritorno verso il centro cittadino. Da tali passaggi veniva ipotizzato dagli investigatori che l’autovettura fosse stata utilizzata dall’autore dell’omicidio, il quale si era recato nel parco per sbarazzarsi dell’arma, che in effetti a seguito di accurate ricerche era stata rinvenuta, unitamente al caricatore vuoto, all’interno del lago dagli espletati accertamenti balistici, grazie ai particolari segni impressi sui bossoli rinvenuti sulla scena del crimine, l’arma era risultata essere quella che aveva esploso i colpi contro le due vittime. Dai successivi accertamenti si era appreso che R.G. aveva in uso un veicolo Audi A3 di colore grigio con quelle caratteristiche risultanti dai filmati era un frequentatore della palestra ove si erano allenati il Ra. e la C. nel tardo pomeriggio del omissis , cessato il turno di lavoro, si era intrattenuto presso l’abitazione in giochi elettronici on line con una pausa dalle ore 19.07 alle ore 21.24, considerata significativa perché comprensiva dell’orario dell’omicidio e dell’occultamento dell’arma, durante la quale, secondo le dichiarazioni dei coinquilini Re.Da. e Ro.Se. , che avevano condiviso lo stesso appartamento con l’indagato, egli era uscito di casa in auto per farvi rientro in seguito senza avere informato i compagni delle sue intenzioni e di quell’uscita insolita per orario ed assenza di compagnia, con addosso una tuta da ginnastica di colore grigio antracite, mai vista in precedenza e nemmeno in seguito, neppure all’atto del suo rientro in casa e comunque mai rinvenuta in sede di perquisizione. Soltanto dopo che il Re. ed il Ro. avevano reso informazioni indizianti a suo carico, il R. si era indotto a rilasciare spontanee dichiarazioni, con le quali aveva per la prima volta ammesso di essere uscito di casa, di essersi recato al palazzetto dello sport per allenarsi, di non avere trovato parcheggio e quindi di essersi trasferito al parco di omissis per fare jogging, ma di avere interrotto l’attività intrapresa dopo poco per il freddo, dimostrando la falsità dell’alibi inizialmente riferito e basato sull’essere stato impegnato a giocare on line nell’ora del delitto. Indagini di tipo informatico condotte sui dispositivi - ePhone e notebook, compreso quello condiviso col fratello e detenuto in omissis -, in uso al R. , che professionalmente svolgeva attività di manutentore hardware ed installatore di software, vantando dunque competenze specifiche, avevano dimostrato il suo interesse per la ricerca mediante siti web di un’arma da fuoco e la sistematica eliminazione dei dati presenti nella memoria dei predetti dispositivi in concomitanza col progredire delle indagini, ossia col rinvenimento dell’arma il 18 con la convocazione per essere sentito come informatore il 19 settembre, con la richiesta di consegna del pc il 22 settembre in particolare, era emersa la cancellazione di due messaggi inviati alla di lui fidanzata, P.M.R. , il omissis e dell’appunto via omissis , corrispondente ad una casa disabitata, accanto a quella delle vittime. Mediante incrocio dei dati offerti dalle riprese filmate e dalla testimonianza di un giovane transitato correndo nei pressi del veicolo delle due vittime poco prima del delitto e che aveva percepito gli spari, attribuiti però allo scoppio di petardi, con quanto riferito dal R. , nel suo interrogatorio reso alla presenza del difensore, una volta formalmente indagato - nel quale aveva negato di avere avvertito spari nonostante la distanza ravvicinata al punto in cui erano stati esplosi -, e mediante esperimento materiale della corsa effettuata dal teste e dei tempi di percorrenza del veicolo dell’indagato con rilevazione dei tempi relativi, era emerso che al momento dell’esplosione dei colpi di arma da fuoco contro il Ra. e la C. il R. si era trovato nel parcheggio del palazzetto nei pressi dell’auto dei due giovani uccisi ed era partito da tale punto subito dopo l’esplosione dei colpi di pistola, in termini corrispondenti ed in tempi sufficienti all’esecuzione dell’omicidio. L’approfondimento dei rapporti personali intrattenuti dal R. con il Ra. e con la propria fidanzata P.M.R. , soggetto con tendenze simulatorie e psicotiche, autrice di tentativi di condizionamento delle dichiarazioni di alcune amiche prima che le stesse fossero escusse a s.i.t., avevano evidenziato profili critici, nel senso che, mentre la relazione sentimentale dell’indagato con la P. era stata tutt’altro che serena ed equilibrata, ma contraddistinta da reciproci tradimenti e da fitto scambio di messaggi sino al omissis , da quella data le comunicazioni si erano apparentemente interrotte dopo che la P. aveva chiesto al R. se per caso avesse fatto qualcosa che non le aveva detto per alludere ad azione illecita e da mantenere segreta. Era altresì emerso soltanto dalle deposizioni delle amiche della P. che il R. , su istigazione di costei, timorosa che il proprio fidanzato potesse seguire i comportamenti del Ra. e tradirla, intenzionato a danneggiare il Ra. ed operando da un computer della caserma ove prestava servizio, aveva aperto un profilo facebook anonimo, tramite il quale aveva contattato C.T. a nome di una sedicente amante del Ra. stesso per informarla della loro in realtà inesistente relazione e ciò al fine di indurre la giovane a lasciarlo. La manovra attuata dal R. , confermata anche dalla P. nel suo interrogatorio, anche se ascritta ad un mero scherzo, e dalla presenza in servizio dell’indagato nei giorni e negli orari di invio dei messaggi, aveva suscitato i sospetti e la reazione risentita del Ra. , il quale aveva contestato all’indagato di essere l’autore dei messaggi molesti per la rivelazione di particolari noti soltanto a chi aveva coabitato con lui, minacciando di denunciarlo e venendo alle mani in un’occasione, tanto da aver cagionato al R. ecchimosi ed un taglio al labbro, per le quali percosse questi, parlando con i coinquilini, aveva minacciato che gliel’avrebbe fatta pagare. In tali emergenze era dunque rinvenuto un valido movente per realizzare l’azione omicidiaria per vendetta dopo il pestaggio subito ad opera del Ra. e per timore che le rivelazioni di questi potessero compromettere la sua carriera e la realizzazione dell’aspirazione di ingresso nella Guardia di Finanza del resto anche la P. aveva confidato alle amiche la propria angoscia sino ad aver maturato propositi suicidi per il timore di avere indotto il fidanzato ad uccidere il Ra. e la C. a causa della conflittualità insorta per la vicenda del falso profilo facebook . Il Tribunale, tanto premesso, evidenziata la falsità in più punti rilevanti delle dichiarazioni rese dall’indagato nel corso del suo interrogatorio sui suoi movimenti, sui tempi relativi, sui percorsi effettuati e sulle ragioni del suo allontanamento dal parcheggio, nonché l’anomalia dei comportamenti tenuti