Pane congelato conservato nei sacchi per l’immondizia: condannato

Ammenda di 8mila euro per il titolare della società che ha preso in gestione una tavola calda. Inequivocabile l’esito del controllo effettuato dalla polizia giudiziaria. Nella struttura, pronti a essere proposti ai clienti, prodotti scaduti e mal conservati.

Superata abbondantemente la data di scadenza. Ma a rendere ancora più sgradevole la situazione sono le pessime condizioni in cui sono stati rinvenuti gli alimenti conservati nella tavola calda. Inequivocabile, difatti, il resoconto fatto dalla polizia giudiziaria. Consequenziale la condanna dell’imprenditore che ha in gestione la struttura Cassazione, sentenza n. 42828/16, sezione Terza Penale, depositata l’11 ottobre . Scadenza. Netta la posizione assunta dai giudici del Tribunale il legale rappresentante della società che ha in gestione il bar - tavola calda a Milano va punito con un’ ammenda di 8mila euro . Decisivo il materiale probatorio raccolto dalla polizia giudiziaria a conclusione del blitz nella struttura commerciale più precisamente, si fa riferimento alle condizioni degli alimenti sequestrati e alle fotografie effettuate durante il controllo. Secondo il legale dell’imprenditore, però, è illogico parlare di reato , quando invece bisognerebbe ragionare sul fronte del mero illecito amministrativo . Ciò perché, spiega l’avvocato, la condotta contestata riguarda semplicemente alimenti scaduti presenti nella struttura commerciale. Conservazione. Ma l’obiezione difensiva si rivela fragilissima. E a smentirla è l’esito del controllo realizzato dalla polizia giudiziaria, controllo da cui è emersa la presenza di muffe su molti degli alimenti presenti in evidente cattivo stato di conservazione nella struttura. Ciò fa cadere l’ipotesi di un mero illecito amministrativo , viene sancito in Cassazione. Difatti, i prodotti rinvenuti non erano semplicemente scaduti , bensì presentavano muffe, tracce di peli ed erano conservati con modalità e in luoghi non idonei . Ad esempio, il pane congelato , annotano i Magistrati giusto per fare chiarezza, era contenuto in sacchi per la spazzatura e destinato alla vendita . Appare evidente che non erano osservate cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantenessero in condizioni adeguate per la successiva somministrazione ai clienti, concludono i Magistrati, confermando la condanna a pagare 8mila euro di multa .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 maggio – 11 ottobre 2016, n. 42828 Presidente Grillo – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. F. C. ha proposto ricorso nei confronti della sentenza del Tribunale di Milano emessa in data 12/03/2015 di condanna alla pena di € 8.000,00 di ammenda, per il reato di cui all'articolo 5, lett. b , e 6 I. n. 283 del 1962, per aver detenuto, quale legale rappresentante e amministratore della Vima s.r.l., e gestore del bar tavola fredda Cral in Milano, alimenti in cattivo stato di conservazione, deducendo i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Violazione di legge in relazione alla non applicazione dell'articolo 131 bis c.p., entrato in vigore successivamente alla sentenza impugnata. 2.2. Vizio di motivazione per travisamento della prova, in ordine alla imprecisione dei testimoni assunti. 2.3. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato, e non dell'illecito amministrativo, nonostante la condotta concerna alimenti scaduti, senza alcuna prova della cattiva conservazione o del deterioramento. 2.4. Vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche. 2.5. Vizio di motivazione in ordine alla omessa concessione della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. II secondo motivo è generico e manifestamente infondato. Al riguardo, va innanzitutto evidenziata l'inammissibilità delle doglianze relative alla valutazione probatoria delle testimonianze, operata dal giudice del merito, in quanto sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie dei vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un sindacato sui merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale. Va, infatti, rammentato che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà dei legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 dei 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 Sez. U, n. 47289 dei 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . Efficacemente è stato, altresì, evidenziato che gli accertamenti giudizio ricostruttivo dei fatti e gli apprezzamenti giudizio valutativo dei fatti cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti dei ricorrente ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'articolo 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961, pur nella vigenza del precedente codice di rito . Del resto, l'asserita insufficienza delle prove testimoniali non tiene in considerazione che l'affermazione di responsabilità risulta fondata essenzialmente sugli esiti del sequestro degli alimenti operato dalla p.g., e sulla stessa visione delle fotografie allegate, laddove la testimonianza dei verbalizzanti si è limitata a specificare la presenza di muffe su molti degli alimenti in cattivo stato di conservazione. 3. II terzo motivo è manifestamente infondato. Al riguardo, è stato chiarito che il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mai conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l'osservanza di quelle prescrizioni - di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali - che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione. A tali situazioni si riferisce la previsione normativa di cui alla lettera b dell'articolo 5 della legge n. 283 del 1962 che ha il ruolo di completare, in armonia con le differenti ipotesi previste dallo stesso articolo, il quadro di protezione e tutela delle sostanze alimentari dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato e, quindi, anche a quello, rilevante, della loro conservazione. In tale prospettiva la data di scadenza del prodotto, là dove ne è prevista l'indicazione obbligatoria, non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione dei prodotti alimentari. Ne consegue che l'impiego per la preparazione di alimenti, la detenzione per la vendita o la distribuzione al consumo di prodotti confezionati, per i quali - essendo prescritta l'indicazione da consumarsi preferibilmente entro il o quella, diversa, da consumarsi entro il - la data indicata sia stata superata, non integra alcuna ipotesi di reato, ma solo l'illecito amministrativo di cui agli artt. 10, comma settimo, e 18 d.P.R. n. 109 dei 1992 Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203094 . Nondimeno, nel caso in esame, la contestazione e l'accertamento del reato concerne non già alimenti semplicemente 'scaduti', bensì alimenti in cattivo stato di conservazione, in quanto presentavano muffe, tracce di peli, o erano conservati con modalità ed in luoghi non idonei come il pane congelato, contenuto in sacchi per la spazzatura, e destinato alla vendita . Ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 5, lett. b , della legge n. 283 del 1962, il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica verbale ispettivo, documentazione fotografica, o altro e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione. Sez. 3, n. 12346 del 04/03/2014, Chen, Rv. 258705, in una fattispecie in cui è stata ritenuta corretta la decisione impugnata che aveva affermato la sussistenza del reato con riferimento a prodotti alimentari - tra cui carni, pasta ripiena e dolci - congelati in proprio conservati in promiscuità con scarti di lavorazione ed alimenti scaduti in recipienti inidonei, all'interno di elettrodomestici sporchi e, in un caso, con guarnizioni difettose . 4. Il primo, il quarto ed il quinto motivo, che meritano una valutazione congiunta, per l'omogeneità delle questioni, sono manifestamente infondati. 4.1. Al riguardo va ribadito che la causa di non punibilità ha natura sostanziale ed è dunque applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dei d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex articolo 609, comma secondo, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità dei predetto istituto, dovendo peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto articolo 131 bis Sez. 2, Sentenza n. 41742 del 30/09/2015, Clemente, Rv. 264596 invero, la nuova causa di non punibilità può essere applicata nel giudizio di legittimità con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ogniqualvolta emerga, dal contenuto di quest'ultima, la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l'operatività dell'istituto previsto dall'articolo 131 bis cod. pen., nonchè un apprezzamento dei giudice di merito coerente con tale soluzione Sez. 6, Sentenza n. 44683 del 15/09/2015, T., Rv. 265114 Sez. 3, Sentenza n. 38380 del 15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264795 . Tanto premesso, nel caso in esame la particolare tenuità dei fatto risulta non configurabile in ragione della stessa valutazione della sentenza impugnata, che ha determinato la pena base discostandosi dal minimo edittale, in tal senso considerando la gravità dei fatto in termini incompatibili con l'invocata causa di non punibilità, ed evidenziando, altresì, i precedenti penali dell'imputato, che hanno impedito il riconoscimento delle attenuanti generiche. Non sussistono, pertanto, le condizioni di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto articolo 131 bis cod. pen., tali da legittimare un rinvio per nuovo esame. 4.2. In ordine al diniego delle attenuanti generiche, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità dei giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 . Analoga considerazione va estesa al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che, con apprezzamento di fatto immune da illogicità, e dunque incensurabile in sede di legittimità, la sentenza impugnata ha negato, ritenendo in tal senso ostativi i precedenti penali, in mancanza di elementi favorevoli all'imputato ex multis, Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460 L'esistenza di precedenti penali specifici può rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge anche quando il giudice, sulla base di una valutazione complessiva del fatto oggetto del giudizio e della personalità dell'imputato, esclude che la reiterazione delle condotte denoti la presenza di uno spessore criminologico tale da giustificare l'applicazione della recidiva Sez. 1, n. 707 dei 13/11/1997, dep. 1998, Ingardia, Rv. 209443 Ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62 bis cod, pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all'articolo 133 cod, pen., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. Ne consegue che il riferimento, da parte del giudice di appello, ai precedenti penali dell'imputato, indice concreto della sua personalità - in mancanza di specifiche censure o richieste della parte interessata, in sede di impugnazione, in ordine all'esame di altre circostanze di fatto inerenti ai suddetti parametri - adempie all'obbligo di motivare sul punto . 4.3. Infine, quanto al diniego della sospensione condizionale, va rammentato che, in tema di motivazione della sentenza, non sussiste l'obbligo di motivare il diniego della concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, quando gli stessi non risultino concedibili per difetto dei presupposti di legge Sez. 6, n. 20383 del 21/04/2009, Bomboi, Rv. 243841 Sez. 5, n. 30410 del 26/05/2011, Albanito, Rv. 250583 . Nel caso in esame, nonostante l'erroneità dei principio affermato nella sentenza impugnata, che ha fondato il diniego della sospensione condizionale sull'assenza dell'imputato, e sulla impossibilità di esprimere il giudizio prognostico sotteso, l'errore di diritto non può ritenersi avere determinato un vizio della decisione articolo 619 cod. proc. pen. , in quanto l'imputato risulta gravato da due precedenti penali appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta , in ordine ai quali era stata già concessa la sospensione condizionale. Al riguardo, la concessione della sospensione condizionale della pena è in ogni caso preclusa a chi abbia riportato due precedenti condanne a pena detentiva per delitto, anche quando il beneficio non è stato applicato in relazione alla prima condanna, ed indipendentemente dalla durata complessiva della reclusione come determinata per effetto del cumulo di tutte le sanzioni irrogate e da irrogare Sez. 5, n. 41645 del 27/06/2014, Timis, Rv. 260045 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00 infatti, l'articolo 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex articolo 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex articolo 591 cod. proc. pen. . P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.