Limiti del sindacato di legittimità sui provvedimenti del giudice del riesame

Il controllo di legittimità effettuato dalla Corte di Cassazione nei riguardi di un provvedimento adottato dal giudice del riesame sulla libertà personale non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti o la rilevanza del materiale probatorio.

In questo senso si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 44408/16 del 20 ottobre. Il caso. Il gip disponeva l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nel confronti di un indagato, per aver questi commesso il reato di tentata estorsione, in concorso tra più persone riunite, minacciando un assessore comunale di divulgare un video che lo ritraeva durante un atto di autoerotismo se non si fosse dimesso dalla carica, con l’obiettivo di subentrare, quale primo dei candidati non eletti, nel consesso comunale. Proponeva dunque istanza di riesame l’indagato, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, che però veniva rigettata da parte del Tribunale. Ricorre infine per cassazione. Il sindacato di legittimità sul provvedimento del giudice del riesame. La Corte preliminarmente chiarisce quelli che sono i limiti di sindacabilità da parte della Cassazione stessa dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale. L’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame . Ciò che la Suprema Corte, in punto di legittimità, può verificare è la rispondenza del testo del provvedimento a 2 requisiti l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato, e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti di riesame è diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, inoltre, la valenza sintomatica degli indizi . E tale controllo non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti o la rilevanza del materiale probatorio. In particolare, infatti, il vizio di mancanza della motivazione può essere sindacato dalla Suprema Corte solo qualora risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, in quanto resta ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. La pretesa derubricazione. Dopo le suddette precisazioni, la Corte evidenzia l’infondatezza dei motivi di ricorso, escludendo la sussistenza dei vizi denunciati dal ricorrente. In particolare, in merito alla motivo secondo il quale il ricorrente riteneva necessaria la derubricazione del fatto ai sensi dell’art. 610 c.p., il Collegio osserva che è configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico . Nel caso di specie, non è dubitabile che la finalità fosse quella di comportare un danno economico alla persona offesa e un vantaggio economico per l’agente. A ciò consegue il rigetto del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 settembre – 20 ottobre 2016, n. 44408 Presidente Cammino – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18/2/2016 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza disponeva l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di P.G. in ordine al reato di tentata estorsione in concorso tra più persone riunite per aver minacciato S.G. di divulgare un video che lo ritraeva durante un atto di autoerotismo se non si fosse dimesso dalla carica di assessore presso il Comune di Potenza, con l’obiettivo di subentrare - quale primo dei candidati non eletti - nel consesso comunale cfr. imputazione provvisoria come riassunta a pag. 1 dell’ordinanza impugnata . 1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l’indagato, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. In particolare lamentava - la complessità del meccanismo normativo che regola la nomina ad assessore renderebbe inidonea l’attività posta in essere dall’indagato e la fattispecie dovrebbe essere ricondotta nell’alveo dell’art. 49 cod.pen. - il quadro probatorio incerto dovrebbe portare alla derubricazione del fatto nell’ambito della di violenza privata -le esigenze cautelari si fondano sulla errata valutazione dei precedenti dell’indagato. 1.2. Il Tribunale di Potenza, sezione del riesame, rigettava il ricorso. 2. Ricorre per Cassazione l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi 2.1. violazione di legge in relazione agli artt. 521 cod.proc.pen. correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza - e 273 cod.proc.pen. - gravità indiziaria -, rispetto al reato di estorsione tentata, posto che la condotta è stata ritenuta finalizzata ad ottenere un presupposto dello scopo perseguito e il vantaggio è stato individuato nella nomina a consigliere comunale o in altri vantaggi legati a soluzioni diverse, mentre nella contestazione si fa esclusivo riferimento allo scopo di subentrare nel consesso comunale. Dunque il Tribunale del riesame avrebbe recuperato episodi non posti a fondamento della misura cautelare e le dimissioni del S. , assessore esterno, non avrebbero consentito comunque l’ingresso del P. nel Consiglio Comunale poiché a tal fine sarebbe stata necessaria la nomina da parte del Sindaco di altro soggetto, tale Morlino, eletto nell’ambito della stessa lista del P. , secondo un meccanismo avallato da recente giurisprudenza di legittimità Cass., sez. 1, n. 36762 del 2 luglio 2015, RV 264567 . Né sarebbero ravvisabili vantaggi patrimoniali diretti ed immediati, comunque non contestati, dato che l’accusa parla solo dell’ingresso in consiglio comunale. L’assenza di vantaggio patrimoniale, o la violazione della necessaria corrispondenza con l’accusa, determina la necessità di derubricare il fatto ai sensi dell’art. 610 cod.pen Con nota datata 2.9.2016 l’indagato dava atto della cessazione dell’esecuzione della misura, affermando tuttavia il perdurare del proprio interesse all’impugnazione di legittimità in prospettiva di una riparazione per ingiusta detenzione. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità 1 - l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 - l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Rv. 201840 sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760 . Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Barbaro, Rv. 210566 . Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003, Rv 227110 . 1.1 Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue. Il provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso. Specificamente nell’ordinanza si dà atto adeguatamente della sussistenza del presupposto cautelare di cui all’art. 273 cod. proc. pen., sul quale principalmente si concentra il ricorso, rilevandosi come il fatto enunciato nella provvisoria imputazione emerga all’esito di un’approfondita analisi del materiale indiziario, dal quale si desumono sia i gravi indizi di commissione di atti idonei ad ottenere le dimissioni del S. dalla carica rivestita, sia le aspirazioni del P. , che il Tribunale del riesame riferisce essere contestate come rivolte ad ottenere l’ingresso nel consesso comunale , nozione quest’ultima tanto ampia da abbracciare sia gli ambiti relativi alla Giunta che al Consiglio. Dunque, in considerazione della ampiezza della contestazione, nessuna violazione dell’art. 521 cod.proc.pen. può ravvisarsi. Né il ricorrente con adeguata precisione illustra eventuali fraintendimenti del collegio del riesame rispetto alla contestazione come riportata a pag. 1 dell’ordinanza impugnata. 1.2 Neppure può parlarsi di reato impossibile ai sensi dell’art. 49 cod.pen., posto che, in tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento ad un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, Rv. 264567 . Nel caso di specie, proprio in considerazione dell’ampiezza della contestazione come sopra evidenziata, la condotta appare astrattamente idonea al raggiungimento dell’obiettivo dell’inserimento nel consesso comunale. 2. Quanto al profilo della pretesa derubricazione, osserva il collegio che, secondo il consolidato orientamento di legittimità cui si aderisce, è configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. Sez. 2, n. 5668 del 15/01/2013, Rv. 255242 . Nella fattispecie, non pare dubitabile che la finalità cui il P. mirava comportasse sia un danno economico per il S. perdita di compensi o indennità legati al ruolo ricoperto , sia vantaggi economici per l’agente i corrispettivi legati alle possibili cariche nel consesso comunale cui aspirava . 3. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Occorre inoltre dettare cautele opportune ad evitare la diffusione delle generalità del ricorrente e della persona offesa, atteso l’oggetto del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 198/08 in quanto disposto d’ufficio.