la sera del delitto rispetto alle sue abitudini di frequentatore della palestra in altre giornate e di praticante il jogging sempre in compagnia, mai da solo, come ricostruiti dalle testimonianze escusse, ha respinto l’eccezione preliminare di nullità dell’ordinanza genetica in ragione dell’omessa trasmissione al G.i.p., e quindi al Tribunale stesso, dei supporti informatici contenenti le riprese delle telecamere di controllo del traffico, grazie ai quali la difesa avrebbe potuto provare l’erroneità dell’orario registrato e dell’operazione di riconduzione a quello reale e delle copie forensi del materiale informatico sequestrato all’indagato in data 24/9/2015. Rilevava il collegio del riesame che gli hard disk erano stati trasmessi alla propria cancelleria, per cui era verosimile fossero stati già messi a disposizione del G.i.p. e che non risultava essere stato richiesto il rilascio delle predette copie forensi dopo che il P.M. aveva respinto l’istanza di dissequestro dell’8/1/2016, un mese prima della proposizione della domanda cautelare. Escludeva altresì la fondatezza dell’eccezione di nullità della stessa ordinanza per omessa valutazione degli elementi a favore dell’indagato, già considerati dal g.i.p In punto di esigenze cautelari, i giudici del riesame, oltre ad avere ricordato la presunzione relativa di pericolosità, insita nella contestazione del delitto di omicidio premeditato, ravvisavano in concreto il pericolo di recidivazione e di inquinamento probatorio. 2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione l’indagato a mezzo del suo difensore, avv.to Esposito, il quale ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi a nullità dell’ordinanza impugnata per violazione del disposto dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 5, in riferimento al mancato rilievo dell’omessa trasmissione al G.i.p. da parte del p.m. degli hard disk contenenti le videoriprese e delle copie forensi relative a tutti i supporti informatici sequestrati all’indagato, secondo quanto prescritto dagli artt. 291 cod. proc. pen., comma 1 e 100 disp. att. Cod. proc. pen., che si era scelto di produrre soltanto al Tribunale del riesame per sottrarli al controllo del primo giudice e della difesa. In tal modo sono stati violati sia il diritto di difesa dell’indagato, sia il principio di simmetria tra il materiale probatorio a sostegno dell’ordinanza applicativa della misura cautelare e quello reso disponibile in sede di riesame, come preteso dal quinto comma dell’art. 309 cod. proc. pen per consentire al tribunale un controllo sulla legittimità ed, in particolare, sulla motivazione del provvedimento impugnato, con la conseguente nullità a regime intermedio dell’ordinanza cautelare originaria. Erroneamente il Tribunale ha ritenuto che il materiale denunciato come mancante fosse stato verosimilmente prodotto al g.i.p., ma tale convincimento non è sorretto da alcuna base fattuale, poiché i supporti informatici e le copie forensi non risultano dall’indice degli atti allegati alla domanda cautelare, né inseriti nel fascicolo nel caso in esame non si è verificata un’allegazione parziale di atti, privi di integrale contenuto per omissioni o oscuramenti, ma la mancata allegazione di documenti che avrebbero potuto offrire elementi significativi a difesa dell’indagato. Non trova rispondenza al vero nemmeno il rilievo sulla mancata richiesta di rilascio di copia dei documenti informatici sequestrati la difesa aveva presentato tale richiesta con l’istanza di dissequestro depositata l’8/1/2016 nonché con l’opposizione al rigetto di restituzione di cose sequestrate, accolta dal G.i.p. per cui non aveva onere di ripeterla per ogni atto d’indagine. b Nullità dell’ordinanza impugnata per violazione dell’obbligo di considerazione degli elementi probatori favorevoli all’indagato imposti dal nono comma dell’art. 309 cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47/2015. Nel presente caso si era denunciata la mancata considerazione e valutazione di elementi oggettivi e non frutto di interpretazione, costituiti da - molteplici verbali di s.i.t. di commilitoni dell’indagato, che aveva negato che egli avesse avuto il polso fasciato, il labbro spaccato e un’abrasione allo zigomo in epoca immediatamente successiva alla commissione del delitto, avendo il Tribunale considerato soltanto le informazioni provenienti dal S. , confermative di quelle del Ro. e del Re. - messaggi tra le due vittime avvenuti l’11/3/2015, sei giorni prima del fatto delittuoso, attestanti una lite con aggressione subita dal Ra. - s.i.t. rese dal Ro. e dal Robertucci, dichiarative della scarsa bravura del R. nell’uso delle armi - s.i.t. rilasciate da C.A. e T.G. su circostanze incompatibili con orario dell’omicidio e ricostruzione dinamica del p.m. degli avvenimenti successivi - report traffico telematico tra il Ra. ed il Ro. , che dimostra la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni di Ro. quando afferma di avere saputo della lite col R. tramite messaggi whats’app - titoli conseguiti dal R. nelle arti marziali. c Violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 9. Il Tribunale del riesame ha escluso che rivestissero rilievo quale elemento a discarico, perché indicativo del mantenimento di buoni rapporti tra il ricorrente ed il Ra. , i messaggi what’s app scambiati tra i due la mattina del omissis , quindici giorni prima dell’omicidio e del pari anche l’assenza di un profilo genotipico delle vittime all’interno dell’auto e sugli indumenti dell’indagato per la loro sostituzione. Il Tribunale del riesame, a fronte dell’omessa valutazione da parte del G.i.p. di tali emergenze, è intervenuto con una propria motivazione del tutto originale in luogo di quella mancante, in violazione del divieto di integrazione della motivazione del titolo cautelare genetico, che avrebbe dovuto essere annullato. d Contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale ha recepito come validamente riscontrata la ricostruzione delle fasi dell’omicidio, operata dalla p.g., per la quale il delitto era stato compiuto tra le ore 19.49.35 e le ore 19.49.50, secondo i dati forniti dagli informatori M. e Pr. e l’autovettura Audi A3 era uscita dal parcheggio ove erano state uccise le due vittime ed era stata ripresa alle ore 19.51.10 lungo la via XXXXXXX. Il Tribunale non ha però considerato il tempo necessario alla sostituzione della tuta ginnica e delle scarpe da parte del R. dopo aver commesso il duplice omicidio, operazione che egli avrebbe compiuto per non far rinvenire tracce del reato sulla sua persona non è dunque coerente, né logica la valutazione degli indizi, laddove non c’è congruenza motivazionale tra l’orario esatto dell’omicidio, fissato tra le 19.49.35 e le 19.49.50, e la ripresa alle 19.51.10 della Audi A3, perché tanto implica