Nel riformare l’assoluzione in condanna, il giudice deve rinnovare l’istruzione dibattimentale

Nel caso di appello del pm avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative decisive, il giudice non può riformare la sentenza impugnata in senso affermativo della responsabilità dell’imputato senza aver proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

In questo senso si è espressa la Suprema Corte con il provvedimento n. 44989/16 del 26 ottobre. Il caso. La Corte d’appello condannava l’imputato a risarcire i danni cagionali alla parte civile che aveva appellato la sentenza di assoluzione del primo giudice. L’imputato per il reato di cui all’art. 612, comma 2, c.p. era stato assolto in primo grado perché a suo carico militavano le sole dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile. La Corte territoriale ricordava che la vicenda si era inserita nel contesto di una breve relazione intercorsa fra imputato e persona offesa a seguito della quale quest’ultima era rimasta incinta l’imputato aveva deciso di troncare il rapporto, non intendendo riconoscere il figlio e dando luogo, da quel momento, ad una serie di minacce proferite a mezzo del telefono. Ritenendo attendibile la persona offesa, la Corte riteneva l’imputato civilmente responsabile dei fatti ascrittigli. L’imputato ricorre per cassazione denunciando violazione dell’art. 6 Cedu, per avere la Corte rivalutato la responsabilità dell’imputato alla luce delle medesime emergenze probatorie che ne avevano determinato, in primo grado, l’assoluzione. La violazione dell’”al di là di ogni ragionevole dubbio”. Le SSUU con la sentenza Dasgupta del 28 aprile 2016 ha fissato diversi principi di diritto, che prevedono innanzitutto che i principi contenuti nella Cedu costituiscono criteri di interpretazione cui il giudice nazionale è tenuto ad ispirarsi nell’applicazione delle norme interne la previsione di cui all’art. 6, § 3, lett. d , Cedu relativa al diritto dell’imputato di esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, implica che, nel caso di appello del pm avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative decisive, il giudice non può riformare la sentenza impugnata in senso affermativo della responsabilità dell’imputato senza aver proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Infine, l’affermazione di responsabilità dell’imputato pronunciata dal giudice d’appello su impugnazione del pm, in riforma della sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, di cui non sia stata disposta la rinnovazione, integra un vizio di motivazione della sentenza d’appello per mancato rispetto dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio . In tal caso, peraltro, le SSUU dispongono che la Cassazione debba annullare la sentenza con rinvio. Ed è ciò che la Suprema Corte, nel caso di specie, ha fatto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 settembre – 26 ottobre 2016, n. 44989 Presidente Nappi – Relatore Stanislao Ritenuto in fatto 1 - Con sentenza del 24 giugno 2015 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale del 25 settembre 2012, condannava B.V. a risarcire i danni cagionati alla parte civile Bu.On. , che aveva appellato la sentenza di assoluzione del primo giudice, che liquidava, in via equitativa, nella misura definitiva di Euro 1.000. Al B. era stato ascritto il delitto continuato previsto dall’art. 612, comma 2, cod. pen., per avere minacciato Bu.On. , nel corso di plurimi contatti avvenuti nel corso del 2007 e del 2008. Il primo giudice aveva assolto l’imputato perché, a carico del medesimo, militavano le sole dichiarazioni della persona offesa, costituitasi anche parte civile. Alcuni degli episodi poi non risultavano confermati neppure dalla persona offesa e la telefonata dell’agosto 2008 era stata fatta in forma anonima. La Corte territoriale ricordava, innanzitutto, che la vicenda si era inserita nel contesto di una breve relazione intercorsa fra l’imputato e la persona offesa a seguito della quale quest’ultima era rimasta incinta l’imputato aveva deciso di troncare il rapporto, non intendendo riconoscere il figlio e dando luogo, da quel momento, ad una serie di minacce proferite a mezzo del telefono, ad una delle quali aveva assistito la madre della persona offesa, nell’agosto del 2008. Ritenendo quindi attendibile la persona offesa in contrasto con quanto concluso dal primo giudice e rinvenendo nelle dichiarazioni della madre un valido riscontro, la Corte riteneva l’imputato civilmente responsabile dei fatti contestatigli. 2 - Avverso la predetta sentenza propone ricorso l’imputato personalmente. 2 - 1 - Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 6 della Convenzione Edu per avere rivalutato la responsabilità dell’imputato alla luce delle medesime emergenze probatorie che ne avevano determinato, in primo grado, l’assoluzione. 2 - 2 - Con il secondo, complesso motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 192, 530, 533 cod. proc. pen. e 612 cod. pen La Corte territoriale non aveva confutato le argomentazioni spese dal primo giudice ed in particolare non aveva tenuto conto del giudizio di inattendibilità della persona offesa ad esito della mancata conferma di alcuni degli episodi di minaccia collocati nell’ottobre e novembre 2007, del fatto che, nonostante avesse già presentato l’atto di querela, aveva continuato a contattare l’imputato, mostrando così di non temerne le reazioni, dal fatto, travisato dalla Corte, che, nei primi momenti, l’imputato aveva accolto positivamente la notizia della gravidanza, dal fatto che la Bu. aveva tentato più volte di riconciliarsi con l’imputato anche tramite l’intervento di terze persone, dalla diversa ricostruzione dell’episodio avvenuto il 3 gennaio 2008, dalla inattendibilità del riconoscimento da parte della madre della voce camuffata dal B. che aveva visto e frequentato solo due volte, l’anno prima. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1 - Le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 28 aprile 2016, Dasgupta, hanno fissato i seguenti principi di diritto - i principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione convenzionalmente orientata ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne - la previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d , della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado . - l’affermazione di responsabilità dell’imputato pronunciata dal giudice di appello su impugnazione del pubblico ministero, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma 3, c.p.p., integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e , per mancato rispetto del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1. In tal caso, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d , della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata - gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull’appello proposto dalla parte civile. 2 - Nell’impugnata sentenza, pur pronunciata ai soli effetti civili, non si era proceduto, eventualmente anche d’ufficio, ad una nuova escussione della persona offesa, essenziale fonte d’accusa a carico dell’imputato, ritenuta dal primo giudice inattendibile. Né si erano congruamente affrontate le ragioni esposte ed i fatti concreti riportati dal Tribunale in esito alle quali si era formulato il giudizio di inattendibilità della testimone-persona offesa, così non chiarendo in modo adeguato perché, in assenza di elementi sopravvenuti, tale giudizio dovesse mutare al punto da far venir meno ogni ragionevole dubbio sulla responsabilità anche solo civile dell’imputato Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, Rv. 262524 . Tanto più la veste assunta dalla Bu. di persona offesa, costituitasi anche parte civile, necessitava di una particolare attenzione nel valutarne l’affidabilità. 3 - La sentenza va pertanto annullata affinché il giudice civile competente per valore in grado di appello proceda a nuovo esame. In considerazione delle circostanze sottese alla vicenda si dispone l’oscuramento dei dati identificativi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03.