Sul differimento dei colloqui carcerari del detenuto decide il gip

Prima del dibattimento è il gip a doversi pronunciare sul differimento dei colloqui carcerari del detenuto. Nella suddetta materia, infatti, al pm spetta soltanto un diritto di interlocuzione sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare, essendo invece il potere decisorio riferito esclusivamente al gip.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43693/16, depositata il 14 ottobre. Il caso. Con provvedimento emesso dal pm presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta, veniva rigettata la richiesta dei genitori della ricorrente di avere colloqui aggiuntivi con la figlia minore, sottoposta a misura detentiva. Avverso la suddetta decisione, propone ricorso per cassazione la minore, chiedendone l’annullamento per violazione di legge in relazione agli artt. 240 disp. att. c.p.p., 11 secondo comma e 18 dell’Ordinamento penitenziario. Provvedimenti sulla libertà personale. In materia di libertà personale, la giurisprudenza della Corte aveva già avuto modo di affermare che sono ricorribili in cassazione non solo i provvedimenti sulla libertà personale adottati dal giudice, ma anche quelli emessi dal pm infatti, anche se gli artt. 13 e 111 Cost. e art. 568 c.p.p. si riferiscono ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, il pm va considerato incluso nel concetto di autorità giudiziaria in una prospettiva garantistica, che richiede una espansione della tutela in senso sostanziale in tale specifica materia . Premesso ciò, a detta della Corte, va dunque definito l’ambito delle competenze riferibili alla materia dei diritti del detenuto in stato di custodia cautelare. Sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare Al riguardo, va rilevato che le norme di ordinamento penitenziario richiamano ancora le figure del giudice istruttore e del pm, trattandosi di norme introdotte nella vigenza dell’abrogato codice di rito. E tuttavia l’art. 11 Ord. pen., nel disciplinare i provvedimenti in tema di trattamento sanitario del detenuto, si adegua all’attuale sistema processuale stabilendo che gli atti in questione devono essere adottati con ordinanza dal giudice che procede. Tale norma assume una portata generale in tema di attribuzione della competenza, dovendosi quindi ritenere che prima del dibattimento sia senz’altro il gip a doversi pronunciare sul differimento dei colloqui carcerari del detenuto. In conclusione non pare dubbio che nella suddetta materia spetti al pm soltanto un diritto di interlocuzione sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare, essendo invece il potere decisorio riferito esclusivamente al gip. La Corte annulla pertanto senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 settembre – 14 ottobre 2016, n. 43693 Presidente Diotallevi – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento emesso il 14.6.2016 dal Pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta veniva rigettata la richiesta dei genitori di M.K. ad avere colloqui aggiuntivi con la figlia minore, sottoposta a misura detentiva. 2. Avverso la citata decisione, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per Cassazione la suddetta minore, per mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento per il seguente motivo violazione di legge in relazione agli artt. 240 disp. att. cod.proc.pen., 11 comma 2 e 18 dell’Ordinamento Penitenziario. Considerato in diritto 1. Si deve premettere che secondo l’orientamento da ultimo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, e che il collegio ritiene di condividere, i provvedimenti che decidono sulle istanze di colloquio dei detenuti, potendosi risolvere in un inasprimento del grado di afflittività delle misure cautelari, sono ricorribili in Cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7. Cass., Sez. 1, n. 26835 del 04/05/2011, Rv 250801 Sezioni Unite n. 25079 del 26/02/2003, ric. Gianni, Cass. Sez. 5, n. 8798 del 2014, Stefani . 1.1 Il principio, dapprima formulato con riferimento ai detenuti in espiazione di pena definitiva, è stato esteso, con gli ovvi necessari adattamenti, anche all’ipotesi in cui la detenzione tragga titolo non da una condanna definitiva ma da una misura cautelare. Si è affermato, in particolare, che il criterio della giustiziabilità dei provvedimenti che incidono sulla condizione del detenuto, sta nella natura dell’interesse regolato, dovendosi distinguere tra provvedimenti giurisdizionali e provvedimenti amministrativi a seconda che essi cadano o meno su posizioni di diritto soggettivo cfr. le sentenze n. 216 e 351 del 1996, n. 212 del 1997 in questa seconda ipotesi, al relativo procedimento può e deve riconoscersi natura di giudizio , e alla decisione carattere giurisdizionale. 2. Ebbene, nella specifica materia dei colloqui ci si trova in presenza sicuramente di diritti soggettivi, parte integrante del trattamento e alla conclusione di un’indiscriminata protezione nella materia dei colloqui è agevole pervenire anche considerando che l’immanente collegamento con l’esecuzione penale e con il regime della pericolosità intramuraria, intesa anche quale limite alla fruizione di strumenti di trattamento, lasciano difficilmente intravedere l’esistenza di un paradigma di provvedimento che sia espressione di discrezionalità amministrativa S.U., Gianni, citata . 2.1. D’altro canto, è principio di civiltà che a colui che subisce una restrizione carceraria - preventiva o definitiva - sia comunque riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive e sia garantita quella parte di diritti della personalità che neppure la pena detentiva può intaccare. Tra questi è certamente annoverabile il diritto al mantenimento di relazioni familiari e sociali, comprimibili solo ove ricorrano specifiche e motivate esigenze di sicurezza pubblica o intramuraria o, per i detenuti in attesa di giudizio, d’ordine processuale. Può dirsi anzi che il rispetto, sotto questi riguardi, delle esigenze personali del detenuto, costituisca una delle possibili l’applicazioni dell’art. 2 Cost., come norma fondamentale intesa ad assicurare all’individuo l’esplicazione della propria personalità nelle formazioni sociali e familiari di riferimento, salve le limitazioni ragionevolmente imposte dalla condizione carceraria. 2.2. L’adozione di incisive restrizioni in tale ambito, comportando un ulteriore affievolimento nel grado di privazione della libertà personale richiede quindi il rispetto delle garanzie espressamente previste dall’art. 13 Cost., comma 2. 3. Le ulteriori questioni che si pongono, nel caso di specie, sono connesse alla posizione istituzionale dell’autore del provvedimento impugnato e all’identificazione dell’organo giudiziario competente. In via generale, infatti, i provvedimenti del Pubblico Ministero non hanno natura giurisdizionale e, come tali, non sono né qualificabili come abnormi caratteristica esclusiva degli atti di giurisdizione , né impugnabili, neppure qualora appaia evidente il loro tasso di illegalità cfr. Cass., Sez. 1, n. 24107 del 26/05/2009, Rv 244651 . 3.1. Tuttavia, in materia di libertà personale, la giurisprudenza di questa Corte ha già espressamente affermato che sono ricorribili in cassazione non solo i provvedimenti sulla libertà personale adottati dal giudice, ma anche quelli emessi dal P.M. infatti, anche se gli artt. 13 e 111 Cost. e art. 568 cod. proc. pen. si riferiscono ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, il Pubblico Ministero va considerato incluso nel concetto di autorità giudiziaria in una prospettiva garantistica, che richiede una espansione della tutela in senso sostanziale in tale specifica materia Cass., Sez. 3, n. 562 del 04/02/2000, Rv 216575 . Conclusione avvalorata da altre sentenze che hanno affermato l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso atti del P.M. non già per loro natura, ma solo in ragione della mancanza nello specifico provvedimento sub judice di un contenuto decisorio od incisivo sulla libertà v. Cass., Sez. 3, n. 8999 del 10/02/2011, in tema di decreti di perquisizione domiciliare non seguiti da sequestro senza dimenticare la giurisprudenza di legittimità che ravvisa la ricorribilità ex art. 111 Cost. anche quanto ad atti emessi da organi certamente non giurisdizionali v. Cass., Sez. 4, n. 34660 del 03/06/2010, Rv 248075, secondo cui il provvedimento del questore emesso a norma del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75-bis che prevede la possibilità di imporre al condannato per determinati reati una serie di obblighi e divieti, è ricorribile per cassazione per violazione di legge, in quanto le misure che contiene devono considerarsi limitative della libertà personale . 3.2. Tanto premesso, occorre ora definire l’ambito delle competenze giudiziarie riferibili alla materia dei diritti del detenuto in stato di custodia cautelare. Al riguardo, va rilevato che le norme di ordinamento penitenziario richiamano ancora le figure del giudice istruttore e del P.M. rispettivamente per i casi di istruzione formale e sommaria , trattandosi di norme introdotte nella vigenza dell’abrogato codice di rito. E tuttavia l’art. 11 Ord. Pen., in combinato disposto con l’art. 240 disp. att. c.p.p., nel disciplinare i provvedimenti in tema di trattamento sanitario del detenuto, si adegua all’attuale sistema processuale, stabilendo che gli atti in questione debbono essere adottati con ordinanza dal giudice che procede e dal G.i.p. prima dell’esercizio dell’azione penale . Tale norma assume una portata generale in tema di attribuzione della competenza, dovendosi quindi ritenere che prima del dibattimento sia senz’altro il G.i.p. a doversi pronunciare sul differimento dei colloqui carcerari del detenuto cfr., ancora, per una più completa ricostruzione sistematica, la sentenza Stefani cit., dove fra l’altro la precisazione che è agevole ricondurre ad unità l’intera materia, armonizzando la procedura in tema di permessi di colloquio con quanto previsto in via generale dall’art. 299 cod. proc. pen. . 3.3. In conclusione, non pare dubbio che in subiecta materia spetti al PM soltanto un diritto di interlocuzione sulle richieste di colloquio del detenuto in stato di custodia cautelare, essendo invece il potere decisorio riferito esclusivamente al GIP o al giudice del dibattimento, superata la fase delle indagini preliminari , alla stregua di una competenza che non può che essere qualificata come funzionale ed inderogabile. 3.3.1. Nel caso in esame il PM ha esercitato poteri non estranei al proprio ruolo istituzionale, in riferimento ai suoi generali poteri di intervento nella materia della libertà personale, ma ha travalicato, nello specifico, i limiti delle sue attribuzioni, che in materia di colloqui carcerari non vanno oltre una funzione giudiziaria-consultiva . Alla stregua delle precedenti considerazioni, il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio, con la trasmissione degli atti al GIP del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la trasmissione degli atti al GIP del Tribunale per i minorenni di Caltanisetta. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 198/08 in quanto disposto d’ufficio.