che il R. abbia effettuato il cambio di abiti in un tempo massimo di 34 secondi. Inoltre, non è stata offerta spiegazione della ragione del mancato rinvenimento degli indumenti dismessi nel parcheggio, che, per i ristrettissimi tempi calcolati, l’autore del delitto non poteva avere occultato con cura. e Mancanza ed illogicità della motivazione in punto di esigenze cautelari, poiché l’attività investigativa ha offerto risultati che consentono di superare la presunzione relativa circa la ricorrenza di ogni profilo di pericolosità. Il Tribunale ha arbitrariamente riconosciuto il pericolo di recidivazione specifica per la personalità non rassicurante dell’indagato, l’assenza di revisione critica del proprio operato ed il movente vendicativo, fondando il giudizio su percezioni soggettive prive di fondamento probatorio scientificamente dimostrato o dimostrabile nell’assenza di indagini psicologiche sulla pericolosità ed aggressività del R. e della prova del compimento di atti coercitivi verso i testi. Né risulta alcuna motivazione sul profilo dell’attualità del ravvisato pericolo, tanto più che il movente passionale esclude qualsiasi ipotesi di serialità e che l’indagato è incensurato. Anche le ragioni poste a fondamento del pericolo di inquinamento probatorio ripetono pedissequamente quanto esposto dal g.i.p. e non considerano che la cancellazione dei supporti informatici in uso al R. è stata frutto di operazioni automatiche compiute in fase di installazione di un aggiornamento del sistema operativo, mentre il sequestro e la realizzazione di copie forensi di tutti i dispositivi informatici sequestrati neutralizzano qualsivoglia possibilità di cancellazione e/o alterazione del loro contenuto, tanto che essi sono stati dissequestrati. È poi contraddittorio ritenere che il ricorrente possa influenzare le dichiarazioni della fidanzata ed al tempo stesso escludere nei riguardi di quest’ultima esigenze cautelari, tanto più che i tentativi della P. di condizionare le dichiarazioni delle amiche si erano rivelati vani e le dichiarazioni di costoro vanno considerate ormai cristallizzate, così come quelle acquisite dagli altri testi. Ed anche l’opera di persuasione svolta nei riguardi dei due coinquilini non ha impedito che costoro improvvisamente due mesi prima dell’emissione del titolo cautelare rivelassero particolari molto rilevanti, taciuti sino a quel momento, nonostante la presenza in libertà del R. . 3. All’udienza di discussione la difesa ha depositato memoria, con la quale ha dedotto motivi nuovi per ribadire la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione degli artt. 292 comma 2 lett. c , 309 comma 5 e 9 cod.proc.pen., per mancato annullamento dell’ordinanza applicativa della misura custodiate per difetto di autonoma motivazione per assenza degli hard disk delle riprese filmate, quanto alle annotazioni di p.g. ed agli elementi favorevoli all’indagato. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. La prima eccezione in rito sollevata dalla difesa prospetta il vizio di violazione di legge per non avere il p.m. trasmesso al g.i.p. gli hard disk contenenti le riprese filmate realizzate dagli impianti collocati sulle pubbliche vie cittadine di omissis tra il omissis e le copie forensi del materiale informatico sequestrato all’indagato, di cui l’ufficio requirente era già in possesso al momento della presentazione della domanda cautelare e che ha trasmesso al solo Tribunale del riesame. La doglianza richiede alcune preliminari puntualizzazioni in punto di diritto. 1.1 In primo luogo, va ricordato che la disposizione di cui all’art. 291 cod. proc. pen., comma 1, non impone al p.m. di trasmettere al giudice tutti gli atti d’indagine sino a quel momento compiuti nella loro integrità, ma soltanto quanto è necessario a dar conto dei presupposti, ossia degli indizi di reità e delle esigenze cautelari, pretesi dall’ordinamento per l’imposizione della limitazione della libertà personale dell’indagato. Il richiedente la misura cautelare ha l’onere di corredare la propria istanza con l’illustrazione della valenza rappresentativa e del peso probatorio degli elementi su cui essa è basata, al fine di fornire al giudice un adeguato contributo illustrativo ed il necessario riscontro dimostrativo, desunto dagli atti d’indagine e riscontrabile dal giudice e in un secondo momento anche dalle altre parti nell’ambito di tale attività deduttiva gli è riconosciuto un ampio potere di selezione del materiale da mettere a disposizione del giudice, ben potendo, sia escludere determinati atti, sia trasmetterli con omissioni parziali del loro contenuto quando tali accorgimenti siano funzionali a tutelare la fruttuosità del prosieguo delle investigazioni o altri soggetti non coinvolti nessuna disposizione di legge, tanto meno l’art. 309 cod. proc. pen., comma 5, gli impone l’obbligo di un’anticipata ed indifferenziata discovery delle acquisizioni probatorie prodotte dalle indagini, fermo restando che una non oculata scelta lo espone al rischio di non vedere accolta la propria domanda. L’unica situazione che rende obbligatoria per il p.m. la trasmissione integrale degli elementi disponibili riguarda i dati favorevoli all’indagato e le deduzioni e le memorie difensive già depositate, perché non altrimenti conoscibili per il giudice investito della decisione sulla richiesta cautelare e per consentirgli di soppesarla in modo compiutamente informato e ragionato di tutte le acquisizioni rilevanti, anche in senso contrario al postulato accusatorio al fine di assicurare la tutela dei diritti di libertà dell’indagato, esigenza il cui soddisfacimento non può essere affidato all’iniziativa discrezionale della parte titolare dell’interesse opposto. 1.2 L’eccezione difensiva investe poi la questione, connessa alla prima esaminata, dell’ammissibilità di un arricchimento da parte dell’accusa della base conoscitiva offerta al tribunale del riesame attraverso la produzione di elementi di prova di cui aveva già la disponibilità, ma che non ha sottoposto alla disamina del primo giudice in base a valutazioni di inutilità o di inopportunità della loro ostensione, tematica che coinvolge direttamente il rispetto del contraddittorio nel procedimento di riesame e la tutela del diritto di difesa della persona indagata. L’impugnazione non considera un argomento di tipo sistematico la disposizione di cui all’art. 309 cod. proc. pen., comma 9, stabilisce che la decisione del tribunale sull’istanza di riesame debba estendersi anche agli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza , consentendo loro di incrementare sino a quel momento la piattaforma conoscitiva già disponibile. La giurisprudenza d’indirizzo maggioritario e più recente ammette che la norma comprende anche gli elementi di prova sfavorevoli all’indagato, sia nuovi perché acquisiti col progredire delle indagini, sia preesistenti all’applicazione della misura e non prodotti al giudice per le indagini preliminari Cass. sez. 5, n. 1276 del 17/12/ 2002, Vetrugno, rv. 223436 sez. 6, n. 15899 del 9/3/2004, Fallace, rv. 228875 sez. 3, n. 15108 dell’11/2/2010, Sabatelli, rv. 246601 . Tali decisioni, premesso che, come già detto, è nella discrezionalità del pubblico ministero scegliere gli elementi di prova da produrre per ottenere l’applicazione della misura cautelare, ritengono che la medesima ratio giustifichi anche la facoltà di aggiungere ulteriori acquisizioni, la cui introduzione nel procedimento pone soltanto questioni di salvaguardia del principio del contraddittorio e della parità sostanziale delle parti. Si è dunque affermato sulla scorta delle corrispondenti indicazioni fornite dalle Sezioni Unite in materia di appello cautelare Sez. U., n. 18339 del 31/3/2004, Donelli, rv. 227357 che, per assicurare l’effettiva osservanza di tali principi e garantire all’indagato la possibilità di efficace e consapevole partecipazione alla discussione, a fronte di nuove produzioni il tribunale del riesame debba assicurare il rispetto pieno del contraddittorio tra le parti, assegnando all’indagato un congruo termine a difesa Cass. sez. 3 n. 22137 del 6/05/2015, Benocci ed altri, rv. 263664 sez. 2, n. 36451 del 03/06/2015, Santini, rv. 264545 sez. 6, n. 53720 del 25/9/2014, Folchetti, rv. 262092 , pena la nullità degli atti per violazione del diritto di assistenza dell’indagato ai sensi dell’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. c . 1.3 Va poi aggiunto che con particolare riferimento alle intercettazioni o alle registrazioni filmate, alcuna norma e tanto meno l’art. 291 citato, prescrive l’obbligo di trasmettere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 309 cod.proc.pen., comma 5, i supporti informatici contenenti captazioni o videoriprese utilizzate ai fini dell’imposizione delle misure cautelari quando i relativi esiti siano riportati nell’annotazione di polizia giudiziaria o nei brogliacci , intesi quali sintesi informali e sommarie del contenuto delle conversazioni o delle immagini registrate, compiute dal personale di polizia addetto, pienamente utilizzabili ai fini della formulazione del giudizio imposto dalla domanda cautelare Cass. sez. 1, n. 15895 del 09/01/2015 Riccio, rv. 263107 sez. 6, n. 37014 del 23/09/2010, Della Giovampaola e altri, rv. 248747 . Pertanto, i risultati così conseguiti, rappresentativi di situazioni di fatto rilevanti per l’accertamento della responsabilità per quanto richiesto ai fini del giudizio cautelare, sono utilizzabili nel relativo cautelare anche se il pubblico ministero non abbia allegato i relativi supporti sez. 3, n. 19198 del 05/02/2015, Fiorenza, rv. 263798 sez. 1, n. 33819 del 20/06/2014, Iacobazzi, rv. 261092 sez. 1, n. 34651 del 27/5/2013, Ficorri, rv. 257440 sez. 2, n. 8837 del 20/11/2013, Chinzeagulov e altro, rv. 258788 sez. 5, 17 luglio 2008, n. 37699 né la mancata trasmissione della documentazione relativa alle operazioni di visualizzazione dei filmati può determinare la perdita di efficacia della misura cautelare applicata ma, eventualmente, l’inutilizzabilità degli esiti delle attività compiute, se eseguita in violazione di specifiche disposizioni processuali o con modalità tali da alterare il dato autentico sez. 3, n. 19101 del 07/03/2013, D., rv. 255117 , circ. quest’ultima in alcun modo dedotta dal ricorrente. Si segnala poi per la refluenza che assume nel presente caso che questa Corte ha già escluso ogni profilo di incostituzionalità in relazione alla disciplina prevista dall’art. 309 cod. proc. pen., comma 5 ribadendo che l’art. 291, comma primo, cod. proc. pen. non impone al pubblico ministero che richiede l’applicazione di misure cautelari la trasmissione di tutti gli atti, ma soltanto di quegli elementi su cui la richiesta si fonda, degli elementi a favore dell’imputato e degli eventuali atti dallo stesso già depositati, è stato affermato, e si ribadisce in questa sede, che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 291, comma primo, e 309, commi quinto e decimo, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono la trasmissione al Gip e al Tribunale del riesame anche dei supporti informatici delle intercettazioni o videoriprese utilizzati ai fini dell’applicazione di misure cautelari, in quanto i predetti supporti e i brogliacci non costituiscono un unico atto processuale unitamente alle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria, rispetto ai quali è sempre possibile contestarne, in presenza di concreti elementi a sostegno, la mancata corrispondenza. Cass. sez. 3, n. 19198 del 05/02/2015, Fiorenza, rv. 263798 . 2. Nel presente caso il Tribunale ha risolto la tematica, ritenendo ragionevole che i materiali che la difesa assume essere stati trasmessi soltanto nella fase del riesame fossero stati già posti a disposizione del g.i.p., ma in realtà tale motivazione di tipo probabilistico è meramente congetturale perché non è giustificata dal positivo riscontro della presenza di quegli atti ed elementi nel fascicolo che il p.m. aveva trasmesso al g.i.p 2.1 Ciò nonostante, anche se i supporti in questione sono stati prodotti per la prima volta col deposito presso la cancelleria del tribunale del riesame, nella novità di tale produzione non è dato rinvenire i profili di violazione di legge denunciati con l’impugnazione. 2.1.1 Premesso che in base alla formulazione della doglianza non è dato conoscere se gli hard disk trasmessi al Tribunale di Trieste fossero già nella disponibilità del p.m. al momento di richiedere la misura custodiale, oppure se pervenuti al suo ufficio in seguito, deve escludersi qualsiasi profilo di violazione dei diritti dell’indagato, dal momento che la produzione è avvenuta con il deposito nella cancelleria del tribunale e nei tempi prescritti dal quinto comma dell’art. 309 cod. proc. pen., circ. che ha consentito alla difesa di prenderne visione ed estrarne copia al fine di sviluppare la propria strategia di contrasto e di difendersi compiutamente attraverso la conoscenza degli atti e la discussione all’udienza camerale. Né risulta che il patrocinatore del R. nel corso di tale udienza abbia dedotto di non avere potuto visionare i supporti prodotti e chiesto un termine per provvedervi, tanto più che a ben vedere trattasi di elementi oggetto di nuova produzione soltanto sotto il profilo materiale, perché in precedenza assenti dal fascicolo, ma il cui contenuto era stato oggetto di ampia disamina e di efficace documentazione mediante l’inserimento dei fotogrammi da essi estrapolati nelle informative di polizia, citate anche nel provvedimento del tribunale, senza sia mai stata sollevata la questione del loro travisamento inteso quale fraintendimento dei dati informativi in essi ricavati. 2.1.2 Non sussiste il vizio di violazione di legge nemmeno in riferimento alla qualificazione dei supporti trasmessi quali elementi favorevoli alla difesa, non posti a disposizione del g.i.p Va premesso in linea generale che a fronte della dedotta trasgressione del comma 5 dell’art. 309, spetta alla Corte di legittimità verificare il contenuto del motivo, che prospetta una questione in rito, mediante il riscontro della possibilità materiale di trasmissione dell’atto, della sua non manifesta estraneità al thema decidendum e della rilevanza rispetto alla possibilità di apportare considerazioni favorevoli alla difesa, senza però potersi addentrare nell’accertamento diretto dell’efficacia dimostrativa di un atto probatorio che costituisce valutazione di esclusiva spettanza del giudice del merito. In altri termini, il sindacato demandato al giudice di cassazione è limitato alla considerazione astratta dell’utilità delle prove non tempestivamente sottoposte al g.i.p. ed alla loro significatività per escludere la ragionevole probabilità della responsabilità dell’indagato, a prescindere dalla valutazione in ordine alla loro concreta efficacia rappresentativa, ma comunque sempre in rapporto al quadro di conoscenze offerto dagli elementi di accusa Cass. sez. 1, n. 25991 del 13/05/2010, C., rv. 247985 sez. 1, n. 24406 del 09/04/2015, Crea, rv. 263967 . È però necessario per la corretta deduzione del motivo di ricorso che la parte assolva compiutamente e ritualmente ai propri oneri deduttivi. Come già affermato in modo condivisibile da questa Corte, in tema di riesame delle misure cautelari, l’obbligo per l’autorità procedente di trasmettere tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta a indagini deriva dalla loro rilevanza ai fini difensivi tale valutazione è in prima battuta rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero e pertanto qualora l’indagato si dolga con le impugnazioni esperite della mancata trasmissione di specifici atti, assumendo la cessazione di efficacia della misura cautelare ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 10, ha l’onere di indicare compiutamente gli elementi di qualificazione in senso a lui favorevole presenti negli atti non trasmessi Cass. sez. 6, n. 25058 del 10/05/2016, Sabatino, rv. 266972 sez. 6, n. 20527 del 28/03/2003, Randazzo, rv. 225451 sez. 4, n. 41170 del 21/06/2004, De Giovanni, rv. 229913 . 2.1.3 Ebbene, nel presente caso va detto che gli elementi in questione, secondo quanto riportato nell’ordinanza impugnata, dimostrando i movimenti del veicolo dell’indagato, gli orari ed i luoghi che aveva visitato in corrispondenza del momento di perpetrazione del duplice omicidio ascrittogli e del luogo di occultamento dell’arma, integrano precisi indizi di reità a suo carico ed offrono apporti conoscitivi di rilievo essenziale per il costrutto accusatorio che si tratti, al contrario, di dati favorevoli alla tesi della sua estraneità al delitto perché da essi dovrebbe ricavarsi l’erronea rimodulazione, scientificamente e tecnicamente inesatta e rudimentale , degli orari effettivi cioè reali rispetto a quelli impressi nelle registrazioni pag. 2 ricorso , costituisce affermazione che incorre nella sanzione dell’inammissibilità per la sua genericità. Non si illustrano, infatti, in dettaglio ed in modo comprensibile, né verificabile, nemmeno con la memoria difensiva, le ragioni dell’errore tecnico commesso dagli investigatori nell’indicare uno scarto di circa 5-6 minuti tra l’orario delle videoriprese e quello reale degli accadimenti filmati, né l’incidenza dirimente del preteso errore sulla ricostruzione fattuale della dinamica dell’omicidio in modo tale da depotenziare gli indizi ricavati, ossia da dimostrare che l’indagato a bordo della sua vettura non si era trovato a pochi metri di distanza dal veicolo delle vittime ed in orario coincidente con quello della loro uccisione e che di seguito non si era recato nel parco di omissis per eliminare l’arma ed altre eventuali tracce del reato appena commesso. Inoltre, la denuncia circa l’omessa verifica da parte del g.i.p. della correttezza delle operazioni di estrazione da parte degli investigatori delle copie versate in atti dagli originali filmati di impianto a circuito chiuso non si è tradotta nella specifica indicazione di errori ed imprecisioni rilevanti e tali da contraddire la valenza accusatoria di siffatti elementi in altri termini non è sufficiente lamentare che non siano descritte le modalità di acquisizione dei fotogrammi dai filmati originali quando non si prospetti un intervento manipolativo o di alternazione delle immagini. 2.2 È poi giuridicamente erronea la tesi che esige l’esatta simmetria cognitiva tra il primo ed il secondo grado del procedimento cautelare per quanto il quinto comma dell’art. 309 preveda adempimento funzionale a garantire che il tribunale sia posto nelle condizioni di esercitare i propri poteri cognitivi sulla vicenda cautelare, ciò nonostante tali poteri non attengono al solo riscontro della legittimità dell’ordinanza applicativa e della correttezza della sua motivazione, quasi si trattasse del sindacato conducibile da parte della Corte di cassazione. Il tribunale del riesame è giudice di merito, deputato ad esercitare una cognizione di particolare ampiezza condizionata da natura e struttura del procedimento di impugnazione, dall’urgenza che lo qualifica e dal rilievo costituzionale del diritto di libertà individuale coinvolto, che non è confinata al riscontro della congruità della motivazione del provvedimento impositivo. Al contrario, la sua delibazione, da un lato è svincolata dall’indicazione di motivi specifici da parte dell’indagato e dal rispetto del principio devolutivo inteso quale circoscrizione della verifica della fondatezza del giudizio cautelare alle ragioni di critica articolate dal proponente, ma si esercita con la rinnovata e globale considerazione della vicenda cautelare dopo l’esplicazione del contraddittorio tra le parti, dall’altro è caratterizzata dalla necessità di tener conto degli elementi addotti dalle parti in udienza e dalla facoltà dell’organo giudiziario di fondare la decisione su motivi diversi da quelli prospettati dalla parte impugnante o dalle indicazioni fornite nel provvedimento impugnato. L’apprezzamento dei presupposti applicativi della misura cautelare è dunque rimesso al tribunale quale giudice di merito di seconda istanza con ampiezza di poteri di apprezzamento della situazione fattuale, da condursi in base agli atti già inseriti nel fascicolo trasmesso dal p.m. ed a quelli oggetto di successiva acquisizione, sia col deposito nella cancelleria del giudice, sia con la produzione in udienza, ben potendo introdurre tali atti elementi del tutto nuovi perché ottenuti mediante indagini difensive o investigazioni compiute dagli organi di polizia sino a modificare sensibilmente il quadro di acquisizioni in precedenza ottenute e non valutate dal primo giudice. Deve dunque formularsi il seguente principio di diritto la natura interamente devolutiva del riesame della misura cautelare, condotto dal tribunale sulla base del confronto tra le parti in contraddittorio sui presupposti applicativi, esclude una rigorosa simmetria di poteri di cognizione con la decisione assunta all’atto dell’emissione del provvedimento riesaminato, simmetria non configurabile come obbligatoria nemmeno in riferimento al materiale probatori, posto a base delle decisioni del g.i.p. e del tribunale del riesame . 2.3 Quanto alle copie forensi dei dispositivi informatici sequestrati all’indagato, il Tribunale ha ritenuto che il loro rilascio non fosse stato richiesto dalla difesa successivamente al rigetto della domanda di dissequestro, presentata l’8/1/2016. In effetti, l’impugnazione non nega tale circ. , ma assume avere mantenuto validità tale unica istanza e la successiva opposizione al diniego di dissequestro al contrario, va riscontrata la correttezza della decisione impugnata, dal momento che quanto sollecitato alla Procura era la restituzione degli oggetti originali posti in sequestro con la rimozione del vincolo e l’estrazione di una copia, possibilità che, una volta opposta la ricorrenza di ragioni investigative ancora attuali e decorso un lasso di tempo apprezzabile, avrebbe dovuto essere richiesta formalmente una volta sottoposto l’indagato alla misura cautelare quando l’esigenza di approntare la sua più ampia difesa su elementi utilizzati per l’emissione del titolo custodiale era divenuta attuale e stringente. Inoltre, va ricordato che l’atto di opposizione al diniego di dissequestro era stato rivolto al g.i.p., il cui provvedimento favorevole parrebbe intervenuto dopo l’udienza innanzi al tribunale triestino, mentre la difesa, rappresentando le ragioni d’urgenza sottese alla propria iniziativa, avrebbe anche potuto chiedere un’anticipazione della trattazione allo stesso g.i.p. e provocarne la decisione più tempestiva. Al riguardo la decisione del tribunale rispetta i principi, ribaditi sino alle più recenti pronunce di questa Corte Cass. S.U., n. 20300 del 22/4/2010, Lasala, rv. 246908 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 336/2008, che non hanno affatto stabilito l’obbligatoria trasmissione da parte del p.m., anche in esito a richiesta della difesa, dei brogliacci o dei files audio relativi ad attività intercettativa o di videoripresa, né l’obbligo in via generale del Tribunale per il riesame di acquisire tali atti e di visionare o ascoltare tali supporti. La Corte costituzionale ha riconosciuto come spetti al difensore il diritto di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate o delle immagini filmate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate e ciò al fine di acquisire la materiale possibilità di formulare contestazioni relative al loro utilizzo quale fonte di prova le Sezioni unite hanno esaminato le medesime tematiche in riferimento alla sorte di quelle intercettazioni in ordine alle quali la difesa abbia tempestivamente richiesto al p.m. i files audio e non li abbia ottenuti in assenza di una spiegazione valida ed apprezzabile come tale nella sua fondatezza da parte del tribunale del riesame e hanno affermato che quando tale situazione si verifichi l’attività di formazione della prova è colpita da nullità generale a regime intermedio con la conseguente inutilizzabilità del materiale, i cui supporti magnetici non siano stati resi disponibili per la parte richiedente, principio egualmente valido anche in riferimento alle riprese filmate. Tale soluzione postula però l’attivazione della parte interessata ed un diniego ingiustificato di metterle a disposizione i supporti richiesti, che nel caso non si sono verificati in riferimento alle attività difensive da svolgere nella fase del riesame. 3. Il secondo motivo censura l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata per avere omesso la puntuale disamina di elementi probatori favorevoli all’indagato. Premesso che è indiscusso, alla stregua dell’attuale formulazione dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 9, l’obbligo in capo ai giudici del riesame di analizzare emergenze indicate in tesi difensiva come in grado di contraddire l’accusa, al riguardo il ricorso si rivela privo di autosufficienza, poiché richiama per punti le circostanze illustrate nella memoria difensiva presentata al tribunale, ma non correda la censura della specifica enunciazione della loro valenza dimostrativa e delle ragioni per le quali gli elementi tralasciati avrebbero contraddetto il quadro indiziario raccolto in altri termini, il ricorso pretende di superare l’implicito giudizio d’irrilevanza con la mera affermazione dell’utilità di tali elementi per l’accoglimento della tesi dell’estraneità del R. all’omicidio, senza corredare tale assunto da alcuna enunciazione esplicativa. Inoltre, le poche informazioni fornite risultano inconferenti rispetto al thema decidendum , poiché, secondo quanto esposto nei provvedimenti cautelari, le lesioni riportate dal R. e descritte dai testi Ro. , Re. e S. non erano state riportate in epoca immediatamente successiva alla commissione del delitto , ma pochi mesi prima allorché il Ra. gli aveva contestato di ritenerlo l’autore delle missive moleste inoltrate alla fidanzata tramite un profilo facebook anonimo e lo aveva violentemente percosso. Ebbene, non si comprende per quale motivo l’avere il R. conseguito titoli, non specificati nella loro consistenza e nell’epoca di rilascio, in arti marziali dovrebbe assumere un rilievo favorevole, non dimostrando in sé la capacità di fronteggiare un avversario possente ed allenato quale il Ra. e di impedire le lesioni riferire dai testi. Risponde al vero che il collegio del riesame non ha assegnato rilievo alle testimonianze di altri commilitoni che avevano escluso la presenza di lesioni sulla persona dell’indagato, ma tanto ha operato sulla base di una legittima opzione effettuata nella selezione delle fonti di prova, dando conto della maggiore attendibilità di coloro che, come il Ro. ed il Re. avevano coabitato col R. , essendo a stretto contatto anche visivo con la sua persona, mentre il ricorrente non indica, al di là del dato numerico, le ragioni per accordare preferenza a tali deposizioni rispetto a quelle dei colleghi che avevano condiviso lo stesso alloggio. Pertanto, non assume valore dirimente che il verbale delle informazioni rese dal S. non fosse stato materialmente presente negli atti trasmessi al g.i.p., ma fosse stato reso disponibile per il tribunale resta il fatto che il verbale, certamente valutabile per quanto già osservato, esiste e contiene le informazioni riportate nell’ordinanza impugnata senza travisamenti o errori percettivi. Per gli altri presunti elementi favorevoli deve osservarsi che - i messaggi tra le due vittime in ordine ad un’aggressione patita dal Ra. in tempi prossimi all’omicidio non sono riportati nel loro testo in ricorso, che non indica nemmeno il soggetto col quale sarebbe intervenuta la lite, sicché tale emergenza di per sé non indica con certezza o plausibilità una pista investigativa alternativa - la scarsa abilità nell’uso di armi da fuoco non contraddice anche sul piano meramente logico la capacità di maneggiarle da parte di soggetto militare di carriera che, in base agli accertamenti informatici, si era interessato all’argomento dell’acquisto di armi con una ricerca che aveva poi attentamente cancellato - le deposizioni di tali C. e T. sono di contenuto imprecisato e quindi non è dato sapere come possano smentire la fondatezza della ricostruzione dinamica dei movimenti dell’assassino, operata dalla p.g. e fatta propria nei provvedimenti cautelari - per quanto riportato nella stessa ordinanza impugnata, il Ro. ha riferito di essere stato informato dal Ra. dei sospetti nutriti a carico del R. per i messaggi inviati alla C. , sia a voce, sia mediante messaggi what’s app . In definitiva, l’impugnazione per le modalità di redazione esaurisce la propria capacità di critica nell’enunciazione dell’omissione motivazionale e nei continui rinvii alla memoria già depositata, senza però offrire concreti elementi a questa Corte per poter apprezzare l’effettivo significato dimostrativo degli elementi non considerati, che non sono stati illustrati nemmeno con la memoria depositata all’udienza di discussione, che contiene al riguardo la sola elencazione dei dati omessi. 4. Il terzo motivo è privo di qualsiasi fondamento. Nel lamentare il vizio di violazione di legge in riferimento al disposto del comma 9 dell’art. 309 cod. proc. pen., la difesa assume che il Tribunale avrebbe indebitamente integrato la motivazione dell’ordinanza genetica in ordine ai messaggi intercorsi tra il Ra. ed il R. nella data del 2/3/2015 ed alla circ. dell’assenza di tracce organiche riconducibili alle vittime all’interno dell’autovettura dell’indagato e sui suoi abiti. Con la memoria difensiva si è poi censurato il medesimo intervento suppletivo quanto alle dichiarazioni di Giovanni S. e l’assenza di autonoma motivazione nell’ordinanza applicativa della misura sulle annotazioni di p.g 4.1 È agevole replicare che la censura è frutto di fraintendimento dell’esatto significato della disposizione che si assume violata. L’attuale formulazione dell’art. 292 cod. proc. pen., commi c e c-bis , introdotta dalla legge nr. 47 del 2015 impone un ulteriore requisito necessario per la valida sottoposizione dell’indagato alla custodia cautelare, in quanto pretende, accanto all’esposizione, anche l’autonoma valutazione dei requisiti richiesti per l’applicazione della misura, ossia delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa , quale garanzia di un effettivo esame critico ed indipendente della domanda cautelare da parte del giudicante, cui è ora inibito redigere, anche in caso di integrale condivisione, il provvedimento in termini di mera riproduzione dell’istanza. Alla specificazione dell’onere motivazionale gravante sul g.i.p. si accompagna nel testo riformato della disciplina processuale la previsione, inserita al nono comma dell’art. 309 cod. proc. pen., di incrementati e più penetranti poteri di verifica da parte del tribunale del riesame, il quale, se riscontri l’assenza di motivazione, oppure di autonoma valutazione, deve annullare il provvedimento impugnato. Come evidenziato da tutti gli interpreti, la nuova disposizione, introdotta a garanzia dei diritti difensivi e dell’effettività del controllo giudiziale da esercitarsi nei diversi gradi in cui si snoda il procedimento cautelare, inibisce l’attivazione dei poteri di integrazione e di propria valutazione per sanare carenze o radicali illogicità dell’apparato motivazionale del titolo cautelare, consistite nell’assenza di motivazione a supporto della decisione genetica, oppure nella sua presenza grafica, ma dal contenuto tale da non rivelare l’avvenuta conduzione di un sindacato autonomo e critico sulle condizioni applicative della misura coercitiva in questi casi il tribunale del riesame deve dunque limitarsi ad disporre l’annullamento. Tanto non equivale però a negare qualsiasi possibilità per il tribunale di intervenire con integrazioni motivazionali del provvedimento impositivo, quando questo sia dotato di motivazione effettiva e rivelatrice di un apprezzamento personale del decidente Cass. sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, Carpentieri, rv. 266050 sez. 1, n. 8323 del 15/12/2015, Cosentino, rv. 265951 . 4.2 Nel caso di specie l’omessa considerazione nell’ordinanza applicativa della custodia cautelare riguarda due circostanze di fatto che nel contesto dell’ampia ed approfondita disamina del quadro indiziario non assumono rilievo decisivo e non compromettono la possibilità di rinvenire un adeguato apparato esplicativo, autonomamente considerato, dei presupposti per la sottoposizione alla misura coercitiva pertanto, non è censurabile l’omesso rilievo da parte del tribunale di una nullità che si rivela insussistente il collegio del riesame non si è sostituito al primo giudice nell’apprezzamento dei dati conoscitivi offerti dalle indagini, in precedenza omesso, ma ha doverosamente inteso replicare ad alcuni rilievi esposti dalla difesa con la sua impugnazione. Deve dunque esprimersi il seguente principio di diritto è legittima, anche a fronte dell’obbligo giuridico imposto dall’art. 309 cod. proc. pen., comma 9, nel testo riformato dalla legge n 47 del 16/4/2015, la formulazione da parte del tribunale del riesame di osservazioni originali su profili fattuali non trattati dal primo giudice, quando resesi necessarie per esplicitare la decisione in riferimento a materiale probatorio non sottoposto al vaglio del g.i.p., ma ritualmente prodotto durante la fase del riesame e per replicare al contenuto di contestazione dell’impugnazione dell’indagato anche al fine di non incorrere nel vizio di insufficiente o illogica motivazione, poi deducibile col ricorso per cassazione . 5. Il quarto motivo è del pari infondato perché non tiene in adeguato conto le argomentazioni del provvedimento impugnato il Tribunale, individuato quale elemento indiziario a carico del R. l’omesso rinvenimento della tuta da ginnastica di colore grigio antracite, descritta dal teste Re. come indossata al momento di uscire di casa il omissis poco dopo le ore 19.00, ascritto all’intento di eliminare possibili tracce del reato con il cambio degli abiti e la loro distruzione, ha affermato come verosimile, ma non certo, che egli avesse effettuato la sostituzione subito dopo gli spari e prima di risalire in auto per non imbrattarla. La ricostruzione di siffatta operazione come probabile lascia comunque spazio anche all’ipotesi alternativa dell’effettuazione di tale operazione altrove, magari nel parco o presso il laghetto, ove poi era stata rinvenuta l’arma e spiega anche il mancato ritrovamento degli indumenti nel piazzale ove era avvenuto l’omicidio, tanto più che prima di essere raggiunto dai primi sospetti egli aveva avuto tutto il tempo di ripulire il veicolo e di impedire di rilevare nei campioni prelevati tracce indizianti, secondo quanto già considerato dal Tribunale. Va soltanto aggiunto che la disamina critica proposta col ricorso non si confronta in modo analitico e puntuale con il più complesso procedimento valutativo seguito dai giudici del riesame e non smentisce dunque le argomentazioni con le quali costoro hanno esaminato la falsità dell’alibi prospettato e della ricostruzione dei suoi movimenti, operata dall’indagato la mancata rivelazione di aver udito i colpi di arma da fuoco esplosi contro le vittime nonostante la presenza nello stesso piazzale in orario coincidente con l’omicidio il mutamento della sua strategia difensiva la cancellazione sistematica dei dati informatici e telematici dai dispositivi in suo possesso in concomitanza col progredire delle indagini e col concentrarsi dei sospetti sulla sua persona il mancato rinvenimento della tuta da ginnastica indossata quella sera l’attribuzione alla sua persona della creazione del profilo facebook anonimo dal quale aveva contattato la C. con messaggi contenenti notizie false, calunniose, volgari e gravemente moleste per screditare la figura del Ra. e provocare la rottura della loro relazione per vendetta e gelosia del rapporto felice che i due giovani stavano vivendo. Trattasi di elementi che hanno contribuito a formare il contesto indiziario grave, legittimante l’applicazione della misura contestata, e che sono stati oggetto di un’analisi coordinata e perfettamente logica, che dà conto in modo congruo del giudizio di elevata probabilità della responsabilità dell’indagato. 6. Il quinto motivo investe la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Assume la difesa che le indagini avrebbero consentito di acquisire elementi in grado di superare la presunzione di sussistenza del pericolo di recidivazione specifica e di inquinamento probatorio, da escludersi del tutto, ma in realtà, più che illustrare tali elementi, critica la motivazione che anche sul piano concreto ha individuato specifici profili di pericolosità dell’indagato. In particolare, il Tribunale, aderendo alle indicazioni del primo giudice, ha dedotto il pericolo di ripetizione di condotte contro la persona dalle modalità del fatto ed alla personalità dell’indagato, soggetto manipolatore e rancoroso, capace di realizzare un duplice omicidio con temerarietà e freddezza in un luogo pubblico e che si era indotto ad uccidere anche la C. per eliminare uno scomodo testimone, quindi portatore di elevata pericolosità sociale che potrebbe nuovamente manifestarsi magari contro i testi, amici o conoscenti, che lo avevano tradito, svelando la falsità del suo alibi. Il pericolo di inquinamento probatorio è stato ravvisato a ragione del costante intervento dell’indagato, attuato con la complicità della fidanzata, per disperdere tracce o elementi utili alle indagini, per precostituirsi un alibi, poi rivelatosi falso, per condizionare le dichiarazioni dei testi Re. e Ro. , inizialmente reticenti per non comprometterne la posizione, ma poi indottisi a rivelare quanto a loro conoscenza a fronte dell’evidenza delle riprese filmate che avevano ritratto i passaggi dell’autovettura dell’indagato. Pertanto, nel giudizio espresso dal tribunale è necessario garantire l’assenza di contatti tra costui, la P. e gli altri testi, ancora da esaminare per acquisirne informazioni più dettagliate anche alla luce degli ulteriori accertamenti informatici e tecnici in corso e per garantire la genuinità delle loro future dichiarazioni da assumere in dibattimento, esigenze non tutelabili che col mantenimento della misura in esecuzione, risultando inadeguata quella meno gravosa di natura domiciliare, pur con apposizione di braccialetto elettronico, per l’inaffidabilità soggettiva dell’indagato, la possibilità di avvalersi di altri soggetti favoreggiatori o conniventi e per le capacità e conoscenze informatiche dimostrate che gli consentirebbero di operare a distanza anche se sottoposto a misura domiciliare. Per contro, la difesa censura tali considerazioni in base ad argomenti privi di fondamento. Il pericolo di recidivazione è stato desunto correttamente dal fatto di reato e dalle sue modalità esecutive, a loro volta ritenute indicative di spregiudicatezza e determinazione anche in relazione alla connotazione premeditata della maturazione della risoluzione criminosa, senza che per approdare a tali conclusioni sia necessario uno studio psicologico della personalità dell’indagato, rivelata già efficacemente dalla sua azione e dai comportamenti tenuti in precedenza e nel corso delle indagini. A tali rilievi il tribunale ha assegnato rilievo preponderante tale da far superare lo stato d’incensuratezza e l’argomento incentrato sulla natura passionale del movente, che, sebbene validamente riferibile all’uccisione del Ra. , non considera la spietata eliminazione anche della C. solo perché testimone oculare. Le obiezioni che vengono opposte al ravvisato pericolo di recidivazione specifica attengono a profili fattuali, insondabili per questa Corte, come la diversa causale delle cancellazioni dei dati informatici, ascritta ad operazioni automatiche e non a gesto deliberato senza che l’assunto sia verificato, né verificabile in questa sede del pari i giudici cautelari hanno evidenziato come le indagini di tipo tecnico non fossero esaurite, ma ancora in corso e ciò a prescindere dal dissequestro dei supporti dell’indagato. Anche la possibilità concreta di una concertazione di una versione di comodo con la fidanzata o altri testimoni non è affatto stata ricostruita in base a mere congetture o ipotesi teoriche, ma in base ai comportamenti tenuti dal R. , che potrebbe agire indirettamente ed a distanza anche grazie alla complicità di terzi o alle sue abilità informatiche. Non è poi dato comprendere il significato della dedotta cristallizzazione delle dichiarazioni rese dalle amiche della P. e dagli altri testi a carico, il cui apporto informativo all’instaurando processo dovrà essere raccolto in dibattimento, potendo dunque essere ancora influenzato nelle more. Per le considerazioni svolte l’ordinanza in esame non merita alcuna censura ed il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.