Il delitto di appropriazione indebita in caso di mandato con o senza rappresentanza

Commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto per l’adempimento del suddetto mandato o lo utilizzi per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante.

In questo senso la Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 43119/16 depositata il 12 ottobre. Il caso. La Corte d’appello confermava la condanna inflitta ad un imputato dal Tribunale per il delitto di appropriazione indebita, per essersi appropriato di una somma di denaro che aveva riscosso nell’interesse della società di cui era agente. Egli ricorre dunque in Cassazione denunciando, tra gli altri, erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita pur in carenza del requisito della altruità” delle somme in questione. Mandato con e senza rappresentanza. Bisogna innanzitutto distinguere tra le due forme di mandato previste dall’ordinamento civile con e senza rappresentanza. Nell’ipotesi con rappresentanza, il mandatario agisce in nome e per conto del mandante e gli acquisti effettuati dal primo si accrescono direttamente nel patrimonio del secondo come stabilito dagli artt. 1704 e 1388 c.c. . Nel caso di mandato senza rappresentanza, invece, il mandante agisce in nome proprio, ma pur sempre nell’interesse del rappresentato, il quale ha infatti la limitata facoltà di acquisire direttamente alcuni effetti giuridici dell’operato del mandatario. In particolare, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato e può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio. Il delitto di appropriazione indebita. Come già affermato da Cass. n. 46256/13 , commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto per l’adempimento del suddetto mandato o lo utilizzi per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante. Il principio di diritto. La Suprema Corte, a tale principio, ritiene di aggiungere che commette il delitto di appropriazione indebita anche il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l’esecuzione del mandato, con l’ animus di trattenerle per sé e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione per la natura del mandato conferitogli mandato in rem propriam o, limitatamente ai crediti, per soddisfarsi delle spese e dei compensi cui ha diritto art. 1721 c.c. .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 giugno – 12 ottobre 2016, n. 43119 Presidente Prestipino – Relatore D’Arrigo Ritenuto in fatto La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 3 novembre 2014, ha confermato la condanna inflitta a C.M. dal Tribunale di Oristano in data 21 dicembre 2012 per il delitto di appropriazione indebita consistita nel essersi appropriato della somma complessiva di Euro 30.986,00 che egli aveva riscosso nell’interesse della MPE Energia s.r.l., di cui era agente. L’imputato propone ricorso per cassazione, deducendo - inosservanza di norme processuali, con riferimento agli artt. 525, commi 1 e 2, e 178, lett. a , cod. proc. pen., per violazione del principio di concentrazione, dal momento che la sentenza di primo grado non è stata pronunziata immediatamente dopo la chiusura del dibattimento, bensì dopo due rinvii immotivati - mancata assunzione di una prova decisiva, con specifico riferimento all’omessa escussione della teste B. , la quale avrebbe dovuto riferire delle modalità di riscossione dei crediti della MPE Energia s.r.l. - erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita pur in carenza del requisito della altruità delle somme in questione. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. In relazione al primo motivo, va richiamato quanto affermato da questa Corte l’inosservanza del principio sancito dall’art. 525, comma 1, cod. proc. pen. - per il quale la sentenza deve essere deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento - non determina alcuna nullità, in difetto di espressa previsione di legge Sez. 6, n. 25148 del 31/01/2005 v. pure Sez. 3, n. 4721 del 12/12/2007 . Del resto, la ratio della regola dell’immediatezza della decisione risponde all’esigenza che quest’ultima sia adottata, quanto più possibile, nella diretta e contestuale percezione delle risultanze dibattimentali e della discussione. Tale esigenza non risulta pregiudicata da brevi rinvii disposti - come nella specie - per esigenze processuali in dettaglio, il primo rinvio è stato disposto al solo fine di consentire alle parti di replicare e il secondo rinvio per acquisire un casellario giudiziale aggiornato . La seconda censura è infondata con riferimento al carattere della decisività della prova la corte d’appello osserva che la produzione, da parte dell’imputato, delle e-mail intercorse con la B. rendeva obiettivamente superfluo l’escussione della prova testimoniale. Trattasi di una valutazione di merito che immune da vizi logici e giuridici - non è censurabile in questa sede. L’esame del terzo motivo di ricorso merita una breve premessa. L’ordinamento civile conosce due forme di mandato con e senza rappresentanza. Nella prima ipotesi in mandatario agisce in nome e per conto del mandante e gli acquisti effettuati dal primo si accrescono direttamente nel patrimonio nel secondo artt. 1704 e 1388 cod. civ. . Nel caso di mandato senza rappresentanza, il mandante agisce in nome proprio, ma pur sempre nell’interesse del rappresentato, il quale infatti ha facoltà, entro certi limiti, di acquisire comunque direttamente alcuni effetti giuridici dell’operato del mandatario. In particolare, il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato art. 1705, secondo comma, cod. civ. e può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio art. 1706, primo comma, cod. civ. . La differenza fra le due figure non presenta alcuna rilevanza nell’ambito penale, con particolare riferimento al delitto di appropriazione indebita commesso dal mandatario sulle cose o sul denaro ricevuti durante l’esecuzione del mandato. Infatti, se nel caso del mandato con rappresentanza è di palmare evidenza che il mandatario si appropria di cose o denaro di cui ha il possesso, ma che sono già entrate a far parte del patrimonio del mandatario, non diversamente accade - a ben vedere - anche nel caso di mandato senza rappresentanza. Anche in questo caso, infatti, le cose o il denaro ricevuti in esecuzione del mandato appartengono alla sfera giuridica del mandatario, sia per via delle facoltà di riscossione dei crediti e di rivendica delle cose mobili riconosciutegli dalla legge pur in difetto di un acquisto diretto della titolarità dei diritti, sia perché il mandante - salvo che il mandato non sia in rem propriam - è comunque obbligato a ritrasferire al mandatario quanto acquisito nel corso del mandato. Questa Corte, infatti, ha già affermato che commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitigli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto per l’adempimento del suddetto mandato e lo utilizzi per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante Sez. 2, n. 46256 del 17/10/2013 Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015 . Ad integrazione del principio di diritto sopra riportato è possibile aggiungere che commette il delitto di appropriazione indebita anche il mandatario senza rappresentanza che si appropri delle cose ricevute durante l’esecuzione del mandato, con l’ animus di trattenerle per sé e di non ritrasferirle al mandatario, a meno che egli non abbia legittimo diritto di ritenzione per la natura del mandato conferitogli mandato in rem propriam o, limitatamente ai crediti, per soddisfarsi delle spese e dei compensi cui ha diritto art. 1721 cod. civ. . Dunque, anche l’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro 1.500,00 a